No, la comunicazione politica non è un mio specifico. Questo non vuol dire che di tanto in tanto non mi consenta delle incursioni in campo, per rilevare umori popolari confrontandomi anche con qualche singolare personaggio. Primo tra tutti Nando, semiologo di strada che alterna all’italiano un romanesco rafforzativo. Per anni gestore di un “vino e olio” al Trionfale, poi di un bar al Gazometro, ha abbondonato l’attività quando i figli hanno voluto modernizzarla sotto un’insegna di “Winebar”, insopportabile per lui.
Non perché abbia qualcosa contro il termine inglese Nando, che ha lavorato una dozzina d’anni in America, ma perché lo reputa già vecchio, superato quando la tendenza è a riscoprire anche attraverso il “naming” (Nando è aggiornato!) radici, linguaggi, tradizioni locali e gastronomia ruspante: “Er Bare” era per Nando il nome vincente e “ciriola e pizza, appena sfornate, con mortazza al pistacchio” il motivo di richiamo. Ma “quei cojoni” (figli e rispettive “sgallettate”) hanno puntato sulla “baghette avec omelette au fromage fondu” che lo ha profondamente irritato. Perché l’omelette è un affronto alla frittata.
Giachetti: meglio sfigato che attore
Ed ecco che mi ritrovo, in una domenica di piovosa tarda primavera, a discutere con Nando e il suo cenacolo (un carrozziere, una commercialista, due commercianti, una funzionaria dell’Inps) di elezioni amministrative e ballottaggi. Siamo nel cortile della carrozzeria, intorno a un tavolo col piano di lamiera: ciascuno con la sua “stozza” di pizza bianca calda con ragguardevole imbottitura di mortadella. E birra: Poretti 5 luppoli. Ci ha pensato Nando che poi redistribuisce tra tutti il costo complessivo secondo tradizione: “alla romana”, appunto.
Arrivo per ultimo: si sta discutendo dello spot di Giachetti “Ma de che stamo a parlà?!”, che Nando ha appena mostrato sul tablet. Due lo considerano buono, tre invece da cancellare subito. Io dico che uno spot che nega di essere uno spot per affermare, in contrapposizione, i valori dell’autenticità dell’uomo e del futuro sindaco, è roba delicata: Giachetti, nel colpo di scena dello sfogo, appare artefatto, costruito più che sincero. Insomma, lo boccio pure io. Nando è definitivo: “Riuscire a fare sembrare falso l’unico personaggio spendibile rimasto su piazza, vuol dire continuare a farsi del male. Peraltro farsi del male è l’unica cosa de sinistra che c’è rimasta…”.
Tutti concordano sul fatto che l’ex radicale dovrebbe contare sul quell’aria sfigatella da digiunatore seriale che gli appartiene e che gli giova. Insomma finisce 5 a 2 per la bocciatura dello spot, con invito a Massimo, unico a essere regolarmente iscritto alla locale sezione del PD, a far sapere che “la base non è d’accordo”. La circostanza che tre dei presenti hanno votato per la Raggi e uno per la Meloni, induce quest’ultimo a sollevare la questione: “base, ma quale base, oh!?”. Mozione accolta e Nando corregge il tiro: “A Ma’, dije che alla gente nun je piace”.
Raggi: tra euforia e vertigini
Si passa alla campagna della Raggi. Il gruppo si spacca subito tra fan (seria, preparata, affidabile, con proprietà di linguaggio) e detrattori: arrogante e impreparata. Poi si girano a guardarmi perché non ho partecipato all’improvviso clima da talk show. La metto così: finora la Raggi ha fatto bene la cosa meno difficile, cioè opposizione nuda e cruda. Che non è ancora fare politica. Credo che, al momento, il problema davvero grande sia mettere insieme una squadra competente, compatta e credibile.”
Tocca a Nando, che calca sulla triplicazione delle sillabe del romanesco: “Dovete leggere i segnali. Guardatela bene e coglierete i gesti dell’insicurezza. Pora fija, ondeggia tra euforia e paura. Sta ‘ncima e c’ha le vertigini. Ma quale arroganza?! Sente addosso la tragggedia della probabile vittoria. C’hai ragggione professo’! (sarei io, ndr). Lo vedete che tarda a tirare fuori i nomi della squadra? È il vero elemento di debolezza: contestare è facile, quando devi amministrare diventi bersaglio tu. Devi trovare compagni di cordata e rispondi poi di tutti.” Acchiappa il tablet, che tende a scivolargli per l’unto della pizza, ci mostra il manifesto della Raggi e… le parla con inaspettata sincera tenerezza: “È dura Virgì: se trionfi, cominciano i cazzi amari. Che saranno solo tuoi perché il direttorio, se scoppia il casino, ve lascia soli a voi sindaci. Loro studiano da premier… mica da sindaco!”
Vedo Massimo, l’attivista del PD, profondamente a disagio con una domanda inespressa negli occhi: Il vecchio compagno Nando, mitico portabandiera della sezione, vota per la Raggi?!. Da Berlinguer a Bertinotti e Vauro prima; adesso ai 5 stelle!?!
Ma non osa formularla ad alta voce.
Lettura casereccia del direttorio
Nel frattempo, il richiamo velenoso di Nando al direttorio ha spostato il dibattito. C’è chi concorda ed enfatizza la provocazione, chi la contesta e tesse le lodi del trio Di Battista-Di Maio-Fico (Ruocco e Sibilia, di fatto non vengono presi in considerazione) e della loro trasparente correttezza. Torna di nuovo il clima da Ballarò e non c’è manco un Crozza per poter sdrammatizzare. Ma il compagno Nando non è uomo da tollerare a lungo la mancanza d’ordine. Rispolvera il suo passato da allenatore di basket di quartiere, sale sulla sedia, segno di time-out e ottiene, con l’aggiunta di qualche imprecazione, l’interruzione delle ostilità verbali.
“E per favore, che mica stiamo in TV! Qui si ragiona e si ascolta! Punto. Vi devo delle spiegazioni…datemi il tempo”.
Scende dalla sedia, facendosi aiutare (“che all’età che c’ho io, scendere è più pericoloso de salì. Sì…è una metafora!”). Prende sette fazzolettini puliti e chiede a ciascuno di noi di scrivere il nome di quello dei tre che riteniamo essere il più affidabile. Tiene a sottolineare “il più affidabile”, non il più capace o il più preparato. Ci state? Ci stiamo tutti.
Raccoglie i fazzoletti e comincia il breve spoglio: Di Maio, Fico, Fico, Fico, Di Maio, Fico, Fico. Nessuno ha scelto Di Battista. Il silenzio svela che è una sorpresa per tutti.
Nando evidenzia: “intanto c’è una cosa sulla quale, a quanto pare, siamo tutti d’accordo. Di Battista è meno affidabile degli altri due.” La funzionaria protesta, eccependo che “anche Alessandro è pulito e affidabile, ma avevo una sola scelta…”. Nando la tronca: perché “le chiacchiere stanno a zero; intanto, non l’hai votato!”.
Ripete che quello che è successo è significativo e, con l’abilità del semiologo, estrae da ciascuno di noi i segnali che c’hanno indotto a ritenerlo il soggetto meno affidabile: “Diba” parla spesso a mitraglia, ha un tono da comizio anche in tutt’altro contesto, quando si altera si mangia le parole e sbaglia i congiuntivi, tende a insultare frequentemente avversari ed ex colleghi, è supponente e dà continuamente lezioni a tutti su quello che dovrebbero fare (al Capo dello Stato, alla Presidente della Camera, al Presidente del Consiglio, ai giornalisti, a chiunque…), non rettifica quando le spara grosse (vedi posizione sul terrorismo), non chiede quasi mai scusa, poco solidale con i colleghi che hanno difficoltà sul territorio.
Le sfumature ovviamente sono diverse da persona a persona, ma l’episodio più citato è il recente attacco minaccioso di un Di Battista sibilante, in preda all’euforia dei primi risultati delle elezioni amministrative, al Direttore del Tg1 della Rai.
La percezione per quanto riguarda l’affidabilità di Fico è invece facilmente riassumibile in una manciata di attributi: più ruspante (e quindi più sincero), più pacato, più solidale, determinato ma non aggressivo. Con vere esperienze di vita e di lavoro, provate e riconoscibili. E non gonfiate, come quelle di Di Battista che viene sospettato, dal carrozziere, di una buona dose di millantato credito circa le sue attività solidali in Centro America. E… “mica come Di Maio, con il suo bagaglio di furbizie piccolo-borghesi, catapultato grazie a un bel colpo di culo sulla scena politica” aggiunge il commercialista.
Un democristiano a rilascio progressivo?
Nando sta gustando l’ultimo morso della pizza sapientemente imbottita, ma pregusta soprattutto l’effetto di quello che sta per dire. Ripulisce la barba dalle ultime succulenze della mortazza, ancora un sorso di Poretti, poi scandisce: “Luigi Di Maio è… d e m o c r i s t i a n o.” Fa una pausa, poi aggiunge: “e ancora non lo sa.”
Due secondi di silenzio, poi esplodono domande e contestazioni. Ma il semiologo di strada fa la faccia del vecchio capo indiano e incrocia le braccia. Il messaggio è chiaro: “Io ho detto, voi rifletteteci!”. Massimo fa la conta per il ballottaggio: allo stato i voti per la Raggi sono 3, per Giachetti 2, scheda bianca 1.
Manca Nando, che tira un sospiro e poi soffia: “Ce sto ancora a pensà!”
Non solo lui. Roma, ce sta a pensà.
Facebook Comments