Innovazione, social media e big data al centro della testimonianza di Bob Rupczynski, Vice President Media, CRM Kraft Foods di Chicago, intervistato da TechEconomy nell’ambito della prima conferenza internazionale dell’associazione non profit Crazy4digital in cui, parlando di digitale e comunicazione, si è anche sostenuto il progetto “Dare voce al silenzio” per l’acquisto di iPad per bambini autistici.
Rupczynski è pioniere nell’innovazione a livello globale, nel settore dei consumer packaged goods (CPG) occupandosi di comunicazione tradizionale, digital e social media. Ed è proprio su cosa rappresentino oggi i social media nelle grandi aziende, che ha le idee chiare: “I social media sono strumenti che ci connettono ai nostri clienti in un modo che va oltre il “semplice” parlare con il consumatore. Ci permettono di ascoltare e capire quello di cui hanno bisogno così da essere pronti a rispondere in tempo reale”. Non si tratta, quindi, come spesso si tende a dire attuando una semplificazione, di strumenti solo per ascoltare i clienti ma soprattutto per “rispondere” loro con immediatezza e tempestività.
La necessaria immediatezza e tempestività nelle risposte ai clienti è anche uno dei timori che più frequentemente “frenano” l’adozione dei social da parte delle imprese. Secondo Rupczynski però, uno dei grandi ostacoli all’adozione dei social network e alle loro logiche, risiede all’interno dell’organizzazione ed è essenzialmente un motivo di business: con i social possiamo certamente “vedere se e come la gente li usa ma alla fine della giornata questo non basta a provare che acquistino o meno un prodotto o un servizio influenzati da quello che vedono o vivono sui social”. La svolta, Rupczynski , arriverà quando “ci sarà una misurazione concreta del vero impatto dei social sul business” e a quel punto vedremo che anche l’atteggiamento delle imprese cambierà radicalmente e si andrà ad “un altro livello”.
Se il rapporto azienda e social network non è sempre lineare, c’è anche chi come Kraft, agisce in “rottura” con la tradizione del medium proponendo una campagna anomala che fa a suo modo, scuola. Rupczynski ci ha raccontato un episodio accaduto alla mostarda Gray Poupon, storico prodotto Kraft per pubblici raffinati. Dopo aver aperto una pagina Facebook ad hoc, l’azienda ha puntato tutto sull’esclusività del brand non accettando automaticamente le 35.000 richieste pervenute ma respingendole e richiedendo gli utenti di “candidarsi” per l’amicizia. Kraft ha poi valutato chi erano i richiedenti, che foto avessero sui profili, che musica preferissero e poi è stata data loro “la possibilità di diventare fan”. Ne è scaturito un gran polverone sul web e tra gli stessi consumatori ma la strategia, in controtendenza rispetto alla consueta “corsa” ai fan su Facebook, ha comunque funzionato e il marchio d’elite Gray Poupon ha ribadito il suo “non essere per tutti”.
Sul fronte big data e sulla relazione che c’è tra essi e il possibile uso nel marketing e nella comunicazione di brand Rupczynski rileva che “tutti parlano di big data, le aziende acquisiscono dati e informazioni e dati sui consumatori, ma ancora da capire come far emergere dai big data informazioni che vogliono dire qualcosa di diverso, che possano fare la differenza” rispetto a quando non c’erano, prima di tutto nelle campagne di comunicazione e di marketing . “Credo” ha aggiunto “che, per il futuro, i big data saranno fondamentali” se considerati in modo “crossmediale”. Saranno utili, ad esempio, per capire, le prospettive della tv e del digitale e l’impatto che ha sul consumatore “una sequenza di pubblicità su più media”. Il che, sottolinea Rupczynski, vuol dire anche comprendere come muoversi, quanta e che tipo di pubblicità veicolare in tv piuttosto che online, con che frequenza” massimizzando gli effetti ma minimizzando sempre più il rischio di spendere denaro per campagne poco produttive.
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