Brani musicali Creative Commons, ma per davvero?

Non è la prima volta che ricevo segnalazioni riguardo a un utilizzo poco ortodosso se non bizzarro delle licenze Creative Commons su piattaforme web di pubblicazione di musica, come Jamendo, Soundcloud e simili. Un esempio tra tutte: questa pubblicata su Facebook alcuni giorni fa; ma potrei citarne molte altre.

In sostanza, succede che alcuni musicisti, DJ e producer realizzano versioni derivate (remix, cover, mashup) di brani famosi e le pubblicano su queste piattaforme, a volte applicandovi licenze molto libere che ne consentono anche l’utilizzo a scopi commerciali. Visto che si tratta di brani notoriamente coperti da un copyright molto stringente è abbastanza improbabile che gli autori di queste versioni derivate abbiano ottenuto le necessarie autorizzazioni dai titolari dei diritti. Per chi non fosse del settore, faccio notare che per fare ciò sono necessarie due specifiche autorizzazioni: una per realizzare opere derivate e una per rilasciare con licenza libera le opere derivate.

Sinceramente, conoscendo un po’ come funziona questo mondo, dubito che sussistano davvero queste autorizzazioni. Quindi, vorrebbe dire che tali opere derivate sono state pubblicate online in modo illegittimo e in violazione del diritto d’autore; e ancora più illegittima sarebbe la loro pubblicazione con una licenza che consente a tutti il libero utilizzo anche a scopo commerciale.

I motivi di questo comportamento abbastanza diffuso possono essere molteplici; ma posso azzardarne un paio che a mio avviso rappresentano i più probabili.

Il primo motivo (che però secondo me rimane più marginale) potrebbe essere la spavalderia. Alcuni creativi, pur essendo al corrente dei limiti imposti dalle norme giuridiche e dalle licenze, li ignorano deliberatamente facendo leva sul classico “figurati se vengono a prendere proprio me”.

Il secondo motivo (molto più probabile) è invece l’ignoranza in materia. Purtroppo, nonostante il lavoro di informazione e formazione si svolge da anni su questi temi, il livello di conoscenza dei meccanismi del diritto d’autore in generale e delle licenze open nello specifico è ancora molto basso, soprattutto tra i creativi non professionisti. Probabilmente questi creativi, in totale buona fede ma comunque sbagliando, hanno pensato che la loro attività di rielaborazione fosse una forma di “fair use”, cioè un uso non dannoso che non richiede autorizzazione da parte del titolare dei diritti; e questo forse potrebbe essere anche sostenibile secondo un’interpretazione estensiva del concetto di fair use. Di certo però diffondere quelle opere derivate non autorizzate e applicarvi una licenza open è una libertà che non ci si può prendere senza specifica autorizzazione. Può anche essere che questi creativi abbiano applicato le licenze CC ingenuamente seguendo la diffusa quanto assurda credenza secondo cui mettere una licenza open sulle proprie opere sia un modo per tutelare maggiormente l’opera (cosa spiegata qualche tempo fa in questo post).

Ma non finisce qui. Il vero problema è che queste opere derivate – per così dire – “abusive” poi circolano in rete, gli altri utilizzatori le trovano con una licenza CC e si sentono autorizzati a utilizzarle a loro volta liberamente, sulla base delle libertà concesse dalla licenza. Questo comportamento da parte dei terzi è anche legittimo, dato che agiscono sulla base di una specifica licenza e in piena buona fede, ma rischia di innescare una reazione a catena di utilizzi non autorizzati e di continua rimessa in circolo delle opere derivate.

Alcuni si chiederanno: “Ma le piattaforme non fanno un controllo prima che vengano pubblicate?”. Risposta molto semplice: no! No, perché i gestori di queste piattaforme, se rimangono nel ruolo di semplici service provider, non sono tenuti a fare alcun controllo preventivo; sono tenuti solo a intervenire dietro segnalazione da parte degli utenti. Almeno fin quando la nuova direttiva EU copyright non diventerà pienamente operativa e andrà a modificare parzialmente i livelli di responsabilità dei service provider che sottostanno alla normativa europea.

Ne consegue che, fino a quando i titolari dei diritti (cioè, tendenzialmente, le rispettive case discografiche) non si prenderanno la briga di fare un controllo sulle varie piattaforme e lanciare ai service provider le segnalazioni con richiesta di “take down”, quelle opere rimarranno in rete e continueranno a creare confusione come abbiamo spiegato.

Questo articolo è rilasciato nei termini della licenza Creative Commons Attribution-ShareAlike 4.0 International.

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