Ue invalida direttiva per la conservazione dei dati: “ingerenza nella vita privata cittadini”

La Corte di Giustizia Europea ha dichiarato invalida la direttiva del 2006, la Data Retention Directive, che impone alle società di telecomunicazioni degli stati membri di memorizzare i dati delle comunicazioni dei cittadini dell’UE per un massimo di due anni. La norma, secondo i giudici, viola il diritto alla privacy e alla protezione dei propri dati personali.

La direttiva in questione, introdotta dopo gli attentati terroristici di Madrid e Londra, era nata per offrire alle autorità strumenti migliori per indagare e perseguire la criminalità organizzata e il terrorismo. Nello specifico, chiedeva ai fornitori dei servizi di telecomunicazioni di mantenere i dati relativi al traffico e all’ubicazione delle chiamate, nonché altre informazioni necessarie per identificare l’utente, ma non il contenuto delle comunicazioni. Le registrazioni dovevano essere conservate dai 6 a 24 mesi.

Di recente, però, la Data Retention Directive, concepita con lo scopo di armonizzare i regolamenti degli stati membri sulla “retention” di alcuni dati generati dall’elaborazione delle comunicazioni elettroniche, era stata oggetto di proteste in Europa. Giudici austriaci e irlandesi, a fronte delle polemiche, hanno chiesto alla Corte di giustizia europea di pronunciarsi sulla conformità della legge alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.

La Corte ha affermato così che la direttiva prevedeva restrizioni non giustificate e straordinarie per questo tipo di dati poiché “comporta un intervento ampio e particolarmente grave ai diritti fondamentali e al rispetto della vita privata e alla protezione dei dati personali, senza che tale ingerenza sia limitata a quanto strettamente necessario”. Inoltre nella sentenza si legge che “il fatto che i dati siano conservati e successivamente utilizzati senza l’informazione e il consenso degli abbonati o degli utenti registrati è in grado di generare nelle persone interessate una sensazione di costante sorveglianza sulla vita privata”.

“La sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea va nella direzione da noi sempre auspicata di una più marcata tutela dei diritti”. Così  ha commento la notizia il Presidente dell’Autorità Garante per la privacy, Antonello Soro “I dati di traffico non sono informazioni neutre – sottolinea Soro – ma rivelano molto di tutti noi, della nostra vita privata. Una indifferenziata conservazione di questi dati per periodi molto lunghi espone quindi a grandi rischi. Con la sua decisione la Corte sottolinea, inoltre, l’esigenza che i dati oggetto di conservazione per ragioni di giustizia restino nel territorio dell’Ue con evidente riferimento alle recenti vicende del Datagate”.La sentenza opera un riequilibrio tra due valori, sicurezza e privacy, che in questi anni si erano decisamente disallineati. Occorrerà – conclude il Presidente dell’Autorità – una revisione dell’attuale sistema nel segno del principio di proporzionalità e delle garanzie per i cittadini”. 

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