Un camaleonte definito sharing economy

La sharing economy è un indiscusso trend del momento, perciò non manca di alimentare un proliferare di definizioni e classificazioni in perpetuo corso di affinamento. Come delinearne quindi l’effettivo dominio, con coerenza e rigore, posizionandola rispetto ai modelli contigui e a quelli più tradizionali?

Numerosi sono stati gli sforzi in questi ultimi anni per classificarla, a cominciare dalla pioniera del termine collaborative consumption Rachel Botsman (autrice di “What’s Mine Is Yours: The Rise of Collaborative Consumption”), fino alle più recenti analisi di web expert come Jeremiah Owyang (“Sharing is the New Buying”).

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[fonte: http://www.web-strategist.com/blog/ di J. Owyang]

Abbiamo quindi a che fare con un’area assai vasta, che vede il moltiplicarsi di termini come consumo collaborativo, peer-to-peer, economia circolare, swapping che – pur inserendosi nel più ampio scenario di modelli atti a ridurre le inefficienze della tradizionale distribuzione di beni e servizi – rappresentano di fatto fenomeni diversi seppur contigui tra loro, il cui comune presupposto  è passare dall’inquadratura del “non-usato uguale rifiuto”, ad una visione del “non-usato uguale risorsa”. Nel come ciò avviene scaturiscono le differenze tra i diversi modelli. La classificazione può avvenire sommariamente per focus:

  • Sul network (vs. le istituzioni)
  • Sugli attori e le loro relazioni (tipo di rapporto)
  • Sul cosa si condivide (tipologia di risorse)
  • Sulla modalità di consumo (ruolo della tecnologia)

Diremo dunque che nella nostra interpretazione, il fenomeno della sharing economy racchiude una pluralità di iniziative che consentono la fruizione condivisa di beni e servizi privati inutilizzati (o sotto-utilizzati), da parte di una pluralità di soggetti, in un medesimo orizzonte temporale. 

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Le tecnologie odierne consentono infatti  una gestione ad incastro dell’utilizzo delle risorse, ottimizzando quindi la loro fruizione. Per questo è possibile parlare di medesimo orizzonte temporale.

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Sulla base di questa nostra definizione volutamente “stretta” emerge in modo logico la non-appartenenza alla sharing economy di alcuni modelli normalmente considerati inclusi nel perimetro, come ad esempio:

– baratto, dove la logica transattiva punta a scambiare la proprietà degli oggetti, semplicemente utilizzando un mezzo di regolazione diverso dalla moneta (incluso anche la permuta dell’usato);

–  ri-uso che puntano all’alienazione oppure alla donazione di oggetti usati. Sia che l’oggetto usato venga pagato (es. eBay), sia che venga donato (es. gruppo Facebook Te lo regalo se vieni a prenderlo), il principio ispiratore rimane quello del trasferimento della proprietà con il conseguente diritto all’uso esclusivo dell’oggetto;

–  corporate renting che – anche per motivazioni fiscali – nasconde logiche di utilizzo esclusivo di un bene, come ad esempio il fleet car management.

Per converso a nostro parere rientrano nella sharing economy anche modelli spesso esclusi, in quanto tipicamente:

– sono espressione di logiche Business-to-Consumer che a nostro parere non contraddicono la definizione assunta;

–  non operano in logica peer-to-peer, bensì con una precisa separazione dei ruoli tra esercente ed utilizzatore;

–  sono ispirati da una finalità di profit che è a nostro parere coerente con la definizione presa alla base dell’analisi.

Di difficile classificazione invece sono le iniziative basate sulla condivisione d’informazioni e valutazioni, come ad esempio la certificazione delle competenze di professionisti e artigiani (es. SkillMe). Queste iniziative creano un circolo economico alimentato dalla condivisione dell’esperienza della competenza applicata.  A questo stato dell’analisi le considereremo escluse dal perimetro della sharing economy, ma rappresentano pur sempre un fenomeno palesemente orientato verso la creazione di valore per professionista e cliente grazie alla condivisione di qualcosa: in questo caso informazioni.

Avendo definito il nostro perimetro, può essere utile provare ad individuare le principali direttrici di differenziazione tra le iniziative incluse nella sharing economy.

FOCUS SULLA STRUTTURA DELLE RELAZIONI

  • Business to consumer (es. Car to Go nel campo del car sharing);
  • Consumer to consumer (es. Bla Bla Car sempre nel campo del car sharing);
  • Business to Business to Consumer (es. Pley, il servizio di noleggio dei Lego “noleggia, gioca e restituisci”);
  • Business to Business, (es. United Rentals, le iniziative di condivisione di attrezzature industriali).

FOCUS SUGLI ATTORI

  • Peer-to-Peer, con rapporti paritetici tra le parti dello scambio e regole dello scambio definite da una parte terza che in genere è il gestore dell’iniziativa;
  • Asimmetrici, in cui una delle parti definisce la struttura dell’accordo cui la controparte aderisce per sottoscrizione.

FOCUS SUL COSA SI CONDIVIDE

  • Specializzate su uno specifico comparto di attività (es. il noleggio sci online Skimium);
  • Settoriali relative ad una famiglia di beni o servizi, (es. AirBnB, leader nell’affitto temporaneo di spazi abitativi);
  • Generaliste dove è possibile scambiare beni, servizi, competenze e case/spazi (es. useit.it o sharing.it).

FOCUS SUL COME SI CONDIVIDE

Meccanismo di regolazione degli scambi, distinguendo tra:

  • Piattaforme con scambio monetario dove gli scambi e le commissioni sono espresse in valuta corrente;
  • Piattaforme con scambio non monetario dove per gli scambi e le eventuali commissioni sono utilizzati mezzi di regolazione diversi dalla valuta corrente, tipicamente le monete virtuali.

Modello di revenue share, con:

  • Iniziative basate sull’applicazioni di commissioni sugli scambi (es. LocLoc);
  • Iniziative gratuite, sia per la natura no profit, sia perché caratterizzate da revenue stream alternative (es. pubblicità).

Ruolo della tecnologia, distinguendo tra:

  • Iniziative many-to-many in cui la tecnologia  rappresenta l’abilitatore del modello di business perché consente di realizzare l’incontro tra la sollecitazione di beni/servizi inutilizzati e l’emersione della domanda altrimenti latente;
  • Iniziative few-to-many che trovano nella tecnologia un fondamentale abilitatore dei processi  operativi e di controllo della fruizione dei servizi;
  • Iniziative few-to-few in cui la tecnologia rappresenta il facilitatore, in una logica di economia di processo e di tracciamento.

Dall’incrocio delle variabili in gioco è possibile far emergere alcuni modelli di “Sharing as a …” che – pur non volendo essere esaustiva – prova a definire delle aree di convergenza in cui collocare le diverse iniziative presenti sul mercato nazionale o internazionale e incominciare a riflettere sulle tendenze in atto.

SHARING AS A STYLE SHARING AS A SOLUTION SHARING AS A SERVICE SHARING AS A SCALE SHARING AS A SALES STRATEGY
Struttura dello scambio C-2-C C-2-C B-2-C B-2-B B-2-C
Modello di rete many to many many to many few to many few to few one to many
Rapporti tra attori in gioco peer to peer peer to peer asimmetrici peer to peer asimmetrici
Scope of activity generalista specializzato specializzato settoriale specializzato
Mezzo di regolazione vario monetario monetario monetario monetario
Modelli di revenue share vario commissioni commissioni rental fee rental fee
Ruolo della tecnologia abilitatore di modello abilitatore di modello abilitatore di processo facilitatore abilitatore di processo
Esempi useit.it
locloc.it
airbnb.com
blablacar.com
car2go.com unitedrentals.com skimium.it

 

 

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