Il viaggio nell’innovazione

Il viaggio nell’innovazione significa uscire dalla zona di comfort per fare un’esperienza diretta con quella “conoscenza tacita” che non c’è altro modo di acquisire se non visitando luoghi, incontrando persone, vivendo emozioni che ci fanno imparare e comprendere come costruire un ecosistema innovativo.

Siamo passati da una new economy ad un’economia della conoscenza in cui, come dice Paul Tudor Jones, imprenditore, investitore e filantropo, “Il capitale intellettuale vincerà sempre sul capitale finanziario”.

Come apprendere la giusta conoscenza allora?

Oggi, ma sempre di più in futuro, ci sarà bisogno di uno sviluppo delle organizzazioni lungo le dimensioni dell’apprendimento, della conoscenza e della comunicazione e le aziende devono porsi nella migliore condizione possibile per poter garantire a questa crescita omogeneità nel tempo. Per fare in modo che l’apprendimento arrivi allo stadio della comprensione più alta bisognerà agire a livello più intimo e stimolare la più importante attitudine da possedere in azienda: l’attitudine alla decisione.

Nell’epoca dell’“economia cognitiva” in cui viviamo, il lavoro è per lo più speso per svolgere attività di tipo cognitivo che richiedono il rinnovarsi continuo delle conoscenze e il generarsi di nuove. Ci siamo trovati a vivere anche un nuovo concetto di età che ricade sia sul corso della nostra vita (giovani adulti o adulti ancora adolescenti) sia sul piano professionale, cambiando anche i paradigmi organizzativi e produttivi delle imprese. Le parole d’ordine delle organizzazioni odierne, dunque, sono “corta, flessibile, veloce”. In una parola Learning Organization, un’organizzazione cioè in cui, oltre ai beni e ai servizi, si produce apprendimento, si possiede una capacità di innovare e una diffusione rapida di know how. L’approccio dunque che l’azienda deve intraprendere, perché non resti un fatto meramente formale legato alla funzione formazione tradizionalmente intesa, è quello di evolversi sia sul piano operativo, che su quello strategico, valorizzando il momento formativo come occasione di networking, di rafforzamento dei tratti culturali dell’organizzazione, come ineliminabile momento sociale e socializzante, anche grazie all’utilizzo di pratiche quali action learning ed experiential learning.

La conoscenza, dunque, si sviluppa mediante l’osservazione e la trasformazione dell’esperienza attraverso un processo che passa attraverso la fase delle esperienze concrete, in cui l’apprendimento avviene attraverso le percezioni e quindi come interpretazione personale di esperienze; la fase dell’osservazione riflessiva, in cui l’apprendimento deriva invece dalla comprensione dei significati tramite l’osservazione e l’ascolto; la fase della concettualizzazione astratta, nella quale l’apprendimento deriva dall’analisi e dall’organizzazione logica dei flussi di informazioni; la fase della sperimentazione attiva, in cui l’apprendimento è il risultato di azione, sperimentazione e verifica di funzionamento ai fini dell’evoluzione o di possibili cambiamenti. Le esperienze sono oggi accelerate, frammentate, virtuali, da costruire attraverso uno sforzo creativo. Occorre “fare” l’esperienza e ciò avviene quando trasformiamo i fatti quotidiani in apprendimenti.

Learning Tour

I learning tour sono, forse, la forma esperienziale di maggior livello nell’ambito formativo. Per best practice si intendono solitamente le migliori prassi aziendali conseguite in un determinato settore di mercato e costituiscono un modello al quale tendere e rispetto al quale valutare le proprie azioni e i risultati prodotti. Una volta che l’esperienza viene interiorizzata, ciò che realmente cambia all’interno dell’azienda è la cultura della formazione: separare la conoscenza acquisita dai suoi possessori e trasferirla in un dominio condiviso, attraverso le buone pratiche.

Come dice giustamente Michel Serres, il quotidiano nella sua struttura routinaria sta finendo e la realtà ci richiede processi di adattamento continui, provocati dalla tecnologia e dalla globalizzazione appunto. Il punto di vista con cui guardare alla globalizzazione deve essere quello fatto di storie significative di come il mondo attuale, piccolo e interconnesso, riesce a creare al di là della tecnologia o con l’innovazione d’uso di quest’ultima, esperienze organizzative, sociali, di business, di cittadinanza attiva, di social innovation che danno un colore diverso alla globalizzazione attuale e ci aiutano a comprenderla.

Esempi più emblematici e noti, che sono riportati nel mio ultimo libro “Viaggio nell’innovazione”, di parchi tecnologici dove coesistono ricerca, formazione e territorio sono è la Silicon Valley, Sophia-Antipolis in Costa Azzurra, Porto Digital in Brasile, Adlershof in Germania, Kista Science City in Svezia, Cambridge Science Park in Inghilterra, Philips Research a Eindhoven in Olanda, campus Huawei di Dongguan in Cina, Kilometro Rosso ed H-Farm in Italia. E le città che vengono ricordate come le più competitive e innovative al mondo che generano innovazione sono: la Silicon Valley in California, la Chilecon Valley in Cile, Silicon Wadi, la Silicon Valley israeliana, l’Indian city of Bangalore India e Shenzhen in Cina. In quei contesti il cambiamento si tocca con mano, è visibile: nell’architettura, nelle organizzazioni produttive, nelle imprese, nella politica.

Oltre che nella realtà americana e in Europa, l’innovazione sta nascendo dovunque e dobbiamo tenere ben presente che, ormai, fa parte della cultura diffusa ed è entrata nel tessuto sociale.

Se ci chiedessimo come stanno cambiando le nostre aziende, noteremo come la realtà sia in continua evoluzione. Per mantenere la propria competitività globale, bisognerà monitorare gli sviluppi del business sul piano internazionale ed attingere a un bacino globale di talenti molto più ampio. Le alleanze globali, i mercati del capitale umano e le comunità dedite alle peer production consentiranno di accedere a nuovi mercati, idee e tecnologie.

Gli uomini sono delle risorse del sistema, non solo risorse da utilizzare, il rapporto tra attore e sistema viene definito da una continua dialettica tra cooperazione e conflitto, fra partecipazione e distanza. Competenza e managerialità sono interne al modello e il capitale umano deve essere adeguatamente supportato ed integrato al capitale strutturale dell’organizzazione.

Come diceva Henri Matisse “sono fatto da tutto ciò che ho visto”, cerchiamo dunque di vedere e visitare il più possibile.

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