Consapevolezza: parola d’ordine in alimentazione e non solo

Tutte quelle azioni che facciamo quotidianamente, come mangiare (ma anche usare la tecnologia), diventano abitudine e non richiamano più la nostra attenzione e consapevolezza. Svolgiamo attività in modo meccanico, senza rendercene conto, e perdiamo il bisogno di ragionare su quello che stiamo facendo. E’ per questa ragione che è necessario riportare il focus sulla consapevolezza alimentare, così come su quella tecnologica.
Con l’obiettivo di riflettere sulla cura del cosa si mangia ogni giorno, CIA Pisa e Centro di Educazione Alimentare La MezzaLuna, da tre anni a questa parte, organizzano annualmente una giornata sulla consapevolezza alimentare, un momento di confronto aperto su cibo, alimentazione e agricoltura.

Ma cosa si deve fare per recuperare la consapevolezza alimentare?

Lo abbiamo chiesto a Giusi D’Urso, biologa nutrizionista, e Stefano Berti, direttore CIA Pisa, provando noi a fare un parallelismo con la tecnologia.giusistefano

1. Delegare il meno possibile agli altri le proprie scelte alimentari: nessuno meglio di noi sa di cosa ha davvero bisogno.

Pensando alla “consapevolezza tecnologica”, quante volte abbiamo installato un’applicazione perché ce l’avevano tutti o ci siamo iscritti a un social network perché altrimenti che figura facciamo con gli altri? E quante volte abbiamo affidato la scelta delle cose tecnologiche che usiamo ogni giorno ad “altri”, fossero questi amici, scuola dei figli, datori di lavoro, azioni commerciali aggressive che negli anni ci hanno portato a pensare, per esempio, che esista un solo sistema operativo o un unico programma per fare disegno tecnico?

2. Usare un po’ di più l’istinto: spesso, in famiglia, ci lasciamo condizionare dai rifiuti pregressi riguardo a una pietanza e siamo tentati di non proporla più, anche se l’istinto ci dice che faremmo bene a farlo. Altro esempio: lasciamo che altri, anche soggetti completamente estranei alle nostre abitudini, ci indichino pietanze e prodotti alimentari “sicuri” e “nutrienti”, mentre il nostro istinto e le nostre esperienze ci dicono altro!

Ma non è la stessa cosa che dovremmo fare quando qualcuno ci consiglia uno smartphone, un computer o qualunque altra cosa tecnologica da consumare? Quanto tempo siamo disposti a “perdere” nel capire se effettivamente quello che ci viene suggerito fa al caso nostro oppure no?

3. Porsi domande sulle materie prime e sulla loro provenienza: abbiamo perso il contatto con chi produce. In realtà un tempo era la relazione diretta con i produttori che ci infondeva fiducia e sicurezza nelle nostre scelte.

I movimenti maker, oggi, non fanno che riportare l’attenzione su quanto possa essere utile scegliere i materiali e costruire le cose che servono, magari grazie alla condivisione di progetti provati da altri. Costruendo per conto proprio si arriva a chiedersi anche: da dove arriva questo oggetto? Chi l’ha costruito e con quali materiali? Chi ha scritto questo software e con quali istruzioni?

4. Non lasciarsi condizionare dalle mode, dalle offerte e dalle pubblicità: solo noi sappiamo di cosa davvero abbiamo bisogno. Ad ognuno il proprio cibo!

Quanti di noi chiamano Windows il sistema operativo, Excel il foglio di calcolo e iPad il tablet? Quanti si chiedono se ci sono alternative ai prodotti pubblicizzati? E quanti invece cedono senza pensare al pc sull’ultimo volantino del centro commerciale anche quando questo non fa al caso nostro?

5. Fare la lista della spesa con la testa: ovvero, acquistare solo quello di cui davvero abbiamo bisogno.

Quante volte abbiamo cambiato lo smartphone senza un reale bisogno? O quando abbiamo acquistato un gadget tecnologico poi chiuso nel cassetto perché non interessante o troppo complicato o non necessario?

6. Organizzarsi per la conservazione a breve e lungo termine: una volta scelta una materia prima consapevolmente, la sua manipolazione e trasformazione può rappresentare un modo per fruire a breve o lungo termine di un cibo “sicuro”. Inoltre, questa modalità ci aiuta nell’organizzazione quotidiana, riducendo le improvvisazioni e il ricorso a cibo pronto.

Cosa serve per scegliere una cosa da “cucinare” al posto di “cibo pronto”? Non serve forse conoscenza delle materie prime (e quindi per esempio di come nascono i software o come sono costruiti gli oggetti tecnologici)? Ma quanti di noi sono disposti a “fare spesa” di conoscenza? Quanti non si vogliono fermare davanti alle soluzioni pronte e sono disposti a investire il proprio tempo cercando di capire cosa c’è dietro un software, un social network, un “ferro”?

7. Valorizzare la  convivialità: condividere il cibo ci rende umani. E’ una caratteristica imprescindibile dell’essere sociale. Il cibo è un potentissimo strumento di socialità.

Quanto la tecnologia potrebbe aiutare la “convivialità” ovvero la condivisione per esempio di una cosa fondamentale come la conoscenza? E quanto sfruttiamo davvero la tecnologia per mettere a disposizione di altri esperienze, saperi, competenze?

8. Diamo il buon esempio ai bambini: un noto pedagogista familiare scrive che il comportamento a tavola è lo specchio della salute familiare. Dare il buon esempio significa, innanzitutto, davanti ai figli o agli scolari, avere col cibo un rapporto sereno e armonioso, essere disponibili all’assaggio, non utilizzare linguaggi e toni esasperati, condividere e confrontarsi, senza forzature.

Quanto aiutiamo i nostri figli in un uso consapevole della tecnologia? O quanto invece affidiamo loro uno smartphone appena iniziata la scuola elementare “perché ce l’hanno tutti”? In quanti aiutiamo i ragazzi a mentire sulla data di nascita pur di iscriversi a un social network (dove magari sono parcheggiati ore a giocare)? Quanto la scuola si interessa della cultura digitale dei ragazzi se non di fronte a casi conclamati di cyberbullismo?

9. Siamo critici verso l’informazione di massa: la nostra natura onnivora è dubbiosa per definizione. La disinformazione, la mitizzazione e la demonizzazione possono innescare dilemmi così profondi da indurre a comportamenti patologici (ortoressia ed estremismi ingiustificati).

Quanto usiamo in modo sbagliato i social network veicolando bufale contribuendo così alla diffusione di informazioni false? Quanto ci si chiede se le informazioni che vengono “suggerite” dai social network sono così disinteressate, imparziali, importanti, utili, vere?

10. Il cibo è un “compagno di vita”: trattiamolo con il rispetto dovuto a chi, da quando nasciamo fino alla fine, ci permette di sopravvivere: evitare lo spreco è un’altra regola che permette consapevolmente di rispettare chi produce il nostro cibo, il territorio da cui proviene, alla nostra salute e quella del pianeta.

Quanto sprechiamo risorse quando compriamo hardware di cui non abbiamo effettivamente bisogno o programmi che utilizziamo solo in parte? Quanto le PA, per esempio, investono male in licenze quando potrebbero scegliere soluzioni alternative più economiche e comunque adeguate a soddisfare i loro bisogni?

11. Conoscere l’agricoltura. E’ necessario essere curiosi, non accontentarsi del messaggio che passa. Mediamente c’è una percezione dell’agricoltura e di tutto ciò che ruota intorno al settore primario che è molto distante dalla realtà. Le responsabilità di questo sono diffuse, investono anche tanti di noi addetti ai lavori. Quindi ognuno deve fare la propria parte, ma i cittadini, i consumatori devono essere curiosi.

Quanto conosciamo l’informatica? Ma soprattutto quanto oggi ci chiediamo il perché delle cose (per esempio perché Facebook o Whatsapp o Gmail sono “gratis”)? Quanto ci domandiamo il perché un’azienda finanzia la formazione di una scuola su un prodotto? Quanto mettiamo in discussione le scelte di altri rispetto a strumenti che i nostri figli usano a scuola? Permetteremmo l’imposizione di una marca di cibo a scuola così come consentiamo l’imposizione di un modello di tablet o di un software necessario a leggere un libro di testo?

12. La “consapevolezza” di cosa sia l’agricoltura e quindi di cosa voglia dire portare un prodotto agricolo nel piatto è alla base per ottenere il riconoscimento del prezzo giusto agli agricoltori. Il prezzo giusto è quello che si paga e corrisponde al reale valore di un prodotto non dimenticando che quel valore deve contemplare anche un reddito adeguato per chi lavora la terra. Il reddito adeguato a chi lavora la terra è la migliore garanzia per avere cibo buono, da tutti i punti di vista.

Conoscere come nascono le cose porta ad avere maggior rispetto di queste ultime. Sapere quanta fatica è necessaria per scrivere un software funzionante porta a non installare software pirata come a non consumare prodotti di dubbia provenienza. Capire quanto vale un software scritto funzionante fa comprendere meglio il valore del codice pubblicato nel caso di software libero così come aiuta a capire perché è “anomalo” che un’azienda “regali” un prodotto o un servizio.

La conoscenza è consapevolezza. Alimentare e tecnologica. E’ quella cosa necessaria a non farsi avvelenare attraverso le cose che mangiamo come attraverso quelle che usiamo per informarci, muoverci, scrivere, giocare, lavorare. Ma la consapevolezza, scriveva Karl Popper, non inizia con la cognizione o con la raccolta di dati o fatti, ma con i dilemmi.

Rinunciamo allora ai cibi pronti (e alle imposizioni tecnologiche) e torniamo a chiederci il perché delle cose.

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