Quello che non si dice del Safer Internet Day

di Stefano Epifani e Sonia Montegiove

Ragazzi bullizzati, ragazze vittime di stalking, bambini adescati. Sexting, phishing, frodi on line, cyberbullismo, Hikikomori. Numeri e percentuali, spesso discordanti e apparentemente poco verosimili, trend di fenomeni negativi popolano le colonne dei giornali con l’avvicinarsi del Safer Internet Day, giornata internazionale per la sicurezza informatica, istituita per ricordarci di contribuire a fare di Internet un posto migliore. Tutti i rischi possibili, ovvero tutto il peggio della Rete diventa quasi l’unico protagonista in una giornata che dovrebbe mostrarci anche il bello, le opportunità, il lato positivo di uno strumento potente tanto nei benefici quanto nei rischi.

Together for a better internet“. Lo slogan della giornata richiama a un senso di responsabilità comune che ciascuno deve sentire come proprio per fare dei social network e della Rete in generale un posto più sano, e sereno, in cui passare ore della nostra vita per la quale non esiste più una distinzione tra ciò che facciamo nel “virtuale” o nel “reale”. Famiglie, scuole, istituzioni, imprese, associazioni, singoli cittadini sono chiamati a uno sforzo comune: costruire un “paese” che non ha confini geografici ma che ha regole comuni, scritte, non scritte e di buon senso che aiutano a farci fare comunità.

Compreso il fatto che rischi esistono e si possono contenere. Compresa la necessità di darsi delle regole, anche quando queste non ci vengono imposte da altri, qual è il motivo per continuare a stare in Rete? Perché dovremmo restare e non decidere invece di gettare lo smartphone in un dirupo?

Per il senso di comunità

In Rete si possono conoscere una quantità esagerata di belle persone, con le quali si può costruire un legame forte, di amicizia, professionale, persino di amore. Se si costruisce bene la propria identità digitale, se si è in grado di mostrarsi per ciò che ci interessa, per quello che ci appassiona e ci piace studiare, saremo in grado di avvicinare persone con le quali potersi confrontare su un tema, discutere, scambiarsi conoscenze e competenze. Un po’ quello che i nostri nonni avrebbero tanto voluto fare ma, forse, non lo immaginavano neppure possibile.

Per lo scambio continuo di conoscenza

Internet nasce come strumento di conoscenza aperta, in continua espansione, libera. Una fonte inesauribile di notizie, vere e false, da poter selezionare, analizzare, leggere, approfondire, ma soprattutto scegliere. Ed è proprio la capacità di fare tutto questo che potrà fare la differenza in uno strumento così meravigliosamente libero da poter far decidere ai singoli a cosa credere e a cosa no, partendo dal presupposto che le tesi, anche in fisica o matematica, possono sempre essere messe in discussione perché, come scrive il fisico George Messer, “se scopriamo che le nostre teorie inseguono fantasmi, non è negativo: ci ricorda di essere umili“.

Perché ha un senso esserci

Aprire un dibattito su quanto i social network o Internet facciano bene o male forse non serve. Serve invece chiedersi quanto vale il tempo trascorso on line, il senso che ha avuto trascorrere ore a leggere, rispondere, postare. Se e quando troveremo una ragione per esserci e un motivo per restare, allora non dovremo preoccuparci e rimpiangere il tempo in cui i telefoni non c’erano e ci si guardava di più negli occhi. Perché si può continuare a farlo. Perché questa “modalità antica” non fa che arricchire un nuovo modo di relazionarsi e stare insieme. Perché non è vero che niente ha senso sui social. E perché se è vero che si può rimpiangere ciò che non abbiamo più, si può gioire per quanto di nuovo ora abbiamo. Un po’ come si legge nel libro “Niente” di Janne Teller: “Piangevamo perché avevamo perduto qualcosa e trovato qualcos’altro. E perché è doloroso, sia perdere che trovare. E perché sapevamo cosa avevamo perduto, ma non eravamo ancora capaci di definire a parole quello che avevamo trovato”.

Perché può migliorare le cose

A furia di guardare ai rischi di internet, il vero rischio è che si perda di vista il suo grande punto di forza. Internet non è soltanto qualcosa che può essere reso “più sicuro”, ma è anche qualcosa che può rendere il mondo più sicuro, e perché no, migliore. La prospettiva di osservazione che abbiamo della Rete è distorta dalla cattiva informazione: quell’informazione che vuole far notizia, che deve dare spettacolo, che serve – guarda caso – ad alimentare con il clickbaiting proprio quei fenomeni che dice di criticare. E come è distorta la prospettiva di osservazione lo è quella di analisi. Perché se Internet è sempre più rappresentazione del mondo è inevitabile che ci sia del brutto, ma dovremmo concentrarci anche – e soprattutto – su quanto c’è di bello, e alimentarlo, e farlo crescere. Perché Internet non è solo quell’inferno dei viventi che qualcuno vuole far credere, ma è anche e soprattutto strumento di apertura, di libertà, di confronto, di crescita, di conoscenza, di sviluppo. Ed è proprio alla dimensione dello sviluppo che dobbiamo guardare. E se guardiamo ad Internet come strumento di sviluppo ecco che diventa essenziale aggiungere l’aggettivo sostenibile. E pensare ad internet come strumento di sviluppo sostenibile vuol dire pensare ad Internet come strumento per costruire la società di domani. Una società che non sarà bianca o nera, ma sarà il frutto di scelte che vedono nella Rete un alleato che non possiamo permetterci di perdere. In analisi le dimostrazioni si fanno prendendo in considerazione i casi limite: guardiamo a quello che può fare  di buono la rete nei casi limite del mondo, quelli nei quali i diritti non sono garantiti, la conoscenza non è scontata, la libertà è ancora una conquista. E vediamo come la rete, in quei casi, è strumento di diritto, dei conoscenza, di libertà. E pensiamo a come fare per prendere quella Internet e farla crescere.

 

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