Firma di un contratto o fiducia?

Leggo sulla bacheca Facebook di un mio contatto una sorta di domanda/sondaggio: preferite il contratto o la fiducia?. Si tratta ovviamente non tanto di un vero sondaggio quanto di una provocazione rivolta a soggetti che lavorano come liberi professionisti o piccoli imprenditori, i quali ovviamente hanno fornito le risposte più disparate.

Dal canto mio ho fatto notare che, a ben vedere, la domanda è di per sé mal posta e foriera di un equivoco molto pericoloso: cioè il fatto che contratto e fiducia siano alternativi l’uno all’altra. Davvero il mettere nero su bianco un accordo è necessariamente un sintomo di mancanza di fiducia?

Purtroppo da libero professionista che si occupa proprio di contratti devo registrare che questa mentalità è piuttosto diffusa: ma come, vuoi un contratto?! allora non ti fidi di me? Quasi a dire che coloro che firmano contratti sono solo persone malfidenti e insicure dei propri rapporti interpersonali.

A mio avviso invece dovremmo sforzarci di uscire da questa mentalità un po’ becera e provare a vedere la questione da un’ottica sostanzialmente opposta.

Non so voi, ma io quando ho a che fare con soggetti (persone fisiche o aziende) che sono i primi a chiedere di mettere nero su bianco l’accordo di collaborazione, la mia impressione è proprio quella di avere a che fare con una realtà abituata a lavorare seriamente e secondo determinati standard. Quindi in realtà quando ho a che fare con questi soggetti il mio livello di fiducia aumenta invece di calare.

Inoltre teniamo presente che un contratto è una tutela non solo per le parti ma anche per eventuali terzi che dovessero trovarsi a dover far affidamento su quel rapporto contrattuale.

Da avvocato posso con certezza dire che quasi sempre le situazioni più spiacevoli sono proprio quelle in cui gli affari si sono basati solo sulla fiducia.

Quando chiedo di mandarmi il contratto per capire meglio come impostare la questione al punto di vista giuridico mi sento spesso rispondere: avvocato in realtà non abbiamo mai fatto un vero contratto; sono anni che lavoriamo così sulla parola, non è mai successo nulla.

E infatti non si può negare che il più delle volte le cose vanno anche bene o quanto meno si riescono a sistemare bonariamente. Ma per dieci situazioni che vanno lisce, potrebbe essercene una che invece si incaglia e degenera; e poi porta via risorse sia economiche che mentali per correre ai ripari. Ai clienti che, quando vedono il mio preventivo per la consulenza legale e l’eventuale assistenza in giudizio, mi dicono “caspita avvocato, pensavo di pagare meno!” rispondo sempre che avrebbero pagato meno se da me fossero venuti prima per farmi preparare un modello contrattuale solido. E’ ovvio che se si va dall’avvocato a frittata già fatta, la situazione è ben diversa e ben più complicata. Senza ovviamente considerare eventuali danni civili subiti/causati nel frattempo. In quei casi ci si rende conto che essersi affidati unicamente alla fiducia è stato abbastanza ingenuo.

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Simone Aliprandi ha un dottorato in Società dell’informazione ed è un avvocato che si occupa di consulenza, ricerca e formazione nel campo del diritto della proprietà intellettuale, con particolare enfasi sul mondo delle tecnologie open e delle licenze Creative Commons. Nel 2005 ha fondato il Progetto Copyleft-Italia.it (primo progetto italiano di divulgazione sul tema delle licenze open) e dal 2009 è membro del network di professionisti Array. Svolge costantemente attività di docenza presso enti pubblici e privati, ha all’attivo varie pubblicazioni (tutte rilasciate con licenze libere) e scrive costantemente per alcune testate web oltre che sul suo blog. Tra le sue opere più conosciute "Capire il copyright. Percorso guidato nel diritto d'autore", "Creative Commons: manuale operativo" e "Il fenomeno open data". Sito web: www.aliprandi.org

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