Quello dell’Intelligenza artificiale è senza dubbio uno dei temi più in vista e discussi del momento. Non soltanto perché le sfide che consente di affrontare sono molteplici, e spaziano tra i più diversi settori – da quello sanitario fino all’Agrifood – ma anche perché al fianco delle opportunità che è in grado di aprire non mancano possibili problemi. Problemi che è necessario comprendere e gestire, al fine di sfruttarne il pieno potenziale. Discorsi, questi, che assumono ancora più importanza se contestualizzati nel quadro delle sfide economiche, sociali ed ambientali che il mondo è chiamato ad affrontare: quale ruolo può avere l’intelligenza artificiale? A quali condizioni può consentire di accelerare il raggiungimento dello sviluppo sostenibile?
Per approfondire questi temi, anche e soprattutto in relazione al contesto italiano, abbiamo parlato con Gianluigi Greco, Presidente dell’Associazione Italiana per l’Intelligenza Artificiale (AIxIA) – Associazione fondata nel 1988 per promuovere la ricerca e la diffusione delle tecniche dell’IA, e che sul tema dell’IA per lo sviluppo sostenibile ha scritto un libro, scaricabile gratuitamente. Professore ordinario di Informatica presso l’Università della Calabria, dove ricopre dal 2018 il ruolo di Direttore del Dipartimento di Matematica e Informatica, nella sua ventennale attività di ricerca si è interessato a vari ambiti dell’IA, dallo studio di metodi e tecniche per la rappresentazione e il ragionamento automatico su basi di conoscenza, allo sviluppo di algoritmi rispondenti a principi di fairness nell’ambito di sistemi AI per il decision-making.
Lo stato dell’arte dell’Intelligenza artificiale in Italia
Il nostro Paese è uno dei più attivi nel campo dell’Intelligenza artificiale. “Se si guarda all’ambito strettamente di ricerca, l’Italia è in questo momento senza dubbio nella top ten internazionale, e la nostra posizione è testimoniata non soltanto dal numero di ricercatori, ma anche dal numero di pubblicazioni e dal numero di citazioni”, ha spiegato Gianluigi Greco. “D’altra parte, basti pensare che la nostra Associazione è nata nel lontano 1988, e ciò riflette il fatto che, nel nostro Paese, quella sull’Intelligenza artificiale è una discussione in atto da svariati anni, ed oramai matura. Anche rispetto alla didattica, alla formazione, l’Italia gode ad oggi di buona salute. Di recente, insieme al laboratorio per l’Intelligenza artificiale del Cini, il Consorzio Interuniversitario Nazionale per l’Informatica, abbiamo promosso un’iniziativa di mappatura di tutti i corsi di laurea e curriculum di IA: ad oggi, quindi, sappiamo che sono circa un centinaio i corsi di laurea che si occupano di questa tecnologia, ed anche questo rappresenta un dato particolarmente significativo”.
Nonostante queste considerazioni rendano conto di una buona dinamicità del nostro Paese in questo ambito, è nel passaggio dalla “teoria” alla “pratica”, dalla ricerca all’applicazione, che le cose sembrano farsi più complesse. “È chiaro che l’Italia, come del resto l’Europa, non sia messa bene dal punto di vista della dimensione delle iniziative, ed è questo aspetto a marcare una netta differenza rispetto ai Paesi più all’avanguardia a livello mondiale, ovvero Stati Uniti e Cina: questi ultimi, infatti, mettono in campo big player dell’informatica e dell’Intelligenza artificiale in grado di influenzare in maniera significativa i mercati. Big player che in Europa, e nello specifico in Italia mancano, ma di cui abbiamo estremamente bisogno. Dunque, poiché l’IA richiede grandi investimenti e risorse, e poiché i competitors sono così grandi, è chiaro che se non si affronta questa tematica su larga scala, assieme alla comunità europea, non si andrà da nessuna parte”.
Uno dei principali fattori in grado di spiegare questo gap, che dal contesto internazionale si riflette anche in ambito nazionale, è strutturale: il tessuto imprenditoriale italiano, infatti, è composto per lo più da Piccole e Medie imprese, ancora indietro in termini di investimenti ed effettiva applicazione di questa tecnologia rispetto alle realtà più grandi. “Se questo è un fatto testimoniato da dati a livello nazionale, occorre capire il motivo per il quale esiste questo gap che, a mio avviso, non è tanto economico, ma culturale”, ha spiegato Gianluigi Greco. “Facciamo l’esempio di una piccola impresa a gestione familiare, con pochi altri dipendenti: spiegare a questa piccola impresa che deve assumere una persona che si occupa di sviluppare un progetto di Intelligenza artificiale potrebbe mandarla in crisi, soprattutto per la difficoltà di comprenderne i vantaggi. Ecco, il problema è tutto qui: non c’è una chiara percezione dell’enorme vantaggio competitivo che l’utilizzo di queste tecnologie può determinare, perché se fosse chiaro che possono migliorare le caratteristiche delle produzioni, i processi produttivi o la qualità del servizio, credo che nessuno avrebbe dubbi, tutti farebbero un tentativo. Per questo motivo serve formazione, ma non in astratto, in concreto, per far capire a queste piccole e medie imprese, ad esempio con dei piccoli show case, in che modo questa tecnologia possa rivoluzionare in meglio il modo in cui svolgono le proprie attività. È dunque la formazione, la chiave per entrare anche all’interno delle PMI”.
Abbiamo perso tempo in passato
Il difficoltoso passaggio dalla teoria alla pratica rispetto a questa tecnologia, osservato da Gianluigi Greco nel nostro Paese, è poi riscontrabile per un altro tema di fondamentale importanza, ed oggi sempre più discusso: quello dell’applicazione dell’Intelligenza artificiale in funzione del passaggio ad un modello di sviluppo sostenibile. “Questo è oggi un tema molto delicato e molto sentito a livello internazionale, ma credo che noi, a livello di applicazioni concrete, siamo ancora un po’ indietro. La ricerca ha pensato tanto a questo tema, ma poi si è investito poco per pervenire ad applicazioni specifiche.
A questo punto, prima ancora degli investimenti, credo però sia necessario sensibilizzare, e renderci conto che abbiamo perso tempo in passato: avevamo già tutte le tecnologie a disposizione per investire molto di più, ad esempio, nelle rinnovabili o in sistemi per l’ottimizzazione di elettricità e consumi, e per generare dunque un impatto positivo a livello ambientale. Si deve quindi fare ancora molto, perché ad oggi è stato fatto troppo poco”.
L’IA per l’ambiente: tra benefici ed effetto boomerang da evitare
Queste considerazioni assumono ancor più importanza alla luce del potenziale che questa tecnologia possiede nell’accelerare la transizione verso uno sviluppo realmente sostenibile, e verso tutte le declinazioni assumibili dal concetto di sostenibilità. Tra queste ultime però, ha evidenziato Gianluigi Greco, è probabilmente sulla dimensione ambientale che ad oggi questa tecnologia è più matura. “Cito un tema che mi sta particolarmente a cuore, quello dell’economia circolare. Come ripeto sempre, credo che economia circolare debba essere in primo luogo by design: ciò significa che i prodotti che realizziamo, che mettiamo in commercio, debbano essere già pensati e progettati per l’economia circolare, perché altrimenti si finisce per non riciclare nulla. Qui l’IA è utilissima, perché consente ad esempio di progettare in automatico un prodotto che abbia delle particolari caratteristiche in grado di favorire l’attuazione del paradigma circolare.
Poi, ovviamente, c’è il tema della decarbonizzazione: i sistemi di Intelligenza artificiale possono calcolare il carbon footprint di una determinata attività, e possono anche spiegare azioni di compensazione possibilmente attuabili. Credo quindi che in quest’ambito l’IA abbia un grande potenziale, su cui è fondamentale continuare a ragionare e lavorare”.
Se dunque queste applicazioni, com’è evidente, hanno il potenziale per contribuire alla decarbonizzazione, e quindi contrastare problematiche oggi quanto mai stringenti come quelle dell’inquinamento e del cambiamento climatico, Gianluigi Greco avverte però che il loro utilizzo non è esente da rischi, che è fondamentale gestire. “L’IA può certamente fare tantissimo per il clima, ma ha un problema intrinseco verso il clima stesso: i sistemi che utilizziamo per sviluppare tecniche di IA sono estremamente voraci. In più, la richiesta energetica da parte dei sistemi di Intelligenza artificiale segue un trend esponenziale, un termine che, come abbiamo imparato con il Covid, non presuppone nulla di buono. Ciò significa che continuando su questa strada, seppur con le buone intenzioni di utilizzare questa tecnologia a favore della sostenibilità, finiremo ad essere noi produttori di tecnologie digitali i principali artefici del cambiamento climatico. Per questo motivo è necessario invertire la rotta. Negli ultimi anni i ricercatori del mondo accademico e delle industrie hanno capito che per migliorare la qualità delle proprie applicazioni era sufficiente raddoppiare la potenza di calcolo a disposizione: questo va bene finché è sotto controllo, ma se sfugge al controllo, come sta accadendo, urge un ripensamento. Dobbiamo recuperare l’idea che ai problemi dell’informatica si risponda non con la forza, ma con le soluzioni ‘furbe’, e quindi riprendendo maggiore capacità di progettazione, e sviluppando tecniche che non richiedano enormi moli di dati. È questo l’unico modo per invertire la rotta, e per evitare che l’IA per il clima, che può fare tanto, possa generare un effetto boomerang”.
La soluzione ai problemi tecnologici
Ma le opportunità dell’IA – così come le possibili criticità – non si limitano alla sola sfera ambientale, arrivando in maniera significativa anche a quella sociale. “Anche in questo campo l’Intelligenza artificiale può fare tantissimo. Ad esempio, ci sono diversi ricercatori che analizzano l’utilizzo delle tecniche di IA nella direzione di un’equa distribuzione delle risorse, per comprendere i motivi per i quali esistono dei disequilibri nella loro distribuzione all’interno di fette della popolazione. Questa tecnologia ci consente, quindi, di analizzare fenomeni sociali, demografici ed economici con livelli di accuratezza che prima non era neanche pensabile realizzare.
In questo ambito, poi, metto senza alcun dubbio anche la medicina”, ha spiegato Gianluigi Greco. “Pensiamo al fatto che, in Italia, la popolazione sta invecchiando, e spesso gli anziani abitano in aree un po’ periferiche, nelle quali non c’è un ospedale nelle vicinanze. Queste persone, per sentirsi sicure, hanno bisogno di continui controlli e monitoraggi, e noi ad oggi abbiamo tutto per realizzare degli accuratissimi sistemi di telemedicina che, in maniera del tutto non invasiva, tramite ad esempio un dispositivo indossabile, consentono di monitorare lo stato di salute, i battiti e via dicendo. Insomma, c’è una enorme quantità di iniziative rispetto alle quali l’Intelligenza artificiale può rappresentare una leva concreta”.
Tuttavia, anche rispetto all’applicazione dell’IA in ambito sociale non mancano potenziali problematiche, che secondo Gianluigi Greco sono riconducibili nelle due tematiche principali dei bias e della spiegabilità. “Ad oggi, seppur l’Intelligenza artificiale non si risolva in questo, quando si parla di questa tecnologia la stragrande maggioranza delle persone ha in mente il paradigma delle reti neurali, del deep learning, perché questo è ora di ‘moda’ e suggerito dai media. In questo momento queste reti neurali creano apprensioni perché apprendono ciò che gli viene trasmesso dai dati, per cui se questi ultimi rappresentano in maniera distorta la realtà le reti non faranno che replicare e riproporre una realtà distorta. Ci sono stati diversi esempi di questi problemi, e molti dei timori che affliggono oggi il mondo dell’Intelligenza artificiale dipendono proprio da questi brutti esempi.
In questo senso, credo sia necessario chiarire un punto: come in tutte le situazioni in cui vi sono tecnologie che presentano potenziali problemi, la soluzione va ricercata nel modo in cui le persone si appropriano di queste tecnologie e pensano di utilizzarle. Serve anzitutto consapevolezza. Chi usa queste tecniche deve conoscerne i limiti, capire come applicarle, e conoscere anche le giuste metodologie con cui applicarle. È necessario, poi, costruire i data set in maniera bilanciata, in modo tale da mitigare i problemi di bias. Inoltre, i sistemi devono essere spiegabili, e devono essere costruiti in modo tale da poter spiegare ai cittadini cosa sono andati a realizzare. I ricercatori lavorano molto in questi ambiti, perché bisogna tenere sempre a mente che si sta parlando del rapporto delle tecnologie con l’uomo: il vero problema è quindi certamente creare tecnologie sempre migliori, ma soprattutto ricordarci che queste tecnologie sono per l’uomo, e che la soluzione a questi problemi non è altrove, se non dentro di noi”.
Dall’etica alle regolamentazioni
Ma se l’etica, in questo senso, deve sempre poter guidare l’operato delle persone, un ruolo altrettanto importante nel contesto di un Paese è assunto dalle regolamentazioni, in grado di guidare nell’implementazione dell’Intelligenza artificiale. “Nell’ottica di bilanciare opportunità e rischi di questa tecnologia l’aspetto regolamentare è assolutamente necessario, e la comunità europea sta facendo grandi passi in avanti in tal senso. Allo stesso tempo, però, ritengo fondamentale porre con attenzione sul piatto della bilancia il contraltare della regolamentazione. È chiaro che una regolamentazione troppo stringente può portare a vedersi preclusi alcuni mercati, o comunque a renderne più difficile l’ingresso: dobbiamo essere quindi molto accorti, per evitare di allontanare gli investimenti e di determinare un crollo dell’interesse da parte dei grandi player, che come si è detto ad oggi sono altrove”.
In conclusione, al netto delle possibili problematiche la cui gestione è di fondamentale importanza, l’intelligenza artificiale possiede un grande potenziale nella direzione dello sviluppo sostenibile, e che proprio per questo dovrebbe essere sostenuto nel tempo. “Proprio perché il tema della sostenibilità è così importante, però, non parlerei soltanto di iniziative per l’Intelligenza artificiale, ma per qualunque tecnologia”, ha spiegato Gianluigi Greco. “Credo che si debba comprendere l’idea che è necessario promuovere tutto ciò che può alimentare iniziative concrete a favore della sostenibilità. Bisogna ideare, progettare, finanziare e verificare il funzionamento di nuove idee. Finora si è fatto molto: basti pensare al fatto che il PNRR ruota intorno ai temi della transizione digitale e della transizione green. Ora è importante eseguire ciò che è stato finanziato, e continuare a investire nel tempo. È fondamentale, però, verificare concretamente se le iniziative attuate pongono realmente la sostenibilità al centro, per far sì che i progetti in tal senso possano lasciare davvero una traccia nella sostenibilità”.
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