Il campione digitale che non c’è

Come ha ricordato Stefano Epifani, l’Italia è stata molto attiva e dinamica nella nomina del digital champion nazionale, che è già cambiato tre volte: da Sambuco a Caio, passando per Ragosa. Per la cronaca, a Francesco Caio è stato anche aggiunto recentemente l’onere di realizzare l’assessment sulla rete di nuova generazione fissa.

Quello che non è. Può essere utile definire innanzitutto ciò che non deve essere il campione digitale nazionale. Non è sicuramente un’onorificenza per tecnocrati, ma nemmeno un premio per valenti funzionari, ovvero un compito da espletare nei ritagli di tempo come il più nobile degli hobby. Non deve servire un CV inviato 76 ore prima della nomina, ma nemmeno piacere a chi governa. Bisogna crederci ed essere credibili.

Dalle infrastrutture agli usi. Per vincere la sfida digitale, e a maggiore ragione in un Paese digitalmente arretrato come l’Italia, la partita si gioca contemporaneamente su tre pilastri: le infrastrutture, i servizi (a cominciare, ma non solo, da quella della Pubblica Amministrazione) e gli usi da parte di un numero sempre maggiore di soggetti. Solo in questo modo si creano quelle economie di scala e di scopo che consentono di creare valore per l’intero sistema. Se questo è vero, i campioni che cerchiamo sono forse più di uno, fino a tre (anche se rimane sempre l’opzione della trinità…).  Una cosa però è certa, il campione degli utilizzi digitali non è meno importante degli altri due e, probabilmente, è quello che ci manca di più.

Passione digitale. Epifani identifica una serie di requisiti che dovrebbe avere il prototipo di campione digitale: social, pop, hub e europeo. In sintesi, ci vuole allegria. Più che la figura di amministratore o di project manager serve quella che alcune multinazionali statunitensi (non a caso) chiamano “digital evangelist”: personaggi in grado di trasmettere innanzitutto entusiasmo. All’entusiasmo deve poi seguire la fantasia per moltiplicare le iniziative a favore della comprensione dell’utilità e dell’impatto delle tecnologie digitali sulla vita quotidiana, dalla sfera personale a quella professionale.

Il Popolo sovrano. Nell’era di Internet si potrebbe anche ipotizzare una nomina dal basso, dal popolo della Rete, salvo ricordare  che in questo modo si rischiano di perdere le istanze proprio di quelli che dovrebbero essere oggetto dell’inclusione digitale e che mancano ancora all’appello. Viva Internet, quindi, ma nel ricordo della zia o del nonno.

Avanti, c’è posto.

 

 

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