Data-driven business in otto passi 6: corretta interpretazione

Riassunto delle puntate precedenti: siamo riusciti a delineare un processo strutturato che parte dall’identificazione delle sorgenti dati, da una definizione formale di quali dati ci servono e in quale modo debbano essere raccolti e validati; abbiamo definito anche in quale modo il processo data-driven debba essere governato e di come i dati debbano essere interrogati.

Portare la nostra azienda sul cammino del data-driven non è una passeggiata fra i fiori; occorre superare la naturale tendenza a volere risposte subito, la resistenza (interessata) di ogni singolo capo-funzione che insiste per usare i “suoi” dati e portarci solo le sue conclusioni, l’abitudine dell’IT a lavorare per i propri obiettivi e a parlare nel proprio linguaggio come se non fosse parte integrante dell’azienda.

Siamo arrivati fin qui costruendo un processo strutturato, abbiamo approvato e condiviso perfino le domande che vogliamo porre ai dati e finalmente, ora, abbiamo dei risultati.

Abbiamo convinto tutte le funzioni a sedersi attorno a un tavolo e a rendere esplicite le domande a cui cercavano una risposta dai dati. Siamo vicini, ma la battaglia non è ancora vinta. Ora occorre che anche l’interpretazione delle risposte sia condivisa.

Tutti concordano che un’azienda debba comportarsi come un organismo, dove diverse parti parzialmente autonome interagiscono in modo armonico. Il problema sta in quel “parzialmente”: non è necessario che ciascuna funzione abbia i propri obiettivi. Occorre anche che siano condivisi e accettati i criteri con cui si valuta se gli obiettivi sono stati raggiunti oppure no e si agisce di conseguenza.

Ci stiamo complicando la vita? Non direi proprio. L’obiettivo di un’azienda data-driven è quello di stabilire una strategia e, di conseguenza, utilizzare i dati per rendere automatiche il maggior numero di decisioni che permettano di seguirla. Questo implica che le decisioni, a qualunque livello, non possano essere prese “all’impronta” né tanto meno guardando al proprio interesse particolare.

In un’azienda data-driven le decisioni a qualsiasi livello vengono prese in modo da essere coerenti con la strategia. Solo in questo modo possono essere rese automatiche.

Ma una volta che la strategia generale è definita, le decisioni delle diverse funzioni non sono già determinate?

Nel mondo delle favole, forse. Nelle aziende dove agiscono esseri umani, possiamo quasi dare per scontato l’inverso. Ossia che ciascuna funzione agirà per massimizzare il proprio risultato, e coglierà ogni occasione per addebitare ad altri o a fattori esterni i propri fallimenti. Si può riuscire a costruire una prima linea che agisce di concerto guardando solo all’obiettivo generale, ma solo a patto di impegnare il tempo e le risorse necessarie.

Quindi, di fronte ai risultati che i dati ci offrono, occorre procedere a una loro interpretazione condivisa fra tutte le funzioni. Una volta che i criteri di interpretazione saranno espliciti, validati e concordati, si potrà procedere lungo la strada dell’automazione delle interpretazioni. Qui l’autorità del CEO da sola non sarà sufficiente: sarà anche necessaria una grande azione di mediazione per evitare che i diversi attori, i cui interessi sono spesso in conflitto, interpretino le decisioni comuni come un attacco personale. Avete presente quei film di guerra dove i vari generali si mettono a litigare fra di loro? La copertura aerea o di artiglieria o gli approvvigionamenti non possono coprire tutti contemporaneamente; la tale armata dovrà sopportare la pressione del nemico affinché un’altra possa evitare l’accerchiamento. In questo particolare caso la metafora militare è adeguata: le diverse funzioni sono oggettivamente in competizione fra loro per le risorse aziendali, ma questa competizione non può andare a scapito della strategia. Di fronte all’obiettivo comune, ciascuno deve saper fare un passo indietro.

Torniamo all’interpretazione dei nostri dati. Ciascuna funzione deve rendere espliciti i propri criteri di valutazione e interpretazione dei dati. Lo scopo è triplice: assicurare che ciascuna funzione abbia come proprio obiettivo l’obiettivo comune, armonizzare i criteri di interpretazione attraverso le diverse funzioni e garantire la razionalità delle interpretazioni.

Non credo che nessuno che conosca il mondo aziendale possa considerare il punto 3 con ironia. Tutti abbiamo delle storie dell’orrore nelle quali un dato è stato interpretato in modo “creativo”, magari anche a scapito del resto dell’azienda, per un tornaconto particolare. Le aziende sono fatte di esseri umani, e gli esseri umani sono “prevedibilmente irrazionali”, come ci insegna Ariely.

Se vogliamo ridurre l’impatto delle irrazionalità umane nel funzionamento dell’azienda, come il data-driven ci promette di fare, dobbiamo partire riconoscendo che non sappiamo, a priori, quanta irrazionalità sia attualmente presente nel suo funzionamento quotidiano. Per questo è così importante cogliere l’occasione per rendere pubblici e condivisi i bisogni, gli obiettivi e i criteri di valutazione di ciascuno.

Action items

  1. nel gruppo interfunzionale di Business Intelligence, definire e concordare i criteri di valutazione per ciascuna funzione
  2. definire criteri di valutazione per ciascun KPI, o indice rilevante, per cui siano state definite specifiche interrogazioni
  3. definire i criteri di valutazione dei risultati prima che i risultati siano disponibili
  4. il gruppo interfunzionale di Business Intelligence si riunisce quando i risultati sono disponibili per procedere alla loro valutazione in modo condiviso
  5. ciascun capo funzione risponde (accountable) della valutazione che dà dei propri risultati
  6. tutti i componenti del grupppo interfunzionale sono responsabili (responsible) della corretta applicazione dei criteri da parte di ciascun membro del gruppo.

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