Pauperismo o populismo digitale?

“Quello che è scritto in maniera approssimativa è mal pensato” scriveva Adorno cinquant’anni fa. Oggi appiccicare l’aggettivo “digitale” a un qualsiasi sostantivo astratto segue le logiche di una cultura di persuasione che trova la sua forma linguistica nella pubblicità e il suo luogo di comunicazione nei talk show. Il libro “Populismo digitale” di Alessandro Dal Lago (Raffaello Cortina Editore, Roma 2017, € 14,00) in questo senso non è un’eccezione.

Si parla di “soggetti digitali” (p. 63), di  “carisma digitale” (p. 21), “pubblico digitale” (p. 18) e “opinione digitale” (p. 12) senza mai darne una definizione sufficiente, confidando nella pura forza di evocazione retorica. Ecco cosa possiamo aspettarci da un libro che stilisticamente assomiglia più a un blog e i suoi commenti che a un saggio o un libro con pretese scientifiche: “Ed ecco svelato l’arcano del populismo…” (p. 55), “Insomma, il M5S è un partito come gli altri – forse peggiore…” (p. 132), “Ecco un esempio clamoroso” (p. 132), “…trascinerebbe nella polvere l’immagine complessiva…” (p. 133) e “In altre parole, non c’è molto da ridere.” (p. 143).

Però andiamo con ordine. Il libro si articola in una breve introduzione, quattro capitoli e una brevissima conclusione. L’introduzione espone la tesi secondo la quale oggi esiste una “prevalenza della politica virtuale su quella reale” (p. 12), il concetto di un “double bind politico-comunicativo” (p. 19), fra l’altro mai veramente dimostrato, e l’ipotesi che “la incapacità delle sinistre tradizionali” spieghi “ampiamente la deriva di destra del populismo” con la conclusione “Quello di cui possiamo essere sicuri è che il mondo è entrato in una situazione di anarchia senza precedenti” (p. 24).

Il primo capitolo “Gli equivoci del populismo” comincia con l’affermazione “Oggi, il popolo in senso stretto non esiste”, per poi fare una carrellata di diverse teorie del populismo cominciando da alcuni approcci al termine “popolo”, ma senza mai sviluppare un concetto proprio di “populismo”. Seguendo parzialmente Ernesto Laclau il capitolo conclude con due affermazioni frettolose: “In poche parole, l’ambiente del populismo contemporaneo non è altro che la realtà e al tempo stesso evanescente di Internet”. (p. 53) e “Ecco svelato l’arcano del populismo. Il significato vuoto del reale della politica, l’impossibile verità del popolo di cui parla Laclau, non è altro che l’insieme delle identità virtuali della rete. Il popolo, che nella realtà materiale non esiste, se non nelle convenzioni o delle finzioni della democrazia rappresentativa, si è ora ricostituito (corsivo dall’autore su ricostruito, ndr) in rete” (p. 55).

Il secondo capitolo “La realtà come costruzione virale” è sostanzialmente un insieme di esempi di fake news, distorsioni di notizie e casi di commenti di utenti per dimostrare come “lo stile tangenziale, identitario e oppositivo delle discussioni online degeneri facilmente in scambio di insulti” (p. 82). Purtroppo Dal Lago non spiega cosa sia lo stile tangenziale ma conclude con il solito “insomma” che sostituisce una argomentazione coerente: “Insomma, la verità in rete è diventata una mera funzione di chi la pronuncia” (p. 65).

Nel terzo capitolo, il più breve del libro, con il titolo “Populismi digitali e para-fascismi”, Dal Lago cerca attraverso delle analogie tra peronismo, Trump, Le Pen, Orban e il Movimento 5 Stelle di distillare un concetto di para-fascismo senza mai spiegare cosa rende i politici e i movimenti di cui sopra simili al fascismo storico, soprattutto per quel che riguarda la violenza e la glorificazione della guerra. Forse Dal Lago teme che questo sia il prossimo passo: “Visti gli slogan delle loro campagne elettorali, c’è da aspettarsi di tutto” (p. 115).

Il quarto capitolo “Il fascismo travestito da democrazia diretta” è sostanzialmente un attacco al Movimento 5 Stelle e un tentativo di dimostrare che questo sta diventando un movimento di “estrema destra” (p.134). Il capitolo contiene lunghe citazioni di Beppe Grillo ed altri esponenti, qualche “rivelazione” sui meccanismi interni del movimento e finisce – riferita al M5S – con una perequazione di populismo e para-fascismo.

Complessivamente lo scopo del libro rimane oscuro. Non contiene nessun accenno a ricerche empiriche e il quadro concettuale rimane costantemente fluido, tralasciando le teorie sociologiche attuali più importanti, come la teoria dei sistemi, network theory et al.

Alla fine colpisce l’approssimazione linguistica, la similitudine tra lo stile dell’autore del libro e quel populismo digitale che cerca di descrivere. Dalle fake news alla fake theory?

Tra apnea empirica ed asfissia concettuale forse appare il vero motivo del libro: “La questione seria è che l’ascesa di Grillo ha coinciso con la sparizione di qualsiasi opzione di sinistra dalla scena politica italiana” (p. 158). Quindi anche il target sono solo loro? “Parlo soprattutto di ciò che resta in Italia di quella realtà nebulosa e gassosa che va sotto il nome di sinistra” (p. 156). Forse la terza parola di questa frase doveva essere non un “di” ma un “a”.

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