Il nuovo urbanesimo alla base della sostenibilità digitale delle città

Così come parlare di sostenibilità non può ridursi al solo parlare di ambiente senza tenere in considerazione la fitta trama di correlazioni tra esso, società ed economia, allo stesso modo parlare di sostenibilità digitale non vuol dire limitarsi a parlare di sola tecnologia. Vuol dire, piuttosto, riflettere su come essa – nel complesso contesto di quella trasformazione digitale che non si limita ad impattare sul come facciamo le cose ma ne rivoluziona il senso – ridefinisca i processi ed i percorsi di cambiamento facendo della tecnologia uno strumento attivo di sostenibilità, utile – anzi, indispensabile – per perseguire gli obiettivi di Agenda 2030.

Fatta questa premessa, da non dare mai per scontata (pena il confondere la tecnologia sostenibile con la sostenibilità tecnologica, che più o meno corrisponde a guardare al dito quando questo indica la luna), ecco che riflettere sul ruolo della tecnologia, e della tecnologia digitale in particolare, diventa fondamentale quando si ragiona su un tema centrale come quello inerente il futuro delle città in un’ottica orientata a superare il concetto di smartness, che troppo spesso si è tradotto in infruttuose iniezioni di tecnologia più o meno utile in contesti urbani più o meno pronti ad accoglierla. Senza mai (o quasi mai) una seria riflessione né sul senso di tali iniezioni né su quello degli stessi contesti rispetto al percorso di sviluppo della società, che dalla tecnologia digitale è profondamente influenzata.

Verso il nuovo urbanesimo digitale

Sempre più spesso, per tentare di ribadire la centralità dell’uomo rispetto alle tecnologie, si parla di nuovo umanesimo digitale. Termine suggestivo che richiama le chiacchierate tra Dio ed Abramo sulla centralità dell’uomo, ma che – nel tentativo di ridare centralità al ruolo “quasi demiurgico” dell’uomo -rischia di produrre l’effetto opposto, nobilitando il ruolo del digitale e facendolo assurgere, dalla dimensione di strumento, a quello di attributo specifico dell’essere umano. Da forma a sostanza, in grado persino di ridefinirne l’essenza. Un rischio non da poco, se si considera che il tentativo che dà
luogo alla nascita del concetto di umanesimo digitale è proprio quello di rimettere al loro posto le tecnologie. Il posto del complemento piuttosto che dell’oggetto, del comprimario piuttosto che del soggetto. Dello strumento, insomma. Strumento che in effetti se non utilizzato correttamente rischia di prendere il sopravvento su chi lo usa, un po’ come un aliante mal pilotato. Ma pur sempre uno strumento.

Ecco quindi che se l’attributo “digitale” mal si sposa con l’ente quando l’ente è l’essere umano, le cose possono cambiare profondamente se l’ente non è l’essere umano, ma il contesto nel quale l’essere umano svolge le sue azioni. Ossia, nella maggior parte dei casi, il contesto urbano. In funzione della crescita sempre più rapida della dimensione delle grandi città, una crescita per la quale si stima che da qui al 2050 due terzi della popolazione mondiale vivrà in città e di queste ben 43 da qui al 2030 supereranno i 10 milioni di abitanti, il loro ruolo ed il loro senso sta mutando profondamente. Nel medioevo ci si raggruppava nelle città per difendersi dai nemici, all’alba della rivoluzione industriale le città erano il luogo delle fabbriche e del lavoro.

Qual è il ruolo delle città nell’epoca della trasformazione digitale? Quale diventa il loro senso in un’era di cambiamento di senso? E come usare la tecnologia per rendere i contesti urbani adatti a divenire scenario ideale per lo sviluppo di nuove forme relazionali, sociali ed economiche? È, questo, lo scenario di un vero e proprio nuovo urbanesimo digitale. Un urbanesimo ridefinito e rimodellato dalla tecnologia che diviene strumento di sviluppo sostenibile, che ne trasforma il senso e le dinamiche nell’ottica di costruire contesti resilienti ed inclusivi, ridetermina flussi, ruoli e modelli degli scenari urbani in funzione dell’obiettivo di costruirli – realmente – a misura d’uomo. Il nuovo urbanesimo digitale è quindi lo scenario nel quale ridefinire il senso dei servizi, degli attori, dei sistemi che ruotano attorno ad un uomo la cui esistenza è sempre più connessa.

Urbanesimo Digitale e piattaforme

Il nuovo urbanesimo digitale ridefinisce il senso anche del concetto di piattaforma, dando nuova centralità ad alcuni attori che, nello sviluppo dei modelli urbani connessi, possono svolgere una funzione chiave. Se nella concezione della platform society di José Van Dijck la piattaforma ha un ruolo ben chiaro e definito e la sua relazione con la struttura sociale diviene sempre più stretta, è indubitabile che molte delle visioni più critiche sul ruolo delle piattaforme nel futuro della nostra società siano più che giustificabili. Che ci si riferisca al capitalismo della sorveglianza come lo descrive Shoshana Zuboff o al capitalismo di piattaforma di Nick Srnicek, il ruolo delle piattaforme quali attori centrali della vita sociale è sempre più evidente. Così come è evidente che tale ruolo sia inestricabilmente connesso a un modello di business che vede nella sua capacità di estrarre dati da utenti più o meno consapevoli, trasformandoli in valore economico, il fulcro del senso stesso delle piattaforme. Piattaforme delle quali cogliere le opportunità e dalle quali, in una certa misura, difendersi. Che attori come Google, Amazon o Facebook producano grandi benefici è indubbio, ma è altrettanto indubitabile che la loro esistenza sta ridefinendo la struttura della società in una direzione nella quale le caratteristiche stesse di tale esistenza dovranno probabilmente essere ridisegnate. In Sostenibilità digitale ho provato ad elencare una serie di contrapposizioni, vere o apparenti, di fronte alle quali ci troviamo nel complesso tentativo di disegnare il futuro della nostra società rispetto a questo fenomeno (tra queste, come bilanciare sicurezza e libertà? Privacy e controllo? L’essere utenti o semplici attori?) ma oltre a dover definire il corretto bilanciamento di tali istanze, dobbiamo anche identificare nuovi modelli che consentano di agire nella direzione di perseguirlo.

Nuove piattaforme urbane

In un’architettura di servizi urbani in cui il cittadino possa muoversi in una dimensione di self sovereign identity, nell’ottica di quel cambiamento di senso proprio della trasformazione digitale applicata al nuovo urbanesimo, a cambiare è anche il senso di alcuni attori. Attori che assumono un ruolo nuovo e ancor più centrale, per certi versi vero e proprio contraltare alle piattaforme degli OTT come Google. Sono le piattaforme che si basano su infrastrutture fisiche, innervate nella più profonda struttura urbana delle città, e che possono trovare nel loro nuovo ruolo da una parte una soluzione al rischio di commoditizzazione, dall’altra una funzione sociale primaria nel contesto del nuovo urbanesimo digitale. I gestori di servizi primari di rete come l’energia elettrica, l’acqua, le telecomunicazioni o le stesse strade sono e saranno sempre più orientati ad implementare strumenti e tecnologie finalizzati a migliorare il loro livello di servizio. Grazie all’IoT chi sviluppa infrastrutture fisiche sta implementando sistemi di controllo sempre più complessi e raffinati per i milioni di apparati distribuiti nelle città (si pensi ai contatori dell’energia elettrica ed allo smart metering). Grazie all’Intelligenza Artificiale tali attori stanno implementando modelli predittivi per gestire al meglio manutenzione e guasti. Nell’era di Industria 4.0 e di smart grid sono prevalentemente queste le leve di vantaggio competitivo che qualificheranno gli attori destinati ad avere un ruolo centrale nella città di domani. Ma questo – nella sfida della trasformazione digitale – riguarda il come. Se invece si passa alla dimensione di senso, quella che attiene il “cosa” abbia senso fare nel mutato contesto sociali ed economico, particolare rilievo lo assume il fatto che tali attori, nella costruzione delle infrastrutture di nuova generazione, si stanno trasformando in importanti produttori di dati.

Nuove alleanze urbane

È proprio intorno alla generazione di dati che si gioca la partita delle nuove piattaforme urbane, che da commodity si possono candidare oggi a diventare stakeholder ancora più centrali, a fianco delle Amministrazioni delle città, nella costruzione di un sistema di servizi sempre più efficace ed utile per il cittadino. Si può prospettare, in tal senso, un nuovo modello di città smart, nella quale la pubblica amministrazione veda nelle grandi piattaforme urbane sviluppate dai gestori delle infrastrutture primarie dei veri e propri partner per la costruzione di servizi data driven. Quei servizi che consentirebbero di controbilanciare l’egemonia delle piattaforme attuali, che spesso – in un modello di business del tutto legittimo, sia chiaro – rischiano di “estrarre” valore dai cittadini senza necessariamente restituirlo, in maniera proporzionalmente congrua, alla comunità nella quale vivono i cittadini che i dati li hanno generati.

Il nuovo urbanesimo digitale può vedere quindi in queste alleanze il terreno di coltura ideale per lo sviluppo di un nuovo modello di servizi per il cittadino, che abiliti quella data driven governance della quale tanto spesso si parla ma per la quale altrettanto spesso a mancare sono proprio i dati, oltre che le visioni strategiche legate al loro utilizzo. Insomma: ripensare le smart city nell’ottica del nuovo urbanesimo digitale significa sviluppare nuovi modelli di partnership ed alleanze urbane nelle quali l’Amministrazione si configuri come hub. Articolatore, cioè, di una serie di attori pubblici e privati in grado di conferire dati, informazioni e servizi derivanti dalla loro attività.

Nuove leve di valore

La peculiarità delle nuove piattaforme urbane, rispetto alle piattaforme digitali descritte da Zuboff o Srnicek, consiste nella sostanziale differenza nel modello di generazione di valore.

Modello che, volendolo schematizzare semplificandolo per contrapposizione, può essere così riassunto:

  • L’obiettivo principale delle piattaforme digitali è quello di creare valore per gli azionisti. I dati degli utenti sono lo strumento utilizzato per il perseguimento di questo obiettivo. L’obiettivo principale delle nuove piattaforme urbane è quello di gestire servizi di rete. Per la gestione di tali servizi vengono generati dati – sugli utenti e sulle città – che sono utili alle piattaforme per ottimizzare i propri processi. Tali dati generano un vero e proprio surplus di valore che può essere restituito alla collettività.
  • Per le piattaforme digitali i dati rappresentano quindi la base del modello di business. Per le piattaforme urbane i dati rappresentano uno strumento di ottimizzazione e miglioramento dei servizi offerti.
  • Il modello di business delle piattaforme digitali si basa su un processo di estrazione di valore dagli utenti che genera valore per gli azionisti. Quello delle piattaforme urbane si basa invece sulla costruzione di valore per gli utenti che genera valore per la collettività.

Uno scenario da (ri)disegnare

Benché si sia rappresentato uno scenario fatto di contrapposizioni utili a comprendere le differenze tra i due modelli, è bene evidenziare come le piattaforme digitali non siano in contrapposizione diretta o in concorrenza con le piattaforme urbane. Così come non ci sono – intrinsecamente – piattaforme buone e piattaforme cattive (chi ricorda “don’t be evil”?). Piattaforme digitali e piattaforme urbane rappresentano, piuttosto, due tessere d’un mosaico complesso, che è quello della platform society, nel quale possono convivere attori differenti con differenti modelli di business. Certo è che lo sviluppo di un ruolo nuovo per gli attori tradizionali è funzionale allo sviluppo di approcci smart orientati all’utente che siano più funzionali di quanto visto finora nelle smart city tecnocentriche, in cui selve di pali intelligenti non necessariamente hanno reso più intelligente la città, o la vita più facile ai suoi abitanti. Inoltre, lo sviluppo di sistemi basati sulla self sovereign identity e la possibile diffusione tra i gestori di infrastrutture primarie di approcci data driven che possano generare valore per le comunità locali rappresentano due elementi di forte peso nella definizione delle strategie delle grandi data platform, anche per ricordare a tali attori che un’alternativa è sempre possibile, e per spingerli a modellare i loro servizi bilanciando con attenzione il valore estratto dagli utenti con quello restituito alle comunità.

La disponibilità di modelli aperti e collaborativi di servizio sarà sempre utile per ricordare alle grandi piattaforme digitali che non è detto né è scontato che, tanto per fare un esempio concreto, sia più conveniente per il cittadino utilizzare un navigatore satellitare che estragga valore per portarlo altrove rispetto ad un servizio analogo che lo stesso valore lo restituisca alla comunità nella quale il cittadino vive. A vincere saranno le logiche di servizio migliori, e gli approcci orientati ad una vera sostenibilità digitale, che veda la tecnologia al servizio della comunità urbana nel suo complesso e dei singoli utenti. E a vincere da un approccio coopetitivo tra data platform e piattaforme urbane saranno soprattutto i cittadini e le comunità urbane.

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