CAD 2.0 al mittente bocciato dal Consiglio di Stato

Il Codice di Amministrazione Digitale ha già sollevato diverse critiche e preoccupazioni da esperti e addetti ai lavori e non si è risparmiato neppure i “suggerimenti” di una buona fetta della comunità Open Source italiana che, su queste pagine, ha stilato un elenco di punti per modificare il CAD al fine di dare più spazio all’openness. Ora però la stangata arriva ufficialmente dal Consiglio di Stato che ha criticato aspramente l’operato del Governo in merito alla digitalizzazione della Pubblica Amministrazione e alle scelte intraprese, contenute proprio nel CAD. Tra i primi a dare la notizia ieri Fulvio Sarzana, al quale abbiamo chiesto un parere.

sarzana

Nel documento diffuso dal Consiglio di Stato si legge che “la Commissione speciale non può non sottolineare che il decreto legislativo dovrebbe assolvere in maniera più puntuale alla sua funzione di Codice dell’Amministrazione digitale, quale raccolta di norme disciplinanti tale branca del diritto, atteso che il medesimo è privo degli opportuni riferimenti alle discipline sostanziali dei vari procedimenti collegati alle disposizioni in esso contenute, quali ad esempio quelle relative al processo telematico, al diritto di accesso e alla trasparenza dell’azione amministrativa.” Mancano quindi riferimenti chiari: un lavoro che, tra le righe, è giudicato superficiale e apparentemente incompleto.

Quanto al merito del provvedimento, la Commissione speciale osserva, in via preliminare, che la relazione predisposta dall’Amministrazione si è limitata a illustrare il contenuto delle singole disposizioni facenti parte della riforma in esame, senza approfondire sufficientemente le problematiche connesse con il contenuto di tali previsioni, il rapporto di queste ultime con la normativa di carattere nazionale e comunitaria e, infine, i possibili risvolti pratico-applicativi connessi con la concreta messa in opera della riforma di cui si converte.”

Qualcuno in Rete ha commentato così:

damico

In pratica, sembra che il Codice di Amministrazione Digitale sia stato scritto senza tener conto della compatibilità con le norme esistenti, neppure quelle comunitarie. Proprio quest’ultimo punto viene sottolineato con forza anche da Fulvio Sarzana, avvocato esperto dei temi legati al digitale che per primo ha diffuso la notizia, che abbiamo raggiunto per un commento sulla vicenda: “Lo Stato Italiano avrebbe l’obbligo di notificare questo codice alla Commissione Europea, in quanto norma tecnica; il problema, però, è che non ci sono più i tempi tecnici per la notifica e siccome il Consiglio di Stato fa espresso riferimento alla necessità di rendere compatibile questo codice con le norme comunitarie, esprimo la mia preoccupazione dato che probabilmente lo Stato deciderà di non notificare questo CAD, a differenza di come hanno già fatto altri stati come l’Austria e la Gran Bretagna”.

I problemi di un mancato adeguamento alle norme comunitarie sono deducibili in particolare sul tema interoperabilità, dove è possibile che l’Europa chieda all’Italia di adeguarsi ai suoi standard, con il rischio di dover lavorare successivamente per riparare alla mancanza. Ma non è tutto: un’altra preoccupazione forte è quella relativa all’idea che tutto venga fatto a costo zero perché “il Consiglio Nazionale sostiene” – prosegue Sarzana – “che se bisogna fare un piano di formazione, se si vogliono studiare nuove infrastrutture digitali, se si vogliono dare nuovi poteri ad Agid (Agenzia per l’Italia Digitale, ndr), se si vuole attivare tutto questo meccanismo di digitalizzazione, come è possibile pensare di farlo a costo zero?

In breve sostanza il Consiglio di Stato ha rilevato che finora si è spiegato il “cosa”, ma manca completamente il “come” ovvero la sostenibilità economica delle azioni insite nel Codice di Amministrazione Digitale.

Tra i punti più critici secondo Il Consiglio di Stato c’è lo SPID, sia per quanto riguarda la scelta di coloro che svolgono all’interno dello SPID il ruolo di identity provider, che per quello che riguarda l’utilizzo di questo strumento. Perplessità e critiche di Associazioni di categoria sul tetto di 5 milioni per e aziende che si vogliano accreditare come provider, confermate poi dalle sentenze di TAR e Consiglio di Stato erano già note del resto.

Le modifiche richieste dal Consiglio di Stato saranno effettuate? In che tempi? Al momento è ancora tutto poco chiaro per sbilanciarsi in previsioni: quel che è certo è che la digitalizzazione del Paese non si realizza a costo e zero e dovranno essere rispettati gli standard normativi dell’Unione Europea.

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