La foto (falsa) di Hillary Clinton con la bandiera confederata: chi di fake ferisce di fake perisce

Su Internet girano un sacco di fake, lo sappiamo tutti.

Se dovessimo dare una definizione di fake  potremmo dire che si tratta o di una persona che sul web si spaccia per qualcun altro, oppure un contenuto completamente falso che viene invece spacciato per vero. A volte è facile riconoscere un fake, perché spesso il suo intento è puramente satirico e il suo scopo è quello di far ridere gli altri utenti dopo un secondo di pura perplessità (è il caso dei siti satirici come Lercio o dei tanti fake dei personaggi politici che si trovano su Twitter, che si distinguono da quelli veri magari per via di una lettera abilmente camuffata nel nome account). Ma ci sono anche dei fake che, invece, vengono costruiti al solo scopo di diffondere notizie false, spesso relative a temi di grande attualità e che generano un certo fermento nell’opinione pubblica.

È il caso, ad esempio, della polemica ancora in corso negli Stati Uniti sulla bandiera confederata: un “caso” scoppiato da un fatto di cronaca che sta facendo discutere tutto il paese in toni molto accesi. In breve: il 18 giugno 2015 il 21enne Dylann Roof apre il fuoco in una chiesa afroamericana di Charleston, in South Carolina, facendo nove morti. Il giovane, arrestato poche ore più tardi, motiverà la strage dicendo di voler scatenare una “guerra razziale” contro le persone di colore. Il fatto ha profondamente scosso gli Stati Uniti, che è tornato a dover fare i conti con la questione razziale. Tra i tanti aspetti su cui si è estesa la discussione c’è anche quella della bandiera confederata, la storica bandiera che accomuna gli stati del Sud e che viene ancora innalzata su alcuni edifici pubblici. La polemica nasce dal fatto che questa bandiera è legata indissolubilmente alla storia della Guerra di secessione, quando gli stati del Nord si scontarono con quelli del Sud sul anche sul principio dell’abolizione della schiavitù in tutti gli Stati Uniti. Per questo, all’indomani della strage di Charleston, la bandiera confederata – ancora in uso anche in South Carolina – è stata vista come un simbolo del razzismo e di segregazione razziale contro gli afroamericani.

La polemica è montata in fretta: in molti hanno chiesto che la bandiera confederata venisse ammainata o rimossa, la CBS ha smesso di trasmettere le repliche di Hazzard perché sul tetto della macchina di Bo e Luke era riprodotta, appunto, la bandiera confederata, e la questione – ovviamente – è diventata terreno di scontro politico proprio mentre la campagna elettorale per le presidenziali del 2016 entra nel vivo.

Anche Hillary Clinton, candidata dei Democratici per la corsa alla Casa Bianca del 2016, si è schierata contro la bandiera confederata, appoggiando la decisione di Nikky Haley, governatore della South Carolina, di mettere ai voti un provvedimento per rimuovere il vessillo dalla State House della capitale Columbia. (Il provvedimento è stato poi messo ai voti il 9 luglio e ha vinto il sì).

Qualcuno, però, ha pensato bene di sfruttare la polemica sulla bandiera confederata per attaccare la Clinton dal punto di vista politico: questo qualcuno è Dinesh D’Souza, commentatore politico piuttosto noto negli Stati Uniti, famoso per essere un fervente conservatore. Il 7 luglio D’Souza ha twittato questa foto, con un commento scritto di suo pugno:

Guardate attentamente questa foto di Hillary, quella sulla libreria dietro di lei non è una bandiera confederata?

Clinton

La foto è piuttosto famosa: immortala una giovanissima Hillary Clinton – all’epoca Hillary Rodham – nel 1969, quando era ancora una studentessa in procinto di laurearsi al Wellesley College. Queste foto, pubblicate da Life, sono diventate improvvisamente famose sul finire dell’inverno del 2014, quando vennero ripubblicate dalla rivista in concomitanza con l’inizio della nuova corsa alla Casa Bianca dell’ex First Lady. Le foto, naturalmente, sono diventate virali.

Peccato solo che quella twittata da D’Souza sia proprio un fake. O meglio: la foto è vera, ma la bandiera confederata che si vede sullo sfondo è stata aggiunta con Photoshop. Un fake confezionato ad arte da qualcuno che voleva screditare l’immagine della Clinton nel momento in cui si è schierata contro la bandiera confederata. Ma soprattutto un fake che girava già da un po’ sul web, e che tutti riconoscevano come tale. Tutti meno D’Souza, che l’ha twittata prendendola per vera e credendo di avere sottomano lo scoop politico dell’anno.

Ovviamente, non è passato troppo tempo prima che più di un utente facesse presente a D’Souza di aver preso un colossale granchio (solitamente l’espressione che si usa in questi casi è un’altra, e ha a che vedere con il calpestamento di materia organica, ma soprassediamo).

E a quel punto, cosa fa D’Souza? Cancella il tweet con tante scuse, come sarebbe d’obbligo? No. Decide di buttarla in caciara cercando di spostare l’attenzione dal suo “epicfail” agli occhiali vintage di Hillary Clinton.

Clinton2

[CORREZIONE: Ignorate la bandiera confederata sullo sfondo e concentratevi semplicemente su quegli occhiali e quei capelli]

Non una gran mossa, in effetti. L’unica “cosa onesta” da fare, da parte di Dinesh D’Souza, sarebbe stato cancellare il tweet chiedendo scusa non soltanto a Hillary Clinton – per quella che probabilmente si configurerebbe come una diffamazione bella e buona – ma anche a tutti i propri follower, per aver diffuso un’informazione falsa. Questione di educazione, insomma. Che, forse, non avrebbe comunque messo al riparo D’Souza dalle polemiche e dalla irruente risposta del web.

Irruente risposta del web che si è manifestata così:

Clinton3

[Wow, @DinesDSouza, amico, immagino che tu abbia una spiegazione per questa?]

Sì, è proprio quello che sembra: gli utenti hanno cominciato a prendere in giro D’Souza affiancando le sue foto ad altre bandiere “compromettenti”, come quella dell’ISIS…

… o addirittura la svastica:

clinton4[Amico, cosa cavolo…?]

 Si tratta di fotomontaggi volutamente grossolani e chiaramente interpretabili come fake, proprio per sottolineare l’entità del “granchio” preso da D’Souza che, in qualità di commentatore politico, dovrebbe essere informato su tuto quello che succede ai protagonisti di ambo le fazioni o, per lo meno, avere un po’ di “occhio” nel riconoscere un falso clamoroso come quello della foto photoshoppata della Clinton. Una foto che, nella sua versione originale e reale, era circolata parecchio sul web: pertanto, uno che della politica ha fatto il proprio mestiere avrebbe dovuto riconoscere al volo la versione contraffatta, anche se riguardante un avversario politico.

E ovviamente l’occasione è buona per trasformare il tutto in un attacco verso D’Souza, che non sarebbe particolarmente apprezzato dai sostenitori dei Democrats:

clinton5

[Guardate attentamente sulla parete dietro @DineshDSouza – quella non è una svastica?]

Clinton6

[Correzione: Ignorate la svastica photoshoppata sullo sfondo e concentratevi sul criminale in primo piano. – tweet via Thought Catalog] 

Per una persona come Dinesd D’Souza, il cui obiettivo è porsi come voce autorevole nel dibattito politico di una nazione, la reputazione sui social media rappresenta la fetta più importante della torta: cadere su un fake è un passo falso molto grave che, in alcuni casi, può intaccarne in modo considerevole e irreparabile l’autorevolezza e l’immagine. E questo vale per i politici, i giornalisti, gli opinion leader e, in generale, per tutti i personaggi pubblici che comunicano sui social media. E l’imbarazzante errore di Dinesh D’Souza dimostra, una volta di più, importanza del fact-checking prima di condividere qualcosa sui propri profili social. Ma non solo: la reazione degli utenti lascia intuire piuttosto chiaramente anche come NON bisogna rispondere quando si condivide una notizia palesemente falsa che noi crediamo vera. In buona o in cattiva fede che sia.

Lesson Learned: Prima o poi capita a tutti, anche ai migliori, di cadere su un fake. L’importante è riconoscere il proprio errore e chiedere scusa: non solo a un eventuale diretto interessato, ma anche a tutti i propri follower, senza pensare di poter “camuffare” la gaffe trasformandola in goliardia.

 

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