Stampa e web: un’opportunità colta con ritardo

L’industria editoriale è nel bel mezzo di un mutamento strutturale alla base del quale c’è il cambiamento della modalità con la quale i lettori oggi fruiscono dell’informazione e la convergenza verso il digitale delle abitudini di lettura.

Da questo punto di vista, l’errore strategico più grande che si possa imputare alla maggior parte degli editori è quello di aver ampiamente sottovalutato negli ultimi dieci anni la velocità con la quale l’innovazione tecnologica avrebbe spinto il cambiamento nelle abitudini di lettura. Rimanere concentrati solo sui ricavi della carta – che vuol dire copie, pubblicità e quel “magnifico” mondo dei cosiddetti collaterali – ha portato a tralasciare l’innovazione tecnologica e la crescita della cultura digitale all’interno dell’azienda e, soprattutto, a non impegnarsi a cambiare la struttura dei conti e del proprio modello di business, stando bene attenti a non perdere di vista i finanziamenti pubblici alla stampa e a ricorrere a contratti di solidarietà che – spiace dirlo – non risolvono il problema dei bilanci.

Women uses tablet while talking on phoneLa crescita di internet, che non è cosa di ieri – esattamente 20 anni fa a Cagliari un visionario come Niki Grauso poneva le basi per la nascita di Video Online e lanciava il primo quotidiano in rete, l’Unione Sarda – il rapido sviluppo delle tecnologie digitali e la disponibilità di banda hanno reso possibile l’introduzione di nuovi modelli di business online. Lo sviluppo della telefonia mobile assieme alla rapida diffusione di smartphone e di tablet che consentono di essere sempre connessi ha favorito la nascita delle App, lo sviluppo di nuovi concetti legati alla Rete e di nuove piattaforme.

Tutto ciò ha radicalmente cambiato lo scenario competitivo del mondo editoriale negli ultimi dieci anni. E mentre gli editori – occorre precisare non solo in Italia – continuavano a pensare che Internet fosse quasi una moda passeggera, una cosa adatta solo alle nuove generazioni e che avrebbero comunque avuto tutto il tempo per pensare a come monetizzare i propri contenuti sul web (e non a caso non ho detto a trasformare il proprio modello di business), aziende come Google, YouTube, Amazon, Facebook, Twitter e da ultimo WhatsApp – solo per citarne alcune – sono invece magistralmente riuscite ad approfittare dei cambiamenti introdotti dall’innovazione digitale e sono state in grado di catturare l’attenzione degli utenti, ottenendone in cambio quanto di più prezioso sono in grado di portare in dote: tempo e dati personali.

Il tempo si è andato a sottrarre alle vecchie abitudini di lettura favorendo la migrazione dalla carta al digitale in un contesto nel quale la dematerializzazione della notizia – che passa dalla carta al web – va di pari passo con la velocità con la quale la notizia viene resa disponibile e condivisibile sulle più diverse piattaforme di divulgazione. La velocità di propagazione sul web della notizia in sé, combinata con la più ampia disponibilità di fonti gratuite e liberamente accessibili, le ha tolto valore economico trasformando la news in commodity e creando un ulteriore problema agli editori tradizionali che sono chiamati a trovare una formula di business che sia in grado di remunerare i fattori della produzione, pena la sopravvivenza delle proprie aziende editoriali  dal punto di vista della sostenibilità economica dell’impresa.

Ed è proprio dal punto di vista economico che invece impattano quei dati che gli utenti, registrandosi ai servizi online per l’utilizzo di piattaforme social o di App di vario genere, hanno trasferito ai colossi della Rete contribuendo, con la loro disponibilità e il loro utilizzo per fini di marketing e commerciali, ad alimentarne la crescita del fatturato, in primis di quello pubblicitario.

02bisQuanto sia importante questo elemento lo si evince dalla richiesta fatta dall’AGCom a Google la scorsa settimana di fornire i dati del proprio fatturato pubblicitario in Italia (fino ad ora Google non ha mai diffuso i propri dati e in relazione alla richiesta dell’Autorità ha anzi presentato ricorso al Tar per impedirne la divulgazione). Il valore del mercato pubblicitario internet in Italia, secondo quanto pubblicato dalla stessa Autorità Garante sarebbe di circa 1.500 milioni di euro dei quali gli addetti ai lavori, in mancanza di dati ufficali, stimano in 800 milioni la quota del colosso di Mountain View . Il dato, se confermato, assegnerebbe a Google una quota di mercato della raccolta web superiore al 50%, facendone il secondo operatore assoluto in Italia dopo Mediaset e prima della Rai.

Ed è forse proprio alla luce di questi dati che debbono leggersi le recenti voci su una possibile alleanza a 4 da parte delle principali concessionarie di pubblicità italiane  – RCS, Manzoni, Mediamond e Banzai –al lavoro per creare un network comune per la raccolta della pubblicità online con l’obiettivo di unire le forze e i rispettivi bacini pubblicitari per contrastare i giganti del web.

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