Il ruolo delle tecnologie

Uno dei mantra che sentiamo spesso ripetere sui media e nel dibattito pubblico può essere riassunto dalla frase “i problemi non sono mai tecnologici”. È una di quelle espressioni che contiene un (ovvio) elemento di verità: la tecnologia da sola non serve e la sua adozione non risolve di per sé alcun problema.

Tuttavia, questa ovvietà viene spesso strumentalizzata per annullare o quanto meno limitare e distorcere il ruolo delle tecnologie e dei tecnologi. È del tutto evidente infatti che in molti casi quella espressione (“i problemi non sono mai tecnologici”) sia utilizzata per continuare a relegare in secondo piano il ruolo dei tecnologi. Credo sia un danno enorme, specialmente per un Paese come il nostro che ha un disperato bisogno di maggiore cultura scientifica e tecnologica.

Il nostro Paese non sa comprare e usare le tecnologie: ciò accade anche perché non le conosce in modo approfondito e consapevole. E quando esse, usate male, dimostrano inevitabilmente l’impossibilità di risolvere “magicamente” i problemi, se ne sanziona strumentalmente la loro irrilevanza o addirittura dannosità.

Come fare a riequilibrare la situazione?

Come mi hanno insegnato i miei professori al liceo, il ruolo delle tecnologie può essere spiegato dicendo che sono l’equivalente di una condizione necessaria ancorché non sufficiente: da sole non bastano, ma non ne se può fare a meno. Purtroppo, molti argomentano dicendo che “siccome non sono sufficienti, allora sono irrilevanti e sono delle commodity”. Credo che in questo fallace sillogismo risiedano molti dei mali di questo Paese. 

Per contrastare questa affermazione fuorviante e dannosa, mi torna spesso alla mente un colloquio che ebbi con uno dei professori del Politecnico con il quale lavoravo quando feci il concorso da associato. Il tema in quel caso erano le pubblicazioni scientifiche. Con un ragionamento analogo a quanto ricordavo poco fa in relazione alle tecnologie, io affermavo che “non è lo scrivere articoli che fa di me un buon ricercatore o docente: altre cose mi qualificano come un buon professore”.

Il collega anziano (che è ancora oggi in servizio), dopo avermi spiegato che “saper scrivere è una condizione necessaria, ma non sufficiente per essere un buon professore”, mi disse una frase che non dimenticherò.

“È facile criticare qualcosa che non si conosce o che non si sa fare. Quando avrai imparato a scrivere articoli, sperimentandone tutte le complessità e dinamiche, allora avrai titolo per discuterne limiti e criticità”.

Ecco dovremmo tutti rispondere così:

“per criticare qualcosa o discuterne l’utilità, è il caso che la si conosca, sul serio, e non per sentito dire o superficialmente. Puoi dire che le tecnologie non servono o non sono importanti per risolvere un problema se le conosci e ne hai valutato e sperimentato potenzialità e limiti. Altrimenti sarebbe intellettualmente onesto tacere.”

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