I pericoli della camera dell’eco della pubblicità digitale e come uscirne

Il mondo della pubblicità digitale sta vivendo un vero e proprio terremoto. Mentre alcuni editori si aggrappano al modello di revenue guidato dalla pubblicità che ha sostenuto l’industria per generazioni, altri lavorano furiosamente per affrancarsi da questo paradigma che è ormai sul punto di sgretolarsi.

Indipendentemente da quale lato della barricata si schieri un editore, rimane una verità: per sopravvivere in un settore inesorabilmente investito dal cambiamento, i publisher devono stabilire con i marketer un rapporto basato sulle performance e investire in tecnologie che che restituiscano loro pieno controllo su modelli di business efficaci.

La camera dell’eco della pubblicità digitale

L’idea più insistente che risuona intorno alla sfera dell’editoria digitale è che la pubblicità basata su CPM in qualche modo tornerà ad avere un ruolo come motore di crescita. Ma con i marketer ora in grado di raggiungere il proprio pubblico attraverso moltissimi nuovi canali online, gli editori stanno lottando per far sì che i budget pubblicitari continuino ad arrivare ai propri siti.

Allo stesso tempo, devono convivere con il compromesso e la preoccupazione di investire in nuovi contenuti e piattaforme esterne – in particolare su social come Facebook e Instagram – per espandere l’influenza dei propri brand. Sebbene tali investimenti non siano necessariamente una scelta negativa, sono realizzati almeno in parte con la speranza che un pubblico più grande si traduca in fatturato pubblicitario. Tuttavia, poiché queste piattaforme controllano gran parte del processo di monetizzazione, gli editori non possono essere sicuri che i loro investimenti verranno ripagati, senza contare che, nell’affidarsi ad esse, stanno perdendo il controllo sul proprio modello di business.

Uscire dalla camera dell’eco

Il modo migliore per andare avanti di fronte a queste forze di mercato in continua evoluzione è ammettere una verità che molti nell’industria dell’editoria devono ancora accettare: la natura fondamentale del marketing sta evolvendo e il settore deve evolvere con essa.

E’ finito il tempo delle campagne di marketing sparate su un pubblico di massa, nella speranza di sortire qualche effetto; il successo nel digital marketing oggi è strettamente legato al performance marketing. Se i marketer non trovano un valore chiaro e misurabile nei loro rapporti con gli editori, lo cercheranno altrove. Come editori, dobbiamo abbracciare questo approccio, non aggirarlo.

Costruire un marketplace

Un modo per promuovere un nuovo rapporto tra marketer e publisher basato sulla performance è quello di creare dinamiche di mercato o ecosistemi in cui gli editori si occupano non solo di brand, ma anche di servizi brandizzati. Il modello publisher-as-branded-service è esemplificato da siti come Houzz, che hanno capovolto il modello tradizionale della rivista di arredamento combinando contenuto ed ecommerce in modo nuovo, o Trip Advisor, un sito che ha fatto qualcosa di simile per il settore dei viaggi.

Per avere successo in ambito di servizi brandizzati, gli editori devono creare contenuti che colmino in modo naturale il divario tra l’interesse dei consumatori e l’esperienza di acquisto. Creare contenuti che soddisfino i bisogni del pubblico – dalla scelta di un lampadario all’organizzazione di una vacanza – consente agli editori di stabilire una connessione one-to-one con quei consumatori. E questa connessione è in grado di andare oltre ai rapporti che con essi hanno le aziende.

Sappiamo, ad esempio, che i marketer riconoscono un maggior valore quando i loro annunci sono adiacenti a contenuti in qualche modo correlati al prodotto o servizio che promuovono.

Controllare la tecnologia

Un altro modo in cui gli editori possono occuparsi dei propri destini nell’era digitale è investire in tecnologia. Gran parte degli investimenti che gli editori tradizionali hanno realizzato in tal senso è legato alla produzione e diffusione di contenuti. Ma sono state destinate poche risorse agli investimenti in tecnologie che facilitino la monetizzazione, l’ottimizzazione dei rendimenti o la gestione dei dati. Di conseguenza, molti hanno scelto la strada dell’outsourcing: affidare una componente così critica alla comunità ad tech significa però perdere il controllo dei propri dati proprietari e rinunciare a opportunità di revenue fondamentali.

In nessun settore la mancanza di controllo da parte degli editori è così evidente come nel mondo della pubblicità programmatic.

Mentre il programmatic è certamente vantaggioso per molti editori, ha anche portato alla svalutazione dell’inventario degli editori stessi. Chi utilizza SSP di terze parti ha perso il controllo sulle offerte e può ottenere ben poco dal valore effettivo del proprio inventario. Con l’outsourcing, questi editori hanno anche perso un certo livello di controllo sull’esperienza utente nei loro siti. Ma fortunatamente, c’è una soluzione a questo problema e consiste nello sviluppo interno di soluzioni ad tech.

Gli editori che investono nella realizzazione dei propri asset ad tech possono accedere al vero valore di mercato del loro inventario e fornire esperienze migliori agli utenti. Investire in ad tech significa anche assumere il controllo dei dati di prima parte, il cui valore non può essere ingigantito. Nel riprendere il controllo di questa risorsa, gli editori acquisiscono una preziosa visione del comportamento degli utenti, come modelli di consumo e intenzioni di acquisto. Questi dati costituiscono la base dei marketplace che gli editori di successo dovrebbero costruire nell’era digitale.

La costruzione di dinamiche di mercato e lo sviluppo interno di soluzioni ad tech finalizzate alla monetizzazione e gestione dei dati possono sembrare un compito arduo per alcuni editori, ma lo tsunami che sta colpendo il mercato richiede un’azione aggressiva.

Se i publisher sapranno adottare strategie che permettano loro di riconquistare i propri modelli di business, la sfida più grande che possono affrontare sarà proprio la rottura della camera d’eco che esiste all’interno del mondo dell’editoria. Superare la resistenza culturale al cambiamento e puntare su risorse competenti in grado di abbracciare completamente nuove idee e modelli di business può essere difficile. Questi ostacoli culturali non lasciano altra scelta se non un aggiornamento drastico e aggressivo del proprio know how per formare squadre autonome e piene di risorse che possano perseguire nuove strategie dall’interno oppure puntare su una politica di fusioni e acquisizioni per accelerare la trasformazione.

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Roberto Buonanno è Country Manager Italia di Purch e Tom’s Hardware, il punto di riferimento nel mondo della tecnologia per chi cerca test sui prodotti, recensioni autorevoli, approfondimenti, tutorial e guide. Nel 2003 ha contribuito alla nascita e al lancio dell’edizione italiana del sito, cui è associato uno dei network YouTube più seguiti, focalizzato sui verticali gaming e tech. Esperto di nuovi media, adtech ed appassionato programmatore, Roberto è tra i primi in Italia a provare e recensire ogni settimana nuovi prodotti in uscita e guida una squadra di 22 collaboratori a tempo pieno, oltre a numerosi tester e sviluppatori, che offrono oggi uno sguardo obbiettivo sull’innovazione del mercato della tecnologia, sia sul piano hardware che software. Nell’ambito del programma Amazon Vine rappresenta una delle Voci italiane più seguite e si colloca nella top 500 dei recensori più esperti ed attendibili (http://bit.ly/AmazonVineBuonanno).

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