Di buchi neri, wifi e viaggi in treno

Durante un viaggio di ritorno in treno da una vacanza: i due passeggeri sono una di fronte all’altro, una legge un libro, l’altro brandisce un tablet.

Bob – Alice?

Alice [senza distogliere lo sguardo dal libro] – Mmm?

Bob – Alice, scusa stammi un secondo a sentire.

Alice [alzando lo sguardo dal libro con un sospiro] – Che c’è?

Bob – Sai che sono imbranato con queste cose, ma non riesco a connettermi al wifi del treno…

Alice – Be’, mettiti anche tu a leggere un libro, chissà quanti ce ne hai sul tuo tablet.

Bob – Dai, non mi va di leggere, piuttosto devo scaricare la posta, mi pare che Chuck dovesse mandarmi un messaggio, e ho finito i giga… senza wifi sono perduto! Tu ci lavori nei computer, che ti ci vuole a darmi una mano?

Alice – A parte che lavorare nei computer non vuol dire fare il tecnico che li configura o li aggiusta, io mi occupo di software. E poi, non puoi aspettare fino a che siamo arrivati? Al bar della stazione sicuramente il wifi è open e potresti usare quello, anche se nella migliore delle ipotesi su un wifi open ti becchi un trojan non appena ti colleghi.

Bob – Ecco che usi il tuo linguaggio da nerd per fare un giro di parole invece di dirmi direttamente di “no”!

Alice – Dico solo che potresti goderti il viaggio anche senza tablet.

Bob – Sì, questo viaggio dura anni luce!

Alice [piccata] – Quella è una unità di misura della lunghezza, non del tempo…

Bob – Vabbe’, hai capito… [sbirciando meglio il libro di Alice] ma ‘sta cosa l’hai letta su quel libro?

Alice – No, la sapevo prima, il libro suppone che tu la sappia: è un trattatello introduttivo di astrofisica, a me interessa solo tangenzialmente anche se…

Bob [interrompendola] – Stop, non una parola di più se no mi attacchi il solito pippone tecnico-scientifico, tanto vale che guardi il paesaggio fuori da finestrino piuttosto che intontirmi con quelle astrazioni inutili.

Alice – Inutili?

Bob – Be’, non dirmi che l’astrofisica è utile! Sicuramente è una disciplina “nobile” [facendo con le dita il segno del virgolettato], piace a voi capoccioni e vabbe’ è bello sapere chi siamo, da dove veniamo e dove andiamo, ma io ho un problema pratico col mio wifi, e tu invece di aiutarmi ti rifugi nell’iperuranio. Letteralmente.

Alice [con rassegnazione] – Il tuo wifi senza l’astrofisica non sarebbe mai esistito.

Bob – Che? Ma dai…

Alice – Ma tu sai quando è stato inventato il wifi?

Bob – Che ne so, nel 2005? Nel 2000? Boh!

Alice – Le prime trasmissioni “wireless” di pacchetti di dati risalgono agli anni ’70… Non mi ricordo bene la storia…

Bob [interrompendola e con tono risentito] – Se avessimo campo potremmo andare su Google e in un baleno sapremmo tutto!

Alice [ignorandolo enfaticamente] – ma in ogni caso all’inizio la tecnologia era costosa e poco affidabile. Il vero salto di qualità, che ne ha consentito poi la diffusione industriale e l’uso ormai pervasivo in tutti i dispositivi che si connettono a Internet, è avvenuto negli anni ’90, dopo che un ingegnere, non ricordo bene ma mi pare si chiamasse O’Sullivan, depositò il brevetto che rendeva la tecnologia veramente funzionale.

Bob – E l’astrofisica che c’entra?

Alice – Sai cos’è un buco nero?

Bob – Ma scherzi? Io non saprei manco dire cosa sia una stella! Comunque ne ho sentito parlare… non sono quegli oggetti celesti che si comportano come gorghi cosmici in cui tutto quello che finisce non esce più?

Alice – Bella metafora, dovresti fare il divulgatore scientifico! Una delle cose che lasciano più perplessi dei buchi neri è ovviamente come fare a scovarli…

Bob – Ovviamente?!?

Alice – Be’, se è veramente nero non si può vedere, ma poi Stephen Hawking ha mostrato come qualcosa esca in realtà dai buchi neri, una radiazione, c’è chi ha parlato di “evaporazione”, chiaramente in modo metaforico. Nulla quindi di più naturale che cercare di “captare” questa radiazione.

Bob – Cioè un buco nero è una specie di centrale nucleare?

Alice [ridendo] – No, no. La radiazione non è necessariamente quella delle sostanze radioattive, ma anche i raggi x, l’ultravioletto, le microonde e la luce visibile sono radiazioni.

Bob [sbuffando] – Allora si possono vedere ‘sti buchi neri?

Alice – La radiazione di Hawking si può captare, ma è molto labile e difficile da distinguere: per farlo è stato necessario filtrare i dati ricavati dai sensori in modo opportuno: l’idea geniale di O’Sullivan è stato di usare la Fast Fourier Transform per farlo e…

Bob – Niente arabo!

Alice [sorridendo] – Si tratta di un algoritmo bellissimo legato a una cosa chiamata “trasformazione di Fourier”: ha dato da pensare ai matematici negli ultimi duecento anni… Ma tornando a O’Sullivan, usando questo algoritmo è riuscito a rendere “più nitido” il segnale radioastronomico!

Bob [con fare annoiato] – E quindi a vedere la radiazione di Hawking…

Alice – In realtà no, non ci sono riusciti: ma quella tecnica, insieme ad altre sviluppate da un gruppo interdisciplinare con matematici, fisici e ingegneri, ha consentito di migliorare enormemente le prestazioni delle WLAN.

Bob – Delle che?

Alice – Le “Wireless Local Area Network”, cioè le reti che mettevano in comunicazione computer in una rete locale, come un ufficio, senza fili. Il wifi cui vorresti connetterti col tuo tablet ne è un esempio.

Bob – Vuoi dire che senza la caccia ai buchi neri non si sarebbe scoperto come rendere efficiente questa tecnologia e noi staremmo ancora a stendere cavi da una stanza all’altra?

Alice – Difficile dirlo, magari qualcun altro l’avrebbe scoperto in altro modo ma, sì, ringrazia i cacciatori di buchi neri se oggi il wifi è ampiamente disponibile e molto efficiente. E soprattutto ringrazia che quelle ricerche apparentemente astruse, inutili anche se nobili, vengano finanziate da qualcuno…

Bob – Già, ma intanto quelli non hanno visto i buchi neri e io non riesco a collegarmi a questo maledetto wifi!

Alice – Che poi i messaggi di Chuck due volte su tre sono pieni di virus e altra robaccia…

Bob [imbronciato] – Ho capito, tanto vale guardare il panorama dal finestrino!

Alice sorridendo riprende in mano il suo libro.

 

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Dopo aver conseguito la laurea e il dottorato di ricerca in matematica si è occupato per qualche anno di ricerca pura e docenze universitarie (facoltà di Ingegneria) per poi passare al mondo dell’industria, prima come consulente IT, poi come quantitative analyst nel campo della finanza e del risk management, per tornare infine al mondo IT come project manager, business analyst, consulente su metodologie, tecnologie, innovazione e formazione. Ha pubblicato due libri di storia della matematica (AlphaTest), un testo universitario di matematica (UAM) e diversi articoli scientifici, divulgativi e didattici su riviste di vario tipo. Tiene conferenze su argomenti fra matematica, IT e data science. Si occupa anche di formazione ed educazione, tenendo corsi sia in ambito professionale che come docente a contratto presso la facoltà di Ingegneria dell’Università “La Sapienza”.

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