Fa’ la cosa giusta

Feci il militare nel 1983-84, come ufficiale di complemento nel Corpo Tecnico dell’Esercito. Dopo il corso alla Cecchignola (Roma) prestai servizio nell’allora aeroporto militare di Montichiari, a un paio di chilometri dalla base di Ghedi. Era un piccolo reparto che si occupava di riparazioni per l’artiglieria contraerei dell’esercito (i missili Hawk, per chi se li dovesse ricordare). Eravamo pochi: il comandante, un maggiore, un capitano, molti marescialli che si occupavano del lavoro dei laboratori e delle officine, e noi 3 sottotenenti di complemento: un sottotenente medico e due per l’appunto del corpo tecnico. La vita del reparto era tranquilla, ma non mancavano attriti e frizioni, specialmente con i marescialli che volevano un po’ fare quello che volevano. Capitavano screzi e anche contrasti accesi. Credo fossero inevitabili.

Quando il sottotenente più anziano di me si congedò, al circolo ufficiali disse alcune parole di circostanza. In particolare, concluse dicendo “ho cercato di andare d’accordo con tutti”, frase che fece una bella impressione e chiuse con la dovuta retorica quel momento di saluto.

Tre mesi dopo toccò a me e non riuscii a restare sul generico. Dissi: “Chi vi ha salutato prima di me disse che aveva cercato di andare d’accordo con tutti. Io non ho cercato di andare d’accordo con tutti. In buona fede, certamente anche con errori, ho cercato innanzi tutto di fare il mio dovere, anche a costo di non andare sempre d’accordo con tutti”.

Forse fui arrogante. Ma devo dire che non mi sono mai pentito di quella frase. Mio papà, immigrato dal sud e operaio, da ragazzo mi diceva “mi raccomando: onestà e schiena dritta”, che poi era anche un motto di quel galantuomo di Ciampi. Per cui ho sempre cercato di viverla così, anche se di certo non è facile né comodo.

In primo luogo si fanno errori, si sbaglia. Non mi capacito quando vedo e sento persone che si credono infallibili, che non dicono mai “ho sbagliato”. È impossibile, non ci credo, è solo paura e incapacità di vedere i propri limiti. O l’insicurezza che si nasconde sotto quel tremulo e fragile orgoglio.

In secondo luogo, al di là della retorica e delle chiacchiere che spesso ci sommergono, la nostra società ha altri parametri di successo e di comportamento.

Da noi valgono soprattutto le relazioni, il network che ti sei creato, l’equilibrio degli interessi dei singoli, peraltro spesso di per se stessi legittimi, se fossero gestiti con buon senso. Sono le relazioni che ti classificano come “amico” o “nemico” indipendentemente da quello che dici o fai, ma solo sulla base del rapporto personale che hai con la controparte. Sono quelle relazioni per cui a tutti i livelli le regole si interpretano per gli amici e si applicano per i nemici. Sono le relazioni per cui il quieto vivere e l’apparenza vengono prima della trasparenza delle opinioni e del confronto schietto e onesto – a volte aspro – tra diversi.

E nella nostra società vale moltissimo anche l’immagine individuale. Siamo tutti alla ricerca del nostro “posto al sole”. Troppo spesso siamo dei solisti che hanno poca voglia di suonare in orchestra, nonostante tutta la retorica del “fare sistema” che ci sommerge quotidianamente. Siamo sempre in perenne gara per dimostrare di “essere bravi”, di aver successo, di “contare”. Quante volte il declamato spirito di servizio e la dedizione alla causa si riflettono realmente nel nostro modo di essere e di fare?

Io stesso non sono esente da questi “peccati”. Sono presuntuoso, a volte impulsivo, anche se l’età che avanza stempera i tratti che caratterizzavano quell’immaturo tenentino. Ma per combattere questo “male” mi sono dato due regole che cerco per quel che posso di applicare.

  1. Dico solo cose che penso veramente e se ho detto una cosa, la faccio.
  2. Mi guardo allo specchio e mi chiedo “in coscienza, al di là delle contingenze, qual è la cosa giusta da fare?” Ci penso e faccio quello che ritengo sia giusto.

Non so se sono più ingenuo o più arrogante e presuntuoso. Peraltro, anche le scienze manageriali suggeriscono di essere trasparenti e diretti. Qui il consiglio di Harvard Business Review:

Lots of research has shown that people lie — and they lie often. Negotiators are no exception, so deception is one more thing that you have to prepare for, and take steps to prevent, before negotiating. The next time you’re in a negotiation, make it more difficult for your counterpart to lie by disclosing information upfront. Humans have a strong inclination to reciprocate disclosure: When someone shares sensitive information with us, our instinct is to match their transparency. In fact, simply telling people that others have divulged secrets encourages reciprocation. So go ahead and reveal some information at the start.

Preferisco essere ingenuo e trasparente “upfront”, che smaliziato e “politico”. Nella perenne insoddisfazione che mi accompagna (non sono mai soddisfatto di quello che faccio) è un pensiero che mi dà conforto, mi fa sentire “ragionevolmente” in pace con me stesso.

Alla fine, penso, il Merito, la Trasparenza, il Senso del Servizio, quelli veri, con la iniziale maiuscola, verranno riconosciuti. E se non dovesse accadere, pazienza. In ogni caso, come diceva mio papà, sarò contento di aver cercato in tutti i modi di “essere onesto e di aver tenuto la schiena dritta”.

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