Un patto per la Crescita Digitale delle PA

La Legge di Stabilità 2016 prevede una serie di interventi sul fronte della razionalizzazione e contenimento della spesa informatica. In particolare, è importante menzionare i seguenti passaggi:

Comma 512: Al fine di garantire l’ottimizzazione e la razionalizzazione degli acquisti di beni e servizi informatici e di connettività, […] le amministrazioni pubbliche […] provvedono ai propri approvvigionamenti esclusivamente tramite Consip SpA o i soggetti aggregatori, ivi comprese le centrali di committenza regionali, per i beni e i servizi disponibili presso gli stessi soggetti.

Comma 513: L’Agenzia per l’Italia digitale (Agid) predispone il Piano triennale per l’informatica nella pubblica amministrazione che è approvato dal Presidente del Consiglio dei ministri o dal Ministro delegato. Il Piano contiene, per ciascuna amministrazione o categoria di amministrazioni, l’elenco dei beni e servizi informatici e di connettività e dei relativi costi, suddivisi in spese da sostenere per innovazione e spese per la gestione corrente, individuando altresì i beni e servizi la cui acquisizione riveste particolare rilevanza strategica.

Comma 515: La procedura di cui ai commi 512 e 514 ha un obiettivo di risparmio di spesa annuale, da raggiungere alla fine del triennio 2016–2018, pari al 50 per cento della spesa annuale media per la gestione corrente del solo settore informatico, relativa al triennio 2013–2015, al netto dei canoni per servizi di connettività e della spesa effettuata tramite Consip SpA o i soggetti aggregatori documentata nel Piano triennale di cui al comma 513, […]. I risparmi derivanti dall’attuazione del presente comma sono utilizzati dalle medesime amministrazioni prioritariamente per investimenti in materia di innovazione tecnologica.

1. Le criticità

È evidente che l’intento del legislatore e del governo è di mettere sotto controllo una spesa troppo spesso dequalificata, improduttiva, disorganica. Questa immaturità della spesa si traduce in sprechi, duplicazione, incoerenza e incompatibilità delle soluzioni, incapacità di rispondere in modo adeguato ai bisogni dei cittadini e della società civile nel suo complesso. Intervenire per contrastare queste distorsioni è ovviamente positivo, così come è lodevole la dichiarazione di intenti secondo la quale i risparmi sono utilizzati “prioritariamente” (peccato non si sia detto “obbligatoriamente” …) in innovazione tecnologica.

Tuttavia, le norme che sono state definite espongono a due rischi molto pericolosi:

  1. Un’interpretazione miope e semplicistica che porti ad un ulteriore dequalificazione e taglio indiscriminato della spesa. Ciò renderebbe ancora più complesso e arduo l’avvio e lo sviluppo di diffusi processi di innovazione delle amministrazioni pubbliche e penalizzerebbe ulteriormente le imprese IT.
  2. Un ulteriore rallentamento e irrigidimento dei processi di procurement e innovazione, vittime di nuove strozzature procedurali e controlli a priori.

Che fare per evitare questi problemi? Come innescare una dinamica positiva? Quali misure e strategie adottare per dare slancio e velocità ai processi di innovazione? Soprattutto, come indurre dinamiche positive sui due “terminali” del processo: le amministrazioni committenti e il mondo delle imprese IT. È soprattutto vitale che queste ultime siano motivate e spinte a collaborare in modo convinto e diffuso. Sarebbe disastroso se la reazione delle imprese IT a queste innovazioni normative e strategiche fosse un (per certi versi comprensibile) rinchiudersi su se stesse, a difesa della loro attuale presenza sul mercato.

Non è certo semplice affrontare un tema così articolato e complesso. Ma credo sia possibile identificare alcune linee di pensiero (e di azione) che possano quanto meno aiutare ad indirizzare i processi di innovazione e a gestirne la complessità.

2. Una visione condivisa

Un paio di anni fa scrissi un documento che avevo preparato per l’allora commissario Caio e che non casualmente si intitolava “Per una strategia digitale delle amministrazioni pubbliche del Paese”.

Quel documento conteneva alcuni elementi che in queste ultime settimane stanno prendendo sempre più corpo:

  1. L’enfasi sullo sviluppo e integrazione dei backend tramite API.
  2. La definizione di architetture e modelli di riferimento.
  3. L’identificazione di ecosistemi di sviluppo settoriali (sanità, scuola, …).
  4. Il bisogno di promuovere una reale visione “coopetitiva” che coinvolga strutture pubbliche e soggetti privati.
  5. La definizione di infrastrutture di sistema e di standard tecnologici condivisi.

Tra le altre cose, due anni fa scrivevo quanto segue:

In altri termini, è vitale passare da una visione nella quale ogni amministrazione vive il proprio processo di digitalizzazione in modo autonomo ad una concezione e progettazione unitaria che dà luogo, per quanto possibile e fattibile, ad una execution distribuita e coerente sul territorio e nelle diverse amministrazioni. Ciò non significa attentare ai legittimi diritti delle autonomie, quanto rendere possibili dei processi che oggi nei fatti non riescono a decollare, mortificando in primo luogo proprio le istanze di coloro che operano sul territorio a diretto rapporto con i cittadini e le realtà della società civile. Al tempo stesso, un approccio unitario e sinergico può portare ad una razionalizzazione della spesa che libera risorse vitali per soddisfare le richieste di coloro che operano sui territori e che necessitano di nuovi strumenti di intervento e presenza.

In generale, scrivevo che è necessario dispiegare una visione unitaria e dei criteri di convergenza che

  • preservino l’autonomia dei singoli soggetti istituzionali;
  • garantiscano la compatibilità e coerenza delle soluzioni;
  • favoriscano una crescita virtuosa del mercato e un fattivo e convinto coinvolgimento delle imprese ICT.

3. I criteri di convergenza

Quali possono essere i criteri e i meccanismi di convergenza? Provo qui di seguito a citarne alcuni.

I. Piano triennale

Un primo elemento di convergenza è il “to-be”, il piano triennale che definisce lo scenario complessivo, gli standard, le infrastrutture abilitanti, le architetture di riferimento, e la struttura e i processi degli ecosistemi di settore e territoriali per le diverse amministrazioni centrali e locali del Paese.

Il piano deve essere accompagnato da altri tipi di contributi:

  • Identificazione degli investimenti necessari, distribuiti tra strutture centrali e locali.
  • Allineamento con CONSIP e le altre centrali acquisti.
  • Sviluppo e aggiornamento del piano su base triennale con un criterio “rolling”.
  • Definizione dei meccanismi di governance (luoghi istituzionali di confronto e decisione, regolamenti attuativi, specifiche tecniche, standard, pareri, …).

II. Riqualificazione delle spesa pubblica

Un secondo elemento di convergenza è costituito dalla definizione di nuove modalità di procurement che premino qualità dell’offerta e non semplicemente riduzione del costo. Per attuare questo passaggio è vitale che gli investimenti IT siano supervisionati direttamente dal vertice politico-amministrativo e non semplicemente dai responsabili delle operazioni o della gestione amministrativa.

III. Processo di coinvolgimento delle amministrazioni

Un terzo elemento è un modello di collaborazione organica tra AgID, amministrazioni centrali e autonomie locali. Tale modello di collaborazione è lo strumento per definire un quadro condiviso e coordinato di interventi che allinei quanto fatto dalle amministrazioni centrali con le iniziative delle regioni e degli enti locali.

IV. Formazione del personale delle amministrazioni

Il quarto elemento è un programma diffuso di formazione, coaching e supporto al personale delle amministrazioni affinché sia il motore primo dei progetti di innovazione digitale.

V. Utilizzo di infrastrutture condivise

Un ultimo elemento che facilita una progressiva convergenza è l’utilizzo di infrastrutture e servizi condivisi come SPID, PagoPA, ANPR. In questo modo, da un lato si converge sull’uso di funzionalità standard e unificate e, dall’altro, si eliminano costi di sviluppo e manutenzione che prima erano duplicati e in capo alle singole amministrazioni.

4. Il patto

Per troppi anni l’offerta ha sviluppato soluzioni alternative partendo dal presupposto che un disegno nazionale non sarebbe mai arrivato. Se è vero che da un certo punto di vista ciò ha permesso di superare le gravi lacune progettuali della PA — sia in termini architetturali, sia in termini applicativi — dall’altro ha creato la frammentazione e i silos che oggi abbiamo e che costituiscono il problema da risolvere in modo radicale e definitivo.

Per superare questa situazione e affrontare con decisioni i nodi strategici discussi in precedenza, è necessario costituire un patto forte e lungimirante tra domanda e offerta IT che cercherei di riassumere come segue:

La razionalizzazione della spesa non può e deve essere semplicemente un taglio di investimenti, ma una rimodulazione, uno spostamento da “business as usual” a progetti innovativi, coerenti e coordinati. L’obiettivo deve essere quello di “lavorare meglio” per poter autorevolmente chiedere un aumento degli investimenti e così rispondere a sempre nuovi bisogni ed esigenze della società. Ciò può avvenire se si crea un clima di reciproca fiducia e trust, una visione condivisa, un salto di qualità su entrambi i fronti del mercato.

Il patto è quindi complesso perché richiede che la PA realizzi nei tempi previsti quanto sta annunciando e dall’altro richiede che l’offerta abbandoni la propria “confort zone” e si metta a progettare soluzioni innovative basate sulla strategia nazionale.

Si tratta quindi di un patto che richiede una governance forte e autorevole e, ancor più importante, una reale volontà di operare in modo lungimirante per la prosperità e lo sviluppo complessivo del nostro Paese.

Nota: desidero ringraziare Antonio Samaritani per i suoi commenti alla versione preliminare di questo articolo.

 

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