Aqua. L’emozione di Leonardo

Milano ormai da qualche anno è in grande spolvero, in contro tendenza rispetto al Paese e non solo. Quando arriva la Settimana del Mobile e del Design (quest’anno 9 – 14 aprile) è consapevole di essere per sette giorni l’ombelico indiscusso del mondo. E il mondo viene a omaggiarla e a stupirsi della bellezza prossima ventura annunciata nel Salone Ufficiale, nei Fuori Salone e in mille e duecento eventi. È il momento nel quale la comunicazione d’impresa raggiunge l’acme. Il mio percorso inizia dall’omaggio che la città di Milano ha voluto dedicare al grande figlio adottivo Leonardo da Vinci a cinquecento anni dalla sua morte.

LEONARDO E IL COREANO

La Milano del Design + Leonardo = mix vincente.

Sul treno di fronte a me ho un orientale; ho sempre difficoltà a distinguere i coreani dai cinesi e pure dai giapponesi. Quando tiro fuori dallo zaino il laptop, cade sul tavolino il pass stampa del Salone. L’orientale sgrana gli occhi e comincia a parlarmi in una lingua sconosciuta, puntando il dito verso il pass. Suggerisco di ricorrere all’inglese: non è risolutivo, ma finalmente capisco che è un giornalista coreano e che ha un problema di accredito stampa. Lui nel frattempo tira fuori un tablet e apre un’app di traduzione simultanea. La sua lingua piena di suoni diviene, nella traduzione automatica, un italiano piatto e buffo, ma il senso si capisce: non è riuscito ad accreditarsi on line e ora non trova il documento che prova la sua appartenenza alla categoria. Teme che senza pass non possa entrare in sala stampa, utilizzare l’ingresso giornalisti agli eventi, chiedere le interviste, forse si perderà le installazioni di Leonardo! E dicendo quest’ultima cosa sbianca, sia pure nei limiti in cui può impallidire un coreano. Secondo me la sta facendo troppo tragica, ma il suo capo non è uno comprensivo mi dice: in effetti le urla del boss tracimano dal Samsung S9 plus del malcapitato. La sua desolazione è abissale e mi guarda come Bambi in cerca della protezione materna.

Mi attivo, comincio a chiamare un po’ di numeri trovati sul sito ufficiale del Salone. Mi passano dall’uno all’altra, alla fine un’efficiente voce milanese mi ricorda che il pass con il codice è innanzitutto un requisito di sicurezza. Io insisto sulla teoria dell’accoglienza e del problem solving; alla fine riesco ad ottenere: “Gli dica di fare riferimento a… Poi vedremo”. Ma a Bambi d’Oriente con gli occhi sgranati, come faccio a dire: “Vedremo, Forse, la Security…”? Mi vendo prematuramente la pelle dell’orso e sparo: “Tranquillo, entrerai…”. L’app lo traduce in qualcosa che suona come “senidààà” con il dà strascicato che si alza di volume. Un attimo di silenzio, poi Joe (o almeno così ho capito il suo nome) ripete “senidààà”, o quello che sia, più volte; come un mantra e con la stessa commossa partecipazione del ladrone quando Cristo gli annunciò che lo avrebbe portato in paradiso.

Sintetizzo il resto e vado direttamente alla lieta novella: Jae-sang (nel frattempo ho appurato il nome corretto) nel paradiso c’è entrato e ora io ho un amico che in una lingua che non conosco, in un Paese nel quale non sono mai stato, pregherà un Dio che non è il mio per uno scopo però che apprezzo e condivido: la mia salute terrena e quella della mia anima “dopo”. Se vi pare poco!

AQUA: la tecnologia affogata nell’emozione

Come ingegnere, come architetto, come artista, il rapporto di Leonardo con l’acqua è stato continuo e intenso: da come rappresentarla nel disegno e nella pittura, agli studi sulla sua natura fisica; dalla ricerca sui corsi e le distese d’acqua alla progettazione di opere di ingegneria idraulica con macchine pensate per misurarla, deviarla, sollevarla, rallentarla. Affascinato dal continuo perpetuo movimento dell’acqua che scorre arrivò a chiedersi come isolarne ogni singolo attimo, come pure immaginò macchine per camminare sull’acqua o scendere nei suoi abissi.

I progettisti dell’installazione Aqua hanno innanzitutto un grande merito: sono ricorsi largamente alla tecnologia (sonora, luministica, idraulica…) ma affogandola, alla lettera, dentro l’emozione che ti rapisce e ti porta in una dimensione altra. Il nome completo e ufficiale è “Aqua. La visione di Leonardo”; sarebbe stata perfetta, a mio avviso, “Aqua. L’emozione di Leonardo”. Dove l’emozione è sia quella dello scopritore e inventore alle prese con l’affascinante elemento sia quella che comunica a noi.

Il luogo è quello della Conca dell’Incoronata, l’ultimo e unico resto del Naviglio della Martesana della quale i milanesi più attenti hanno lamentato fino a pochi mesi fa l’abbandono e il degrado. Ora sperano che, dopo questa installazione, che ha acceso i riflettori internazionali, possa avere un’attenzione costante e una destinazione degna delle nobiltà delle sue origini: le porte in legno furono progettate da Leonardo e qualcuno sostiene anche il naviglio stesso.

L’installazione non è imponente come altre di Balich; è tutto sommato di ridotte dimensioni, ma colpisce nel segno: un lungo stretto specchio d’acqua copre l’intera conca e sembra rovesciarsi alla fine in un grande schermo verticale sul quale appare lo skyline attuale e quello di una Milano futuribile con taxi-droni, vie d’acqua e boschi sempre più verticali. Skyline diverso secondo il momento della giornata, ancora più suggestivo di sera.

Ma è “sotto” la vera emozione: all’interno del vecchio naviglio si scende in una stanza delle meraviglie alla quale si accede attraverso una porta sensoriale che ti sollecita a “uscire” dagli umori della metropoli e a lasciarti sommergere da una polifonia armonica di stimoli organolettici: immagini, suoni, gorgoglii, evocazioni in una sinfonia della quale ti senti spettatore e protagonista.

Perché è una sinfonia che fa interagire i suoni e i gorgoglii con veri e reali getti e spruzzi che ti conducono, quasi ti risucchiano, verso una proiezione che sembra fatta di aria: racconta il movimento ascendente e discendente delle acque gestite dalle chiuse leonardesche. Questi movimenti sono esaltati da luci stroboscopiche con effetti ottici sorprendenti: i getti d’acqua sembrano come esplodere in gocce luminose riflesse e moltiplicate senza fine dal gioco degli specchi tutt’intorno che dilatano un ambiente in realtà piccolo. La proiezione diventa progressivamente più impalpabile, trasparente, eterea e quando sembra che stia per svanire… l’ultima sorpresa: appaiono in assolvenza i disegni di Leonardo come tratteggiati e sospesi nell’aria, i vortici d’acqua diventano i riccioli dei capelli della donna leonardesca.

E nessuno in quel momento pensa che è grazie alla tecnologia che sta vivendo quelle emozioni; ci si abbandona alla magia, alla magia di Leonardo in un tempo sospeso e per un attimo fermo sotto una città fibrillante.

Sperso nello stupore mi chiedo che fine abbia fatto il giornalista coreano; in compenso sono circondato da un gruppetto di americani che esplodono in una serie di “Terrific! Absolutely terrific!” che, mi spiega un altro collega che ha un inglese meno scolastico del mio, esprime esattamente l’opposto del suo significato letterale, tipo “Assolutamente fantastico!”.

Insomma equivale al “da paura!” del mitico Nando der Gazometro.

TECNOLOGIA E DESIGN: la nuova artigianalità

Questo breve suggestivo viaggio che ha qualcosa d’iniziatico, con quel passaggio attraverso la porta sensoriale dietro le chiuse di Leonardo, lo dobbiamo al mix di design e tecnologia che ha saputo esprimere Marco Balich, specialista di live entertainment (Il Giudizio Universale, l’albero della vita di Expo, Fang FU forever…) ma in una maniera molto misurata, attenta a sollecitare la sensibilità dei singoli.

Una riconversione della tecnologia dalla spettacolarità alla mitopoiesi di una fruizione soggettiva: un viaggio dentro. Dentro la spiritualità di Leonardo, dentro le nostre emozioni. È un grande lavoro di squadra, m’informa entusiasta Francesca Simone, Digital Communication Specialist di Balich Worldwide Shows, che mi ha accolto con grande disponibilità. Balich è stato infatti affiancato da un gruppo di consolidati specialisti: Andrew Quinn graphic designer, Chiara Luzzana sound designer, “Karmachina” studio di visual multidesign, Maurizio d’Aniello indoor sound designer, “None” collettivo di progettisti transmediali.

DE-SIGNO: saper progettare e saper fare

Jae-sang mi aveva chiesto spiegazioni anche di “De-Signo. La cultura del design italiano prima e dopo Leonardo”, installazione nel padiglione 24 del Salone Ufficiale, perché la traduzione automatica gli aveva confuso le idee avendogli restituito il significato del verbo “designare = proporre qualcuno per un incarico”. Nel chiarire, cerco di usare frasi brevi ed elementari a beneficio della traduzione automatica. Quando gli dico che è latino, s’illumina ed esclama: “Giulio Cesare!”; pare che,, dalle sue parti sia famoso quanto Bocelli, il Volo, Roberto Baggio e Papa Francesco. E vabbè!

De-signo: cioè “attorno al segno”, dove segno sta per forma, progetto. Gli antichi romani usavano passare rapidamente dall’idea al progetto esecutivo come testimoniano le tante città fondate in tutto il mondo allora conosciuto, gli acquedotti, le terme, i teatri, i fori; e chilometri e chilometri di strade. De-signo vuole essere un richiamo a questa capacità di saper fare.

Anche questa è un’installazione emotivamente immersiva che coniuga linguaggi cinematografici e teatrali: un racconto di immagini e musica che narra la progettualità di Leonardo e la quotidianità operosa delle botteghe e delle officine rinascimentali, eredi di quella cultura del progettare-fare nata in epoca romana. Il saper fare e il saper progettare delle imprese del design contemporaneo hanno radici antiche e profonde: nel segno continuo della cultura della bellezza.

L’installazione, ideata da Davide Rampello e progetto esecutivo dall’architetto Alessandro Colombo, si basa su una scenografia caratterizzata da due portali alti 6 metri e larghi 3, realizzati in legno, ispirati a disegni e studi originali del Bramante, l’architetto più prestigioso operante a Milano all’epoca di Leonardo. All’interno, la narrazione è affidata alla spettacolarità di quattro schermi. A volte l’orgoglio di Milano del saper fare e produrre fa sconfinare il tono di voce in un’enfasi ai limiti del trionfalismo, ma ci sta: sono i giorni dell’adrenalina a palla!

Qual è il legame tra Leonardo e l’odierno design?La cultura del progetto – risponde Davide Rampello. “L’intento alla base di De-Signo è stato soprattutto quello di creare consapevolezza intorno alla cultura del progetto. Il progetto, e perciò il disegno è alla base del dna culturale italiano, è come un tratto somatico che dall’epoca latina (de-signo) in poi ha attraversato 2000 anni di storia, riaffiorando nelle sue espressioni più eccellenti, come appunto quelle leonardesche, ed è per questo che non va mai dimenticato, ma costantemente reinterpretato”.

Quest’anno, in omaggio a Leonardo, il Salone ha aggiunto una parola al suo manifesto: “INGEGNO” perché, come sottolinea Rampelli in un’intervista a matrix4design, Leonardo “è l’uomo ingegnere e ingegnoso nel senso di colui che adopera costantemente l’ingegno ed entra nel genio delle cose. È un formidabile cultore del progetto, curioso indagatore di ogni aspetto della natura, raccontata attraverso linguaggi diversi: la scrittura, la pittura o la musica”. Per Leonardo non c’è conoscenza senza esperienza, in qualsiasi campo. I suoi interessi sono molteplici: mineralogia, botanica, ingegneria idraulica, quest’ultima particolarmente avanzata in Lombardia quando arriva a Milano, governata dall’illuminato Ludovico il Moro, città già all’epoca ricca di botteghe, arti e mestieri.

FOOD AS A DESIGN OBIECT

Bene, consapevoli adesso delle radici del design, è ora di tuffarsi nella contemporaneità.

Comincerò dal salone satellite dove 550 giovani protagonisti si sono dedicati al tema ”FOOD as a DESIGN OBJECT”, ispirato dall’ormai necessaria rivoluzione alimentare globale in cui design, tecnologia e tradizione manuale devono combinarsi per affrontare tre grandi sfide: il cambiamento climatico che influenza il food system a ogni livello, la scarsità di risorse, l’indispensabile diversificazione nella produzione e nel consumo degli alimenti.

Insomma una riflessione propositiva sul futuro dell’alimentazione e dintorni in un’ottica di responsabilità, immaginando come tecnologie e antiche pratiche artigianali possano combinarsi.

Ma questa è un’altra affascinante storia che richiederà una diversa narrazione. Con o senza coreani sull’orlo di una crisi di nervi.

 

Crediti delle immagini: sono scatti dell’autore dell’articolo o rielaborazioni dello stesso di materiali ufficiali.

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