Twitter fa mea culpa sui troll

«Pierino, chiedi scusa al signore!». Così esordiva la mamma, rimproverando l’incorreggibile «peste» in una nota barzelletta, dopo che Pierino aveva – più o meno inavvertitamente – mozzato la mano a una delle sue vittime con… un’ascia.

Noir? Rende bene però l’idea dell’inutilità – per quanto necessaria – delle scuse recapitate dopo il «latte versato»: e in ciò quanto mai si attaglia alle «lacrime di coccodrillo» – benché anche qui imprescindibili e gradite – di Twitter rispetto all’annoso e ancora irrisolto problema dei troll. «We suck at dealing with abuse and trolls», «we’ve sucked at it for years»: così Dick Costolo, amministratore delegato di Twitter in una nota interna intercettata da The Verge. «Sulla protezione degli utenti dagli abusi in rete e dagli attacchi dei “troll” facciamo schifo», ha ammesso. «È una situazione che va avanti da anni. È assurdo e non c’è da cercare scuse. Mi prendo tutte le responsabilità: la colpa è solo mia. È imbarazzante, mi vergogno».

trollMeglio tardi che mai. Ragioni di business, probabilmente, hanno spinto in realtà Costolo a fare tante ammissioni proprio ora, con un linguaggio tanto aperto e pentito: di «fuga da Twitter» e calo degli utenti attivi si parla ormai da un po’. Molte le innovazioni che, infatti, ogni giorno ci riserva la piattaforma: non però, al momento, nulla contro quello che notoriamente, in USA e in tutto il mondo, è ormai una vera piaga, per tutti i social e Twitter in particolare, i troll che tra i cinguettii prosperano. E che evidentemente – ci si è accorti – iniziano a costituire fonte di pericolo non solo per gli utenti (dai Brand alle persone, a ben più drammatico rischio #WebViolence), ma per la piattaforma stessa, a rischio perdita del suo volto più fascinating, del suo fattore attractive.

Tim Berners-Lee d’altronde aveva già sintetizzato, qualche settimana fa, in «disgusto» la sua posizione verso i troll in tutto il mondo social e online, parlando di «speranze del web distrutte dai troll». «Avevo sperato in un web in grado di dare alla gente strumenti per rompere le barriere nazionali e per favorire un progresso della conoscenza». Invece, la disillusione. E se Costolo si straccia le vesti, ma non sembra d’altra parte fornire per ora particolari soluzioni.

Si è sì rafforzata e strutturata l’area dedicata alla segnalazione degli abusi: con una squadra di avvocati appositamente arruolati per verificare e, in caso, procedere. Lo staff è ridotto però e ci sarebbe da vedere se e quanto velocemente funzioni, data la mole di segnalazioni in arrivo da ogni parte del mondo. Nulla, forse, rispetto a quanto accade su Facebook, sempre più sfogatoio dei «vizi privati». Twitter però potrebbe risentirne di più: sulla piattaforma, ad esempio, non è possibile «nascondere» il commento di un utente o «bannarlo» allo stesso modo che nel social di Zuckerberg. Lì posso cacciare il malintenzionato dal mio orticello, personale o pubblico: su Twitter posso solo, a causa del diverso impianto della Timeline e delle conversations, «segnalarlo» e/o «bloccarlo», senza tecnicamente poter impedire che lui nel mio orticello «ci venga», «sia visto» dagli altri o frequenti i miei contatti «parlando male di me a casa mia, coi miei ospiti». Posso solo risparmiarmi la noia di vederlo io: sai che guadagno. Così non saprei nemmeno più cosa gli altri dicono di me.

Come realizzo così Brand Protection? E soprattutto come mi proteggo se qualcuno vuole attaccarmi, farmi del male? Peggio per Twitter anche per il suo essersi proposto come social “di qualità”, rispetto al Facebook dei gattini: come «news network» più che come «social network». Come fidarmi e dar credito alle presunte news di troll?

Si aggiunga sommessamente un altro dettaglio: è notizia recente che Google avrebbe deciso di reinserire Twitter tra i risultati del motore di ricerca. Immaginate che gioia vedere– ipotizziamo – tra i primi risultati conversazioni offensive e calunnie sul nostro marchio, o peggio sulla nostra persona. Hai voglia a richieste di cancellazione e rivendicazioni del «diritto all’oblio» da parte degli utenti: che per «ripulirsi l’immagine» rischierebbero di metterci – e magari pagare – davvero un bel po’.

Ennesimo motivo di urgenza specifica del problema troll e «harassment» proprio per Twitter, lato Brand, sta nel fatto che proprio questa piattaforma è forse più di ogni altra usata per il Social Caring oggi: se è già dunque difficile capire «come dare assistenza nell’era dei troll», tanto più il problema si fa spinoso su Twitter.

Se Pierino, fatte le scuse, può tornare a giocare, Twitter e i social no. Colpevolizzazioni più o meno sincere devono presupporre azioni concrete, in collaborazione più diretta con le autorità competenti. La lotta ai troll, lo #StopWebViolence, riparta dal web.

 

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