Industry 4.0 e made in Italy: intervista a Michele Dalmazzoni

Il Made in Italy è il terzo marchio più conosciuto al mondo e il nostro Paese è leader mondiale in alcuni settori tra i quali agrifood e manifatturiero. Due settori potenzialmente coinvolti nel processo di trasformazione digitale anche grazie alle opportunità offerte dal piano Industry 4.0. Cisco Italia, all’interno del piano Digitaliani, ha dedicato una sezione specifica all’accelerazione del processo di digitalizzazione del settore manifatturiero. “Grazie agli interventi messi in campo fino ad oggi  – afferma Michele Dalmazzoni, Sales Leader di Cisco Italia per Collaboration & Industry 4.0 – siamo riusciti a porre al centro della scena nazionale questo tema oggi supportato dal Piano Calenda, che ha messo sul tavolo incentivi sostanziali che possono incidere realmente e profondamente nel settore industriale italiano. Nel nostro Paese in questo momento storico conviene fare investimenti in tecnologia. Siamo addirittura i secondi in Europa, dopo l’Irlanda, per convenienza d’ investimento per le grandi aziende. Ovviamente tutta questa attenzione e movimento ha avuto un impatto positivo anche in relazione ai livelli di  consapevolezza. Adesso però stiamo entrando in una seconda fase in cui c’è necessità di passare dai dibattiti al fare: serve un ulteriore passaggio. Non è sufficiente pensare unicamente alla linea di produzione, ma va data la giusta importanza a ricerca e sviluppo, rafforzamento del brand, comunicazione e servizi. Questi sono aspetti che a mio avviso non possono essere esternalizzati. Si deve parlare quindi di impresa 4.0 (servizi integrati, logistica, interazione con clienti, piattaforme digitali, customer collaboration, b2b, b2c, innovazione e ricerca). Parliamo sempre più di open innovation ovvero della necessità di piattaforme aperte collaborative e standard per incentivare l’industry 4.0 che appunto non è e non può essere solo una linea di produzione. Come Cisco nell’ultimo anno ci siamo concentrati proprio sul fare per realizzare progetti reali con aziende italiane, anche di piccola e media dimensione”.

Quale la situazione delle aziende italiane?

L’Italia dal punto di vista del digitale è un Paese particolare, dalla coda lunga: abbiamo alcune eccellenze, una pancia molto larga in cui risiedono la maggior parte delle aziende e una coda in cui ci sono aziende che ancora devono arrivare al 3.0. Il sistema industriale manifatturiero italiano è particolare e variegato, il tessuto nazionale è composto da molte aziende che hanno la propria forza nell’artigianato e nell’hand-made; magari sono anche aziende con grandi processi industriali (penso ad alcune marche del settore abbigliamento o calzature oppure alla nostra esperienza con la  Marzocco che produce macchine da caffè artigianali) e processi produttivi del tutto artigianali. Anche all’interno della stessa azienda non è detto che la digitalizzazione abbia raggiunto un livello comune nei diversi comparti o processi: ad esempio il distretto per la produzione delle macchine potrebbe essere più avanzato, causa necessità di automazione, rispetto ad altri comparti in cui i processi sono ancora di tipo tradizionale o addirittura manuale. Per questi motivi di solito suggeriamo ai nostri clienti di partire intanto con l’elaborazione di una digital roadmap per avere una visione di strategia digitale di medio e lungo termine (2-3 anni), che consenta il monitoraggio e la verifica di progetti, percorsi e obiettivi.

Visto il preannunciato ridimensionamento degli incentivi industry 4.0, cosa possono fare le aziende?

Il problema più grande è sempre quello relativo alle risorse da dedicare all’innovazione. Il Piano Calenda insieme ad altri piani regionali ed europei facilita indubbiamente l’accesso agli investimenti in tecnologia. Oggi però dobbiamo renderci conto che non si tratta tanto di comprare prodotti o piattaforme, quanto di modificare radicalmente i processi attraverso risorse dedicate e skillate che possano supportare il cambiamento anche culturale. Indubbiamente nel momento in cui il programma è stato pensato ed elaborato come supporto “speciale” è ovvio che debba avere un inizio e una fine legati ad urgenza ed eccezionalità dell’intervento. L’impostazione è dunque corretta, tuttavia il lavoro da fare è davvero tanto e c’è il rischio concreto che molte delle aziende non riescano ad organizzarsi in tempo per beneficiare degli incentivi. Come CISCO suggeriamo di pianificare come primo step un assessment sulla struttura delle reti, in modo tale che almeno le reti di fabbrica siano ready, proprio perché spesso queste ultime hanno più difficoltà a farsi trovare pronte e a supportare l’impatto della digitalizzazione dei processi. Come primo punto è necessario, a nostro avviso, rendere adeguata la struttura e l’infrastruttura: in questo risiederebbe il 20% dell’investimento che deve essere fatto tra giugno e dicembre per poter accedere ai benefici. Un rischio minimo di non riuscire a portare a completamento il processo da parte delle aziende c’è. Anche noi vorremmo che le facilitazioni fossero più a lungo termine ma capiamo che lo spirito del piano Calenda è di eccezionalità e non di tipo strutturale.

Proviamo a fare un bilancio di ciò che ha funzionato e di cosa ha funzionato meno? Di cosa ci sarebbe bisogno?

L’assimilazione del nuovo da parte delle aziende parte da un processo di change management e cultura aziendale e questo richiede tempo. Nel caso specifico dobbiamo considerare che non parliamo di start up ma di aziende manifatturiere che hanno un business avviato e devono pertanto innovare e digitalizzare “in corsa”, mantenendo gli impegni legati alla produttività. Dobbiamo considerare che un’azienda media italiana del comparto manifatturiero è solitamente a conduzione familiare, pertanto da un lato abbiamo la rappresentanza della proprietà, dall’altra l’IT manager o operation che fanno andare avanti le cose e garantiscono i servizi necessari. Molto spesso manca una figura intermedia, presente nelle grandi aziende, che possa supportare  e guidare l’azienda dalla struttura tradizionale alla nuova digitale. Allo stato attuale le aziende stanno percorrendo due strade principali: quelle che stanno partendo con delle iniziative di digital transformation supportate da team interni, e quelle che invece stanno realizzando spin off con nuovi brand, ripartendo da zero con modelli  “nativamente digitali”. Il processo è in divenire, collegato non solo a investimenti economici e tecnologici ma anche a change management, consapevolezza imprenditoriale, skill adeguate e disponibilità di infrastrutture. Spesso nel nostro Paese troviamo distretti industriali in digital divide che, anche volendo, non potrebbero entrare in rete. Dobbiamo pensare quindi che se manca anche uno solo degli elementi citati prima il percorso di digitalizzazione diventa molto più complesso.

Perché questa attenzione per industry 4.0?

Gli aspetti essenziali sono due: il primo è di tipo strategico, ovvero se non si innova il proprio modello d’impresa innovando solo i propri prodotti e non i servizi e i processi. Il secondo aspetto attiene ad una valorizzazione della tradizione attraverso lo sviluppo tecnologico. Le aziende, tutte quelle che lavorano in maniera tradizionale, sono a mio avviso sedute su una miniera d’oro. L’automazione dei processi non potrà che aumentare il profitto migliorando la produttività e l’efficienza aziendale. Ad esempio a livello internazionale alcuni nostri clienti come Fanuc hanno raggiunto oltre 40 milioni in riduzione del fermo macchine attraverso investimenti in automazione delle reti e analisi dei dati; Black & Decker ha ridotto del 16% gli errori da etichettamento, investendo in reti wireless con tecnologia LBS; la Continentale, attraverso l’implementazione della rete wireless e un assessment di alcuni comparti, ha avuto una riduzione del 20% sulla rottura dei componenti per pneumatici. E potrei andare avanti per ore a parlare di molti altri esempi.

 

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