Arrivano post di stima e di solidarietà e vere e proprie prese di posizione dalla Silicon Valley che sostengono il Ceo di Apple, Tim Cook, che ha pubblicato nelle scorse ore una lettera aperta contro le richieste dell’FBI di inserire una “backdoor” nei dispositivi iOS, che potrebbe essere utilizzata sia dalle autorità americane, sia da hacker o criminali informatici.
Il primo sostenitore è il CEO di Google, Sundar Pichai, che su Twitter scrive senza mezzi termini: “Sappiamo bene che le forze dell’ordine e le agenzie di intelligence devono affrontare sfide significative per proteggere le persone contro la criminalità e il terrorismo; noi costruiamo prodotti sicuri per mantenere al sicuro le informazioni e diamo l’accesso ai dati alle autorità che presentano un ordine legale, ma è una cosa totalmente diversa rispetto a quella di imporre alle imprese di consentire l’hacking dei dispositivi dei clienti e dei dati”.
1/5 Important post by @tim_cook. Forcing companies to enable hacking could compromise users’ privacy
— sundarpichai (@sundarpichai) 17 Febbraio 2016
L’FBI, nello specifico, chiama in causa l’attentato di San Bernardino dello scorso dicembre e un giudice federale americano in queste ore ha ordinato ad Apple di assistere l’agenzia di intelligence nell’accedere ai contenuti presenti nell’iPhone di uno degli attentatori: come riporta Slashgear, Snowden lo chiama il più importante caso tech del decennio e che potrebbe costituire un precedente pericolosissimo per la privacy degli utenti per gli anni a venire.
Tim Cook incassa anche il sostegno di WhatsApp attraverso il suo co-fondatore, Jan Koum (che è anche membro del Consiglio di Amministrazione di Facebook), il quale scrive: “Ho sempre ammirato Tim Cook e la Apple per le loro posizioni in materia di privacy e gli sforzi che compiono per proteggere i dati degli utenti, e potrei essere più d’accordo con tutto ciò che hanno scritto nella loro lettera aperta. Non dobbiamo lasciare che si inneschi questo pericoloso precedente. È in gioco la nostra libertà.”
Il Ceo di Apple però ottiene anche il sostegno di una parte della politica americana e, come riporta il Financial Times, Ron Wyden, senatore degli Stati Uniti per l’Oregon, ha dichiarato che la richiesta del FBI è “un male per la sicurezza online americani” e questa azione potrebbe addirittura “potenziare i regimi repressivi“, dando loro un “modello” per eludere la crittografia e accedere ai dati degli utenti. Questa richiesta da parte dell’FBI creerebbe un pericoloso precedente che metterebbe a rischio “le fondamenta della privacy nell’era digitale”, ha dichiarato in un messaggio più lungo su Twitter. “Questa mossa da parte del FBI potrebbe avere effetti a catena in tutto il mondo.”
Il nodo resta cruciale e il caso San Berbardino con il no di Cook all’aggiramento dei sistemi di sicurezza dell’iPhone dell’attentatore americano, non fa che riproporlo con estrema forza: qual è il limite tra ciò che è legittimo chiedere in nome della sicurezza e quello che, invece, va protetto a tutti i costi in nome della privacy?
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