Microsoft, il sonno della ragione

Naturalmente, non parlo dell’azienda, che continua a beneficiare degli effetti delle decisioni lungimiranti prese da Bill Gates quando era il leader (mai eguagliato per visione e capacità) del colosso di Redmond. Decisioni che hanno generato quell’ecosistema che continua a tenere in piedi, anche se con difficoltà crescenti, quel modello “chiuso” dal quale è praticamente impossibile uscire, perché è entrato nelle abitudini quotidiane della maggioranza delle persone.

Parlo dei trent’anni di “distrazione collettiva” di tutti i Paesi, tra il 1985 e il 2015, che hanno lasciato nelle mani di Microsoft – perché era comodo e non obbligava a pensare e prendere decisioni – il governo tecnologico della cosa pubblica, a partire – e questo è l’aspetto più grave – dalla scuola. Senza questo sonno della ragione, Microsoft non sarebbe mai riuscita ad arrivare all’attuale situazione di monopolio di fatto, che ormai rappresenta un costo insostenibile, e non solo sotto il profilo economico, per la comunità.

Sleep

Prendiamo, per esempio, il formato dei documenti creati da Microsoft Office. In pura teoria, a partire dalla versione 2007 si tratta di un formato standard, per cui il problema dell’interoperabilità con gli altri software non si dovrebbe porre, perché i documenti dovrebbero essere facilmente riconducibili alle specifiche depositate presso la International Standards Organization (meglio nota come ISO).

E invece, non solo ciascuna versione di Microsoft Office dalla 2007 in avanti (Office 2007, Office 2010, Office 2013 e Office 2016) crea una versione diversa di documenti che dovrebbero essere standard – e quindi sempre uguali, a parità di contenuti – ma rende praticamente impossibile la creazione dell’unica versione “standard” (chiamata “Strict”) in quanto la lega a un comportamento non standard dell’utente. Naturalmente, Microsoft Office utilizza come formato di base la sua versione “creativa” dello standard.

Purtroppo, il solo fatto che esista un formato di Microsoft Office che risponde, in pura teoria, al concetto di standard, rappresenta per tutti i governi – con l’unica, e virtuosa, eccezione del Governo del Regno Unito – motivo sufficiente per evitare di pensare e prendere una decisione a difesa dei cittadini, ovvero il passaggio al formato ODF (Open Document Format), l’unico standard per i documenti autenticamente standard.

Il Governo del Regno Unito ha stimato che i costi nascosti dovuti alla mancata interoperabilità ammontano a qualche punto percentuale della propria spesa totale in information technology, di 16 miliardi di sterline all’anno.

Questi costi vengono ridotti quasi a zero (i problemi di interoperabilità che derivano da errori nella creazione dei file non possono essere eliminati) passando a ODF, perché i documenti ODF – a parità di contenuti – sono identici, e vengono letti da tutti i software compatibili nello stesso modo (e gli eventuali problemi di lettura sono riconducibili al software, e non al formato).

Al contrario, il formato OOXML cambia tra due diverse versioni di Microsoft Office, per cui i documenti vengono letti correttamente solo dalla stessa versione del software (e quindi da una minoranza degli utenti). Questo è talmente vero che i problemi di interoperabilità tra due diverse versioni dello stesso software vengono ormai considerati un male necessario, e gli utenti stentano a credere che sia possibile eliminarli passando a un altro formato (e come se non bastasse, un formato creato da un consorzio di aziende e non dalla “grande” Microsoft).

Purtroppo, gli utenti ignorano completamente l’esistenza del lock-in, e con loro anche i governanti che dovrebbero vegliare sulle istituzioni che rappresentano gli utenti, e dovrebbero proteggerle dagli effetti del lock-in. Infatti, se per un utente la fuga dal lock-in ha un costo in termini di tempo (io ho “perso” delle ore per fare la conversione di tutti i miei documenti dai formati Microsoft a ODF), per una istituzione ha un costo sia in termini di tempo sia in termini di debito tecnologico, perché l’istituzione continua a utilizzare una tecnologia obsoleta che non ha lo scopo di innovare ma solo quello di perpetuare se stessa.

Il Governo della Francia si è svegliato dal sonno della ragione, e ha aggiornato il repertorio dei formati aperti. Il Governo dei Paesi Bassi si sta muovendo in modo simile. Purtroppo, le speranze che questo avvenga anche in Italia sono flebili, in quanto coloro che dovrebbero vegliare sul tema non sono a conoscenza nemmeno del fatto che OOXML non è – allo stato dei fatti – uno standard. Secondo loro, il problema non merita nemmeno un approfondimento… E il sonno della ragione continua.

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Laureato in Lettere all’Università Statale di Milano, è uno dei fondatori di The Document Foundation, la "casa di LibreOffice", nonchè portavoce del progetto a livello internazionale; è anche fondatore e presidente onorario della neonata Associazione LibreItalia. Ha partecipato ad alcuni tra i principali progetti di migrazione a LibreOffice, sia nella fase iniziale di analisi che in quella di comunicazione orientata alla gestione del cambiamento. Ed è autore dei protocolli per le migrazioni e la formazione, sulla base dei quali vengono certificati i professionisti nelle due discipline. In questa veste è coordinatore della commissione di certificazione. Come esperto di standard dei documenti, ha partecipato alla commissione dell'Agenzia per l'Italia Digitale per il Regolamento Applicativo dell'Articolo 68 del Codice dell'Amministrazione Digitale.

2 COMMENTS

  1. Utilizzo la suite di Apple iWork per leggere e modificare file Office (nonostante abbia una completa licenza Office 365 fornitami dall’università) senza alcun minimo problema.
    Cioè, ma davvero ci lamentiamo del font Franklin Gothic che viene sostituito con Helvetica? E non mi si parli della formattazione, perché quella non viene minimamente sfiorata.
    Articolo inutile tanto quanto l’attenzione che necessita l’argomento di cui parla. La gente muore di fame e c’è chi grida al “gombloddo” perchè qualcuno 28 anni fa uno standard mondiale lo ha inventato.

  2. put on the conference. D&r7812;a#cy Norman for giving me ideas for my server (and making me laugh). Catherine Ngugi for being so trusting. All the great questions in my session. The good people at the indian restaurant. Everyone who kept

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