Rete e piattaforme libere per la didattica a distanza: parla Massimo Carboni

In questo momento di difficoltà conseguente alla pandemia da Coronavirus, c’era bisogno di fare qualcosa, di dare un’alternativa alle tante iniziative, anche solidali, ma proprietarie, proposte in questi giorni per fare videoconferenza utile a smart working e didattica a distanza. E con iorestoacasa.work ci stiamo provando”. Massimo Carboni, Chief Technical Officer di GARR sottolinea l’importanza del poter scegliere liberamente lo strumento più adatto per restare in contatto con altri, anche e soprattutto in un momento come questo di grande bisogno e difficoltà.

L’idea di un luogo (virtuale), grazie al quale potersi collegare con altri attraverso piattaforme open source è stata di un team di sviluppatori di Fabriano composto da Luca Ferroni, Riccardo Serafini, Francesco Coppola e Dawid Weglarz, che hanno messo a disposizione server pubblici di Jitsi Meet, applicativo open source per fare videochiamate, invitando altri, aziende, istituzioni e privati, a fare la stessa cosa. GARR ha subito aderito con un proprio server, open.meet.garr.it, al fine di potenziare le risorse a disposizione e evitare carichi eccessivi dei server e quindi scarsa qualità delle videochiamate.

Grazie a questa iniziativa – spiega Carboni – sarà possibile videochiamare altri senza installare nulla su PC (o con una app se si vuole usare un device mobile) e soprattutto senza necessità di registrarsi lasciando i propri dati, come avviene invece nel caso di piattaforme proprietarie che mettono a disposizione servizi presentati come gratuiti e che gratuiti non sono, proprio perché in cambio hanno i nostri dati. Come GARR avevamo già servizi di videoconferenza a disposizione della comunità di istruzione e ricerca e, in questo modo, possiamo ampliare la platea di utenti per migliorare l’usabilità delle piattaforme. È chiaro che non possiamo confrontarci con grandi player, che lavorano su questo da anni e che hanno realizzato tutta una serie di funzioni e servizi utili agli utenti, ma il messaggio che vogliamo dare è che si può, e si deve, ancora scegliere”.

Ma per fare didattica a distanza è sufficiente una piattaforma?

Volendo continuare a parlare di piattaforme, al momento oltre a OpenMee che si basa su Jitsi Meet, come GARR stiamo sperimentando EduMeet, progetto nato nell’ambito internazionale della rete delle università e della ricerca europea GÉANT, il quale ottimizza l’utilizzo di banda, che in questi giorni rappresenta una criticità per la rete. Ciò su cui si deve lavorare maggiormente è la formazione digitale dei ragazzi e del corpo docente, che si sono trovati a gestire una situazione di emergenza. Purtroppo in questo momento abbiamo visto docenti improvvisarsi, in quanto impreparati, e usare anche strumenti di vita quotidiana, come può essere Whatsapp, per rapportarsi con gli allievi o usare il registro elettronico come il cartaceo e mettersi a fare lezione frontale in video, senza chiedersi il grado di interesse di chi hanno di fronte. La pandemia cambierà profondamente e forse in modo irreversibile il modo di fare scuola e l’auspicio è quello di non lasciare troppe “delusioni digitali”, ovvero frustrazioni da parte delle persone rispetto alle grandi potenzialità del digitale. È necessario un salto di qualità nelle azioni di formazione e nell’adozione di un sistema di didattica digitale efficiente e libero che richiede un grande sforzo da parte di tutti. Per questo GARR, insieme al CNR, con questi strumenti open vuole richiamare l’attenzione sulla possibilità di costruire un modello di competenza condivisa e non venduta.

Quali sono i limiti oggi della didattica a distanza?

Oltre al problema piattaforme e competenze, c’è anche sicuramente un problema infrastrutturale che non è stato affrontato nel modo adeguato per tenere conto del reale digital divide delle scuole. La banda ultralarga dovrebbe essere a disposizione in tutte le scuole e i costi di attivazione e di esercizio dovrebbero rientrare tra quelli delle altre utenze fondamentali come l’elettricità o la fornitura di acqua. L’accesso alla rete deve rientrare tra gli interventi di tipo sociale, perché Internet è un bene primario e come tale va garantito.

Come accompagnare i nativi digitali?

Nel Decreto Cura Italia si fa riferimento a dotazioni che potrebbero essere date alle famiglie che non ne hanno, senza specificare nulla di più. Io ci tengo a dire che lo smartphone, così come il tablet, non dovrebbero essere gli unici dispositivi messi a disposizione dei ragazzi perché limitati e perché il loro uso è spesso concentrato sulla parte ludica e relazionale della rete. A parità di risorse, sarebbe meglio incentivare l’uso del PC, più completo, dove i ragazzi possono sperimentare, ritornare a credere nell’innovazione digitale, e a farlo con la giusta consapevolezza che consenta loro di muoversi in modo autonomo e sicuro. Oltre che liberi di poter scegliere.

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