Lavoro agile e obiettivi di sviluppo sostenibile: ridurre l’ineguaglianza all’interno di e fra le Nazioni (SDG 10)

Uno dei valori universali di Agenda 2030 è “non lasciare indietro nessuno” (Leave no one behind, LNOB), questo rende chiara la necessità di lavorare sull’abbattimento delle diseguaglianze a vantaggio di tutti gli esseri umani, indipendentemente dalle condizioni e lo status di ciascuno. Può dunque l’istituto del lavoro agile, o smart working, dare un contributo al raggiungimento dell’obiettivo?

Immagine distribuita da Wikimedia Commons con licenza CCO

Sappiamo che l’Agenda 2030 delle Nazioni Unite fa della lotta alla povertà la sua missione fondamentale: alla base del perpetuarsi del circolo vizioso della povertà a livello globale persistono le diseguaglianze fra Paesi e all’interno dei confini nazionali, in termini di accesso a servizi fondamentali quali la sanità e l’istruzione, o di mancate/insufficienti opportunità di lavoro. Un quadro di welfare sfilacciato, capace di sostenere e tutelare tutti i cittadini, in particolare i più fragili, fa il pari con la incapacità, da parte di una crescita economica non sostenibile e inclusiva, di contrastare e ridurre il livello di povertà, aumentando le chance di ogni singolo individuo, accrescendone l’empowerment e rafforzando il tessuto sociale delle comunità in cui ciascuno vive. L’obiettivo di sviluppo sostenibile 10, che mira a ridurre l’ineguaglianza all’interno di e fra le Nazioni (Reduce inequality within and among countries) si focalizza, dunque, sulla discriminazione e sulle disuguaglianze (non infrequentemente multiple e intersecanti, come nel caso di donne e persone con disabilità) che impattano sui diritti umani degli individui, creando barriere spesso risultanti da norme, politiche e prassi sociali discriminatorie.

Secondo quanto riportato dalle Nazioni Unite la disparità di reddito tra il 1990 e il 2010 è aumentata dell’11% nei Paesi in via di sviluppo, dove la maggior parte delle famiglie soffre di un elevato livello di disomogeneità della distribuzione di reddito. Le diverse diseguaglianze impattano gravemente sulla crescita economica e la riduzione della povertà, sulla qualità delle relazioni nella sfera pubblica e politica e sul senso di soddisfazione e di autostima della persona. Tali diseguaglianze devono essere aggredite per garantire uno sviluppo sociale ed economico sostenibile a lungo termine. Se facciamo riferimento, inoltre, al Rapporto ASviS del 2021 per l’Italia, si registra che la crisi economica conseguente alla pandemia da Covid-19 ha avuto un impatto rilevante sulle disparità di genere, generazionali e territoriali tipiche dell’Italia, particolarmente rispetto al Sud. Sono le misure del PNRR (ad esempio quelle relative alla famiglia, ai servizi educativi per l’infanzia, agli anziani) che possono offrire maggiori prospettive di riduzione delle disuguaglianze. Le misure di contrasto alle disparità investono, dunque, il quadro generale di welfare che ciascun Paese mette in campo, sia con riferimento alle persone in condizione di fragilità, sia, in generale, relativamente alle prospettive occupazionali e al miglioramento delle politiche fiscali, così da generare un aumento del reddito e della ricchezza e abbattere il livello di povertà.

Uno dei valori universali alla base dell’Agenda, “non lasciare indietro nessuno” (Leave no one behind, LNOB), rende chiara la necessità di lavorare sull’abbattimento delle diseguaglianze a vantaggio di tutti gli esseri umani, indipendentemente dalle condizioni e lo status di ciascuno. Può dunque l’istituto del lavoro agile, o smart working, dare un contributo al raggiungimento dell’obiettivo? Abbiamo già visto, con riferimento all’obiettivo di sviluppo sostenibile 5 in materia di eguaglianza di genere, che il lavoro da remoto, che ha radici robuste nella sfida di garantire la conciliazione dei temi di vita e di lavoro, può avere effetti positivi su un ampio ventaglio di aspetti in materia, senza, tuttavia, dimenticare che “il tema dello squilibrio del carico di cura sulle donne rimane centrale nel determinare il contributo positivo dello smart working per la popolazione femminile che, posta la minore partecipazione del partner maschile alla vita familiare, rischia un surplus di impegno”. Allo stesso modo, per quel che riguarda l’obiettivo 8 in materia di lavoro dignitoso, la possibilità di lavorare in remoto tende ad aumentare spazi e opportunità di occupazione per gli individui, che possono rivolgersi ad un mercato più ampio e diversificato, a vantaggio anche per le donne, incrementando la quantità di posti di lavoro a livello globale. Da questo punto di vista, l’obiettivo 10 si presenta come obiettivo-perno, o obiettivo-ombrello, per quel che riguarda la lotta ad ogni forma di diseguaglianza.

Appare significativo approfondire la questione con riferimento alla categoria delle persone con disabilità, che rappresentano uno dei gruppi sociali più numerosi (il Rapporto Mondiale sulla disabilità dell’OMS ricorda che il 15% della popolazione mondiale, circa 1 miliardo di persone, si trova in una condizione di disabilità) e per le quali ancora persistono barriere di natura fisica e sociale che ne impediscono la piena inclusione, come richiede, invece, con forza la Convenzione delle Nazioni Unite del 2006 sui diritti delle persone con disabilità. Occorre ricordare che il tema della disabilità, per sua natura trasversale in relazione a tutti gli aspetti della vita quotidiana e al godimento dei diritti umani dell’individuo, non era stato espressamente preso in considerazione in occasione della formulazione degli allora Obiettivi di sviluppo del Millennio nell’anno 2000: solo con la formulazione degli Obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030, la disabilità è entrata, a pieno titolo, quale dimensione mainstreaming nel quadro degli impegni ONU per lo sviluppo, con espressi richiami, ad esempio, nei SDG 4 (istruzione di qualità), 8 (lavoro dignitoso), 11 (città sostenibili), 17 (partnership per obiettivi) e, naturalmente, 10 (riduzione delle diseguaglianze).

In particolare, il target 10.2, che mira, entro il 2030, a potenziare e promuovere l’inclusione sociale, economica e politica di tutti, a prescindere da età, sesso, disabilità, razza, etnia, origine, religione, status economico o altro (“By 2030, empower and promote the social, economic and political inclusion of all, irrespective of age, sex, disability, race, ethnicity, origin, religion or economic or other status”) abbraccia, per quel che riguarda le persone con disabilità, l’aspirazione onusiana a non lasciare nessuno indietro, riconoscendo il contributo fondamentale che le persone con disabilità possono dare al raggiungimento del quadro degli obiettivi. Da questo punto di vista, il Disability and Development Report delle Nazioni Unite del 2018, (“Realizing the Sustainable Development Goals by, for and with persons with disabilities”) esplicita come la disabilità sia un aspetto che attraversa tutta l’Agenda 2030 e che deve necessariamente essere preso in considerazione per il successo dell’Agenda stessa: lo sforzo per porre in essere uno sviluppo inclusivo con riferimento alla disabilità, sostiene il Rapporto, non è solo la cosa giusta da fare, ma anche la più pratica. Lo sviluppo sostenibile, infatti, può realizzarsi solo se le persone con disabilità sono incluse sia come agenti di cambiamento, sia come beneficiari delle misure messe in campo.

Tronando al lavoro agile, sono dunque diversi gli ambiti in cui l’utilizzo di una modalità di lavoro ibrida remoto/presenza possa contribuire alla lotta alle diseguaglianze, in particolare per le persone con disabilità. Una premessa di ordine generale, innanzitutto. Quando si parla di lavoro agile, talvolta si vuole identificare, in maniera poco approfondita, quella porzione di lavoro che viene svolto da remoto o, in ogni caso, non sul luogo di lavoro (domicilio, spazi di co-working o altro), mentre lo smart working costituisce un radicale ripensamento delle modalità con cui viene svolta l’attività lavorativa, dentro o fuori l’ufficio, implicando l’emergere di valori quali fiducia, collaborazione, responsabilizzazione, autonomia. Partendo da questa prospettiva, può allora risultare maggiormente evidente come strategie di lavoro smart ibrido, in cui presenza e remoto sono pensate in funzione delle migliori prestazioni organizzative e del correlato benessere dei lavoratori, influenzino direttamente il tema dell’eguaglianza. In relazione alle persone con disabilità, infatti, il grado di autonomia e autodeterminazione in relazione agli obiettivi lavorativi possono rappresentare, da un lato, una potente chiave di empowerment e, dall’altro, l’occasione per il dispiegamento completo delle potenzialità della persona: si pensi, quindi, al tema di città sostenibili e inclusive in cui si rovescia il paradigma dell’individuo al servizio dell’insediamento urbano; a quello relativo al lavoro dignitoso, in cui una gestione più elastica dei tempi e degli spazi professionali e privati consente una più agevole gestione della propria situazione personale; o, ancora, all’istruzione in tutte le fasi della vita, dove l’apprendimento da remoto può costruire un valido complemento al continuum educativo.

Se questo è vero, è, tuttavia, imperativo un bilanciamento con il dovere che la Convenzione ONU del 2006 impone agli Stati in termini di progresso verso una società inclusiva. Al netto della spinta formidabile che la pandemia da Covid-19 ha impresso all’utilizzo dello strumento, è elemento condiviso che il lavoro agile non possa limitarsi al lavoro da casa, sacrificando la necessaria interazione sul luogo di lavoro. Al netto di libere scelte personali, il lavoro da remoto, così inteso, può infatti non essere la soluzione più adatta a tutte le persone con disabilità: non solo per le diverse esigenze di ogni persona in relazione alla propria specifica situazione, ma perché, non troppo paradossalmente, un lavoro svolto esclusivamente da remoto potrebbe realizzare una ulteriore ghettizzazione della persona con disabilità, privata della ordinaria quotidianità (la frequentazione del posto di lavoro, della scuola o di luoghi di formazione, del proprio circondario urbano) di cui possono godere tutte le altre persone. Senza contare che un utilizzo intelligente di formati ibridi di smart working non può e non deve fornire alibi all’incessante lavoro per rendere più accessibili e inclusivi i nostri luoghi di lavoro, le nostre scuole, le nostre città.

Quanto sinteticamente illustrato costituisce, insomma, una ulteriore dimostrazione della profonda interdipendenza dei diversi obiettivi e dell’importanza fondamentale dello sforzo di non lasciare nessuno indietro nel processo di implementazione, posto che, come recita l’Agenda, le interconnessioni degli Obiettivi dello Sviluppo Sostenibile sono di importanza cruciale nell’assicurare che lo scopo della nuova Agenda venga realizzato. Se noi realizzeremo le nostre ambizioni abbracciando l’intera Agenda, le vite di tutti verranno profondamente migliorate e il nostro mondo sarà trasformato al meglio: attraverso la lotta alle diseguaglianze, in ogni forma e per ogni individuo, e grazie all’utilizzo di leve diverse e complementari, come quella dello smart working, in particolare per coloro che si trovano in condizione di fragilità e di allarmante svantaggio per quanto riguarda la trappola della povertà, dovuta alla mancanza/perdita di opportunità in termini di istruzione, lavoro, inclusione sociale, economica e politica.

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