Sharing economy: San Francisco al voto per limitare Airbnb

E’ atteso in queste ore l’esito del referendum che si terrà a San Francisco e che vede, tra i diversi punti su cui i cittadini sono chiamati a pronunciarsi, anche regole per l’attività di sharing più famosa al mondo, quella di AirBnB. I cittadini, infatti, sono invitati a  esprimersi, tra le altre, sulla Proposition f: se vincerà il “sì”, gli affitti di breve termine dovranno essere limitati a 75 notti all’anno e le autorità potranno multare i proprietari di appartamenti in affitto su siti come Airbnb che non si siano registrati come locatori, e i vicini potrebbero anche denunciare eventuali irregolarità.

Un braccio di ferro che va avanti da molto tempo, quello tra il colosso e la sua vittà natale, che era sfociato con un significativo provvedimento che apriva la strada agli affitti degli alloggi privati in quella che è stata subito ribattezzata “legge Airbnb”: proprietari e inquilini possono utilizzare siti web per affittare le loro case, appartamenti e camere su base temporanea, massimo 90 giorni all’anno, estendibili al periodo che più si preferisce se i proprietari sono anch’essi in casa durante il soggiorno. La norma nel corso del 2015 è stata revisionata dopo essere stata ritenuta inapplicabile e, ancora, a luglio la città ha rinnovato la legge creando anche un ufficio ad hoc per gestire l’attività. Si arriva quindi all’autunno di quest’anno quando i problemi avuti con molti cittadini e associazioni, è sfociato nella formulazione del quesito referendario: in queste ore un gruppo di supoorter della Prop F ha anche occupato gli uffici AirBnB della città.

Le accuse e la difesa

Le accuse per AirBnB sono quelle di aver contributio a creare un sistema di prezzi al rialzo che sta rendendo il mercato immobiliare di San Francisco costoso come Manhattan dal momento che, dicono gli analisti, una casa in media costa 1,1 milioni di dollari, il 60% in più di cinque anni fa. L’effetto pratico è che sia più vantaggiosi stare fuori città che in città. Il colosso, per suo conto, respinge le accuse e anzi, sottolinea come le tasse di soggiorno che AirBnN paga alla città rappresentino una notevole entrata: Business Insider stima che la città rischia di perdere un gettito fiscale pari a 5,8 milioni di dollari l’anno se il referendum dovesse avere la meglio. Soldi che, si lascia intendere, finiscono nelle tasche della città a tutto vantaggio di molti altri servizi alla cittadinanza.

Il colosso della sharing non è stata a guardare e,  nel corso della campagna referendaria, ha investito quasi 8 milioni in attività di lobbing a favore del suo business, cifra che non l’ha però messa al riparo da una serie di contestate azioni pubblicitarie che, secondo molti, stanno finendo per raggiungere l’effetto opposto, ovvero acuire il risentimento cittadino.

AirBnB all’estero

Perchè, verrebbe da chiedersi, vi è questo accanimento da AirBnB a ottenere ciò che comunque in altri paesi ha già agevolmente raggiunto? Si tratta di una città contro migliaia di città in cui il servizio è attivo. Ad Amsterdam, per esempio, il colosso paga la tassa di soggiorno e contribuisce all’economia generale, stesso accade anche in Francia, piazza anch’essa contestata in questo caso dagli albergatori di lusso che la accusano di concorrenza sleale. La Francia è, inoltre, la piazza più calda per AirBnB ma San Francisco secondo gli osservatori non ha solo valenza simbolica in quanto città natale dell’attività. Se le regole proposte nella Prop F venissero accolte si genererebbe un pericoloso precedente e  altre città al mondo potrebbero seguire l’esempio di San Francisco.

Di certo un precedente comunque ingombrante per molte iniziative legate alla sharing economy.

Facebook Comments

1 COMMENT

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here