Competenze digitali: Houston abbiamo un problema

Una Italia con performance delle competenze modeste e non sufficienti che contribuiscono al ristagno economico del Paese quella disegnata dall’ultimo Rapporto OCSE. Una Italia con il tasso di occupazione tra i più bassi dell’area e tassi di inattività e disocuppazione tra i più alti. “A fronte dei miglioramenti nei tassi di occupazione – si legge nella sintesi del rapporto – la produttività è rimasta stagnante, anche a causa di un livello di competenze relativamente basso, di una debole domanda di competenze avanzate, e di un uso limitato delle competenze disponibili”. Un quadro chiaro per una situazione infelice che vede un Paese molto più in difficoltà di altri in Europa.

Questi i fatti sui quali costruire riflessioni e, possibilmente, strategie correttive:

  • più di 13 milioni di adulti hanno competenze di basso livello (in gran parte lavoratori più anziani e immigrati, concentrati per lo più in piccole imprese);
  • il 39% delle persone tra i 25 e i 65 anni possiede un livello basso di competenze, sia di lettura che matematiche;
  • solo il 14% dei lavoratori partecipa alla formazione per gli adulti;
  • solo il 20% degli italiani tra i 25 e i 34 anni è laureato rispetto ad media OCSE del 30%, con un numero assoluto di studenti iscritti all’università sceso dell’8% tra il 2000 e il 2015;
  • gli italiani laureati hanno in media un più basso tasso di competenze (sia di tipo matematico che legate alla capacità di lettura) rispetto ai laureati di altri Paesi (26° posto su 29);
  • gli studenti italiani sono indietro rispetto ai loro pari dell’OCSE per quanto riguarda la lettura e le scienze, con le regioni del sud Italia molto indietro rispetto alle altre anche per competenze di base;
  • Italia quartultima tra i Paesi OCSE per percentuale di donne occupate, con molte di loro che non sono neanche alla ricerca di un posto di lavoro;
  • Italia unico Paese del G7 in cui la quota di lavoratori laureati impiegati in posti di lavoro con mansioni di routine è più alta rispetto alla quota di lavoratori laureati impegnati in attività di non routine. Dimostrazione palese di una bassa domanda di competenze specialistiche probabilmente connessa con la presenza di un elevato numero di imprese di piccole dimensioni e familiari;
  • livello di spesa in ricerca e sviluppo pari all’1,2% del PIL, ovvero la metà della media OCSE;
  • Italia che investe davvero poco per sviluppare competenze, soprattutto sull’istruzione terziaria (dove è 21° su 31) e sulla formazione degli adulti.

Perché dormire preoccupati, dunque?

“Le competenze- si legge negli obiettivi della strategia OCSE – sono diventate la fonte principale del benessere individuale e del successo economico nel 21° secolo”. E noi no, direbbe qualcuno leggendo i dati che, come affermava un noto statistico, sotto tortura confessano.

L’Italia arranca dunque, nonostante di competenze (anche digitali) se ne parli in diversi contesti. Come citato anche nel rapporto, infatti, alcuni sforzi si sono intravisti nel Jobs Act, nella Buona Scuola, nel Piano Nazionale Scuola Digitale, nel Piano Nazionale Industry 4.0. Riforme che vanno nella giusta direzione, ma che probabilmente vanno integrate e soprattutto accompagnate da una ben definita strategia per le competenze che coinvolga diversi soggetti e soprattutto che sia coordinata e gestita.

Qualcuno ricorderà che un tentativo era stato fatto nel 2015, con la costituzione da parte di Agid di una Coalizione per le competenze digitali, fondata sulla collaborazione di istituzioni pubbliche, associazioni non profit e sindacali che avrebbe dovuto promuovere e valorizzare attività e progetti portati avanti dai vari componenti (circa 130 gli aderenti). Coalizione che fu presentata da parte di uno dei componenti del comitato tecnico-scientifico, Marco Bani di Agid, con una slide dal titolo: Serve? Domanda solo apparentemente retorica, visto che nel giro di un paio di anni la risposta si è modificata da un convinto sì a un altrettanto convinto no, che ha portato la stessa Agid ad abbandonare il progetto per lavorare sulla catalogazione delle competenze digitali di base rispetto ai modelli di riferimento europei. Non più, quindi, catalogazione di buone pratiche e tentativo di fare comunità tra soggetti che si occupano a diverso titolo di competenze digitali, ma catalogazione delle competenze necessarie ai vari livelli lavorativi.

Stupisce – afferma Stefano Epifani, presidente Digital Transformation Institute e direttore di Tech Economycome ancora oggi ci si chieda se le competenze siano un elemento strategico. Perché la realtà è questa: siamo tutti convinti che il problema ci sia ma che riguardi qualcun altro, l’amministrazione di qualcun altro, l’azienda di qualcun altro, la famiglia di qualcun altro. Il problema delle competenze è del tutto trasversale e riguarda privati, pubblica amministrazione, aziende. La realtà è che non siamo neanche lontanamente pronti ad affrontare l’emergenza che abbiamo di fronte. E non serve che ce lo dicano gli osservatori internazionali: basta entrare in qualsiasi ufficio o in qualsiasi famiglia per rendersene conto. Mentre noi perdiamo tempo con tavoli, cabine di regia, osservatori e altro la trasformazione digitale avanza e invece che cavalcarla finiamo per subirla”.

Le sfide sulle competenze secondo OCSE

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