Come dare assistenza nell’era dei troll

Buongiorno! È mattina, apri Facebook, i social. Controlli cosa è stato detto di te, del tuo ultimo post, del Brand che “tu sei” o di cui ti occupi. E subito: accuse, insulti, offese, minacce.

I soliti troll.

wpid-do_not_feed_the_trollsoliti troll che, di sera, danno il meglio di sé. Quando tu prendi pace credendo – candida ingenuità – di poter finalmente vivere qualche ora offline, non fosse che per dormire, gli altri “lavorano”. Aprono bacheche, timeline, feed di notizie e danno fiato alla lingua. Voce scritta, che resta. Molti lo fanno «così», «senza pensare»: a caso, coi primi che trovano. Altri invece con impegno professionale: e nessuno di loro, o quasi, ha realmente un problema. Con te, con l’azienda X o Y, con questa o quella persona o marchio. Semplicemente, è così divertente aprire flame, prendere in giro tutti insieme la gente! Magari poi c’è chi è pure pagato. Cosa vuoi di più dalla vita?

E tu, che leggi, sei lì che non capisci cosa fare, come affrontarli: ma soprattutto se qualcuno ha davvero un problema da risolvere, se qualcuno ti sta effettivamente chiedendo di spiegarti meglio, illustrare più dettagliatamente la tua posizione, ricevere aiuto perché in difficoltà.

Come dialogare in queste condizioni? E, nello specifico, come fare Customer Care Online nell’era dei troll?

«Che si parli della malattia di Emma Bonino o della liberazione delle ragazze rapite in Siria», scriveva qualche giorno fa Massimo Gramellini nel suo «Buongiorno» su La Stampa, «sul web si concentra un tasso insostenibile di volgarità e di grettezza. Una grettezza cupa, oltretutto, raramente attraversata da un refolo di ironia». La stessa ironia che, invece, abbiamo già più volte detto caratteristica di un buon #SocialCare. «Una radiografia di budella», continua Gramellini, «una macedonia di miasmi, una collezione di frasi impronunciabili persino con se stessi».

Non entriamo nel merito della riflessione che un simile, quotidiano panorama ci apre. Torniamo sempre al problema: «Don’t feed the troll», «#StopWebViolence», urgenza non solo di «educazione digitale», ma di una nuova «educazione civica digitale» e, anzitutto, di una rinnovata formazione in termini di «educazione civica», di ricordo delle leggi esistenti, con loro applicazione e introduzione di nuove, se necessario.

Occorrerebbe insomma una «Rivoluzione della Società» che, però, non possiamo essere noi a fare: anche se, come sempre, ciascuno può e deve contribuire. Non è, infatti, che sia cambiato l’uomo: che con l’avvento di Internet, «strumento del Male assoluto», improvvisamente ci siamo trasformati tutti in delinquenti. Per usare ancora le parole di Gramellini, «la solitudine anonima della tastiera produce il microclima ideale per estrarre dalle viscere un orrore che forse neppure esiste. Non in una dimensione così allucinata, almeno». È che web & social amplificano: incarnano l’ambiente ideale per moltiplicare esponenzialmente, innervare di linfa vitale il proliferare di atteggiamenti e tendenze da sempre presenti nell’essere umano. Finendo così non solo per trasfigurarle in braccia di un polipo che si diffonde sempre più – perché la memoria digitale resta, nonostante tutto, quasi impossibile da cancellare – ma che cresce sempre, anche d’intensità e qualità, moltiplicandone il potenziale di violenza. «Nessuna di queste oscenità pigiate sui tasti troverebbe la strada per le corde vocali», scrive Gramellini a proposito di quello che già è stato definito l’«anonimo disinibito». «Nessuno di quelli che per iscritto augurano dolori atroci alla Bonino e rimpiangono il mancato stupro delle cooperanti liberate avrebbe la forza di ripetere le sue bestialità davanti a un microfono o anche solo a uno specchio».

trollQuesto allora dovremmo insegnare: come si scrive su una tastiera e che cosa succede dopo. E se già per Berners-Lee questo rappresenta «la distruzione delle speranze del Web» – o se per il buon giornalista il trionfo della «parola violenta» è il fallimento della scrittura – questo per noi è anche, se non il fallimento, certo un grosso ostacolo che si pone al dialogo, alla completa e soddisfacente conversazione online: nei rapporti personali, nel networking professionale, nella doverosa gestione delle richieste di assistenza che giungono alle aziende e che finiscono ormai per mischiarsi del tutto alle provocazioni di chi problemi non ne ha, ma fa polemica tanto per passare il tempo.

«Per noi innamorati della parola scritta è una sconfitta sanguinosa che mette in crisi antiche certezze», conclude amaro Gramellini. «Per la prima volta guardo il tasto “invio” del mio computer come un nemico». Anche chi fa Social Care. Come filtrare i messaggi, gli input in arrivo? Come correre in real time ad assistere chi ha bisogno di te se devi perder tempo a monitorare e moderare gli insulti, e non puoi procedere al semplice Delete & Ban? Come soddisfare in diretta le esigenze dei consumatori – che ormai su social s’aspettano risposta in ben meno di un’ora – se devi occupare le tue energie a gestire flame? «Niente spreco di energie», conosciamo il comandamento. Peccato che nella realtà non sia così semplice.

Ecco dunque il nuovo scenario che si apre a chi vuole, o deve, dare aiuto a qualcuno online, fornire assistenza in ogni senso: non solo l’urgenza di massimizzare la produttività abbattendo tempi e costi, ma il dovere di mettere in preventivo l’ulteriore fattore incalcolabile del «troll». Altri tempi, altri costi.

Quanto ne vale la pena, in nome della difesa di una presunta libertà di parola che non è più espressione di democrazia, ma di anarchica e despotica violenza?…

 

 

 

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