Tutto ha inizio con il rebranding di TIM, in occasione del quale l’azienda riesce a convincere un altro Tim, Tim Berners Lee, a prestare la faccia all’operazione. Di annuncio, conferenza stampa e passaggi dei vari testimonial, da Tim Berners Lee a Fabio Fazio passando per Pif – con tanto di eventone serale al Pala Lottomatica con Mika – ne ha parlato già Marco Stancati in un suo editoriale sull’iniziativa. Molto interessante poi, sullo specifico del brand, è anche il pezzo di Valentina Cinelli, nel quale si fa notare che è almeno strano il fatto che gli espertoni di TIM si siano accorti solo ex-post della “similitudine” tra il logo TIM ed il trigramma I-Ching dell’immobilità: non certo il massimo per chi dovrebbe fare innovazione, ma tant’è.
C’è però un particolare, nascosto tra gli effetti speciali, che pochi hanno ripreso: lo scambio di battute che si è svolto il giorno prima, alla conferenza moderata da Riccardo Luna a Palazzo Chigi, nel quale Marco Patuano ha avuto modo di esporre a Tim Berners Lee ed agli altri esperti presenti il suo punto di vista su come la PA potrebbe usare open e big data per produrre entrate fiscali per lo Stato.
Cito più o meno testualmente Marco Patuano (il cui intervento integrale è visibile sul canale YouTube di Palazzo Chigi, di lettiana memoria):
“il public big data non può essere una fonte di entrate fiscali per lo stato? Non è vero che i public big data debbano essere gratuiti. Per avere un’anagrafe pubblica centrale si sostengono dei costi, quindi se voglio accedere a dati certificati li pago. E non credo che come soggetto economico sarei scandalizzato di dover pagare un dato pubblico certificato”.
Ora, al di là del fatto che:
- non sarebbero propriamente entrate “fiscali”, ma introiti derivanti dalla vendita di un vero e proprio servizio;
- i dati anagrafici tutto sono tranne che Big Data (alla faccia di Velocity, Volume e Variety).
Ci sono almeno due considerazioni che ritengo siano da fare.
Il silenzio degli “influencer”
Inutile dire che al PatuanoPensiero sull’Open Data Tim Berners Lee – testimonial o meno di TIM – è insorto, visibilmente infastidito e con un Riccardo Luna altrettanto visibilmente imbarazzato nei confronti di Tim Berners Lee per la ‘provocazione’ di Patuano (ma la frittata era ormai fatta), spiegando al CEO di TIM il perchè della bestialità pronunciata. Ma non si può non notare il quasi completo silenzio di tutti quegli esperti o sedicenti tali che – forse sperando in un posto migliore al concerto di Mika (strategia che invero ha sempre funzionato per Telecom Italia, che d’altro canto, onore al merito delle sue PR, conosce bene i suoi polli) – si son ben guardati dal far notare la suddetta bestialità. “Questione di opinioni”, mi è stato detto da TIM. Questione di una società civile povera ed addomesticata, debole con i potenti e priva di quella forza che sarebbe invece necessaria per ribadire ogni giorno l’importanza ed il significato dell’Open Government, mi verrebbe da dire. Ma ormai l’Open Government, nel nostro paese, è un tema morto. Anzi, forse mai nato.
La posizione della più importante Telco italiana sui dati pubblici
Questione di opinioni, certo. Ma quando ad esprimere un’opinione del genere è il capo della principale telco italiana, che peraltro avrà un ruolo determinante anche rispetto alla definizione di scenari connessi ad altre libertà digitali – come il tema della Net Neutrality – io un po’ mi preoccupo.
- Mi preoccupo perchè mi spaventa una Telco che vede un futuro in cui i grandi “soggetti economici” possano comprare dalla PA i dati dei cittadini. Sì perchè – e questo Tim Berners Lee, forse a causa della traduzione, non l’ha colto – Patuano non ha parlato genericamente di “open data” (che la PA è obbligata a rilasciare) ma di dati anagrafici, certificati per di più. Già in passato si era paventato il rischio che gli Identity Provider di SPID potessero inserire campi di profilazione commerciale nei record anagrafici, ma questo scenario, forse, è ancora più inquietante.
- Mi preoccupo perchè quest’opinione dimostra una distanza siderale da quei princìpi che sono alla base di tutto ciò che persone come il testimonial di TIM, Tim Berners Lee, da anni diffondono e cercano di far affermare. Quei principi di libertà, apertura e trasparenza della PA che hanno dato vita all’idea di open government e che non sono semplici “punti di vista”, ma modelli di Governance. L’affermazione di Marco Patuano è pericolosa perchè prevede una differenziazione nell’accesso ai dati pubblici tra chi può permettersi di pagarli e chi non può farlo, tra semplici cittadini ed attori economici più importanti. Tra ricchi e poveri? Forse. E forse questo la dice lunga non solo sul punto di vista inerente gli Open Data, ma su quello relativo alla Net Neutrality, su cui l’opinione di Marco Patuano non è solo “un punto vista”, ma la posizione della più importante Telco italiana.
- Mi preoccupo perchè nel momento in cui si legittima – magari facendosi forza di un’altra bestialità presente nella normativa europa (ma che sia scritto in una normativa non ne diminuisce l’idiozia, anzi) – il concetto per il quale una PA può far pagare i dati pubblici ai cittadini. I cittadini quei dati li hanno già pagati, e se aprirli vuol dire affrontare costi accessori ciò implica che i processi con i quali sono stati prodotti sono sbagliati. Il punto quindi non è “rimborsare” la PA per i costi sostenuti nel rendere i dati disponibili, ma ripensare i processi perchè i cittadini, che quei dati li hanno già pagati con le loro tasse, possano accedervi gratuitamente.
Forse tutto ciò, benché chiaro a molti, in una società civile addomesticata e sonnolenta, ormai rischia di essere solo un ideale. È servito Tim Berners Lee a ricordare a Marco Patuano ed ai governanti presenti alla conferenza a Palazzo Chigi che la ragione non si spegne con una prebenda, pubblica o privata, piccola o grande che sia. Ma l’abitudine, in Italia, è questa.
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