Sharing Economy: trend o trendy?

«Condividiamo? Sì, grazie!». Digitando sharing economy su Google veniamo inondati di risultati (253 milioni di link), ma alla disponibilità di dati non sempre corrisponde un adeguato livello di comprensibilità del fenomeno. Grazie ad una prospettiva cronologica, emergono tendenze molto nitide. Nel biennio 2012-2013, la sharing economy approda con una serie di commenti entusiastici  come plausibile panacea della  crisi economica ed ambientale.
Successivamente, emergono analisi più dialettiche, ispirate dall’esigenza di una profonda regolamentazione della sharing economy per creare condizioni di maggior simmetria competitiva rispetto ai modelli di business tradizionali.

Con questa nuova rubrica, vogliamo contribuire al dibattito con la nostra opinione sulla sharing economy, per noi un modello di consumo complementare e democratico. E’ un’opinione non teorica e neanche neutrale, ma fondata sull’esperienza concreta di soggetti che operano nel campo della sharing economy, senza negare l’ecosistema di business tradizionali.

La sharing economy è un modello di consumo basato su due premesse portanti, la prima relativa all’efficienza dei modelli distributivi, l’altra attinente al campo sociale, entrambe rese attuabili dallo sviluppo della leva tecnologica. Il presupposto razionale di qualsiasi elemento di condivisione è l’esistenza di un patrimonio di beni, competenze e tempo solo parzialmente utilizzato, diremmo dormiente.

Questo patrimonio dormiente nasconde possibilità di utilizzo da parte di soggetti “altri” rispetto a chi lo possiede. Tale presupposto trova conferma dalla P2Pfoundation secondo cui mediamente in ciascuna casa dei paesi avanzati ci sono 3.000 dollari di beni inutilizzati.

A questa premessa razionale si accompagna la necessità di essere disponibili, individualmente e collettivamente, a collaborare.  Tale  volontà può essere ispirata dalla ricerca di una mutua convenienza (risparmio, ambiente, libertà, comodità, possibilità di provare) nello sharing, oppure da valori individuali solidaristici di tipo emotivo (senso di utilità, di comunità, gratificazione intellettuale, responsabilizzazione, appartenenza).

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[fonte: Campbell Mithun report]

E’ un’evidente finestra di opportunità per la sharing economy, che si inserisce a pieno titolo nella crescente rilevanza delle relazioni tra pari  (dai fenomeni di peer-2-peer collaboration, a quelli di partecipazione diretta alle scelte collettive tipica delle esperienze di democrazia diretta) che stanno riequilibrando i rapporti tra dimensione verticale e orizzontale dell’organizzazione sociale dei paesi sviluppati.

Tutte queste premesse hanno avuto modo di agire grazie alla leva tecnologica, che moltiplica le connessioni possibili (di fatto, la diffusione di internet mette in dubbio il numero di Dunbar, ovvero il numero massimo di relazioni sociali stabili di ciascuna persona), realizzando le condizioni per avvicinare ciascun soggetto attivo ai suoi pari d’elezione. Le diverse facce dell’esplosione dell’always on – banda ultra-larga, social, multidevices – amplificano oltremodo il pubblico potenziale di ciascun individuo nella rete.

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Il verificarsi di queste premesse ha abilitato modelli di consumo collaborativo il cui comune denominatore risiede nella possibilità che diverse persone usino – attraverso modelli estremamente vari che cercheremo di illustrare nelle prossime uscite –  lo stesso bene o servizio, estraendone quindi il suo massimo potenziale intrinseco. In contemporanea questa modalità di consumo incrementa la sostenibilità ambientale, attraverso la riduzione degli scarti prima ancora che attraverso il loro ciclo di smaltimento.

I modelli si differenziano per tipo di servizi, per esistenza e criteri di determinazione dei corrispettivi, per meccanismi di regolazione e controllo degli scambi, ma l’essenza è che “diverse persone utilizzano un patrimonio sino ad allora sprecato”, quindi con un costo sorgente nullo per  colui che mette in condivisione.

Se questo è l’aspetto teorico, la prima domanda che ci si pone è “dove siamo?”
Dovremmo differenziare tra situazione globale e realtà italiana, lo faremo nei prossimi appuntamenti, ma è importante riconoscere da subito che il fenomeno si muove con velocità differenziate per tipologia di servizio e geografia.
In uno studio approfondito sulla sharing economy negli USA appena pubblicato, Jeremiah Owyang (noto web strategist) prevede nel 2014 un aumento di partecipazione del 46% per la sola categoria dei beni di consumo già posseduti e di un 10% circa per le restanti categorie.

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Un 60% degli americani dichiara apprezzamento per il concetto di condivisione, ma ancor più significativo è che il 71% di quelli che hanno preso parte allo sharing di risorse intende ripetere l’esperienza (dati di ricerca  Campbell Mithun)
In Italia, a livello complessivo, il 45% circa degli italiani dichiara di aver sentito parlare di sharing economy, ma solo il 13% ha effettivamente sperimentato un servizio di consumo collaborativo.

Possiamo perciò dire che l’attuale prevalenza del trendy sul trend è un aspetto da sfruttare per accelerare la diffusione dei servizi di sharing. Il percepito sociale non etichetta il “condividere” come cheap, al contrario ne riconosce il valore razionale ed emotivo, ed è proprio questo l’elemento su cui far leva per raggiungere il tipping point nella diffusione.

Passando ad esaminare il fenomeno per segmenti, si registrano tassi di adesione molto diversificati, con il grande successo delle piattaforme di “spazio” e di “mobilità personale”, nuove realtà in fase di lancio – come tipicamente il noleggio peer-2-peer – ma anche modelli più tradizionali (banca del tempo e  piattaforme di baratto) che possono sfruttare il trend per rilanciarsi.

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(infografica by Latitude 42 per Shareable Magazine)

Il pieno dispiegarsi dell’economia della condivisione dovrà confrontarsi con la regolamentazione in arrivo, che potrà giocare il ruolo chiave di alimentare un fenomeno crescente – con positive ricadute sociali e occupazionali – oppure irrigidire la capacità di proposta innovativa.

Sarà compito degli attori della sharing economy evidenziare le potenzialità di crescita e le possibili sinergie con i modelli di business tradizionali in modo da non creare le condizioni di una competizione ad excludendum, ma viceversa individuando le aree di convergenza tra i modelli di business, tipicamente attraverso modelli B-to-B-to-C.

In questo senso, le Visioni che proponiamo si pongono come spazio di confronto dove i diversi attori possano considerarsi come cooperanti all’affermazione di modelli di consumo più efficienti e sostenibili.

 

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