Sotto il vestito niente

Spesso sento imprese (non solo in Italia) che, a proposito di tanti temi di innovazione di cui mi occupo e che studio, ripetono dialoghi e storie che rientrano in una serie di stereotipi:

  1. «Abbiamo già tutto. Siamo best in class su questi temi»
  2. «L’abbiamo già provato e non serve a niente»
  3. «Ma non sono queste le cose che servono: ti spiego io quel che serve!»
  4. «Noi queste sperimentazioni le facciamo da tempo con un team che è il migliore in Italia»
  5. «Noi lavoriamo con l’MIT per cui siamo molto avanti»

Devo dire che nel passato di fronte a queste risposte la mia reazione è sempre stata quella di pensare «Starò sbagliando tutto: guarda quanto sono bravi! Altro che le mie idee! Devo essere molto più innovativo, sviluppare idee e soluzioni molto più disruptive!».

Tuttavia, con il tempo mi sono accorto che una buona percentuale di questi casi nascondeva una realtà ben diversa: chiacchiere, solo chiacchiere. 

Come accorgersene? Tanti segnali piccoli o grandi.

  • Ci sono quelli che dicono che hanno processi fantastici e iperdigitalizzati. E poi… vieni a sapere che hanno una produttività che è molto inferiore a quella dei loro competitor. Chissà cosa avranno mai digitalizzato e come l0 avranno fatto!
  • Ci sono quelli che hanno già tutti i big data e analytics possibili ed immaginabili. Poi chiedi loro: qual è la frequenza del vostro ciclo di controllo aziendale? Quando fate il punto delle vostre performance? E ti rispondono «una volta al mese». Ma analytics e big data non servono per avere l’azienda in tempo reale? Un mese? Nel 2016?
  • Ci sono quelli che “gli agile methods li usavano prima ancora che se ne parlasse”. Poi vai e vedere, chiedi come lavorano e scopri che hanno un bel processo waterfall classico. Allora chiedi «e l’agile?». Risposta: «Ah noi mica scriviamo le specifiche! Scriviamo direttamente il codice!».
  • Ci sono quelli che lavorano con il guru americano. E vanno all’MIT e pagano fior di soldi per essere ammessi ai loro incontri e processi. E allora chiedo: «Bene, e quindi che cosa avete imparato e quanto avete incorporato nel vostro lavoro quotidiano di ciò che avete visto?». Risposta: «Per ora niente, ma fanno un sacco di cose interessanti». Ah beh. Pagare per guardare. E poi vuoi mettere poter dire «lavoriamo con l’MIT?»
  • Ci sono quelli che «l’innovazione è la nostra massima priorità». Poi chiedi loro cosa stiano facendo su certi temi «caldi» e ti rispondono «quest’anno niente perché dobbiamo gestire l’ordinaria amministrazione; probabilmente l’anno prossimo».
  • «Ah noi mettiamo l’innovazione in cima alle nostre priorità e vogliamo lavorare con chi ci porta le innovazioni! E vogliamo i migliori! Investite voi, vero?»
  • Altri poi dicono che il loro processo interno è molto dinamico e fortemente innovativo, tutto basato su velocità e qualità. E poi (imprese private!) per spese sopra i 5000 euro fanno gare e magari le aggiudicano al massimo ribasso.
  • Alcuni sono presentati come i guru dei guru dei guru. Ti spiegano tutto per filo e per segno. Allora chiedi «bene, dove lo hai applicato nel concreto?» … «Ah io, però, il mio amico mi ha detto… so per certo che… adesso lo faccio… sto cercando i fondi, ma ho le idee chiarissime eh…».

Credo che un altro dei mali che ci attanaglia stia nel fatto che la fuffa non è solo su Intenet o sui social media, ma è diffusa anche nel nostro tessuto imprenditoriale.

Tante chiacchiere e poi, come diceva Vanzina, «sotto il vestito niente». 

Fortunatamente non tutte le aziende sono così: ci sono realtà dinamiche e proattive. Dobbiamo farle diventare il riferimento al quale ispirarsi per superare i limiti di quelle che sono rimaste ancora indietro.

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