Acqua come bene comune: quale il ruolo del digitale? Intervista a Rosario Lembo

Promozione del diritto umano all’acqua e salvaguardia dell’acqua come bene comune dell’umanità sono le attività sulle quali si focalizza il lavoreo del CICMA, Comitato Italiano per un Contratto Mondiale sull’acqua-Onlus, presieduto da Rosario Lembo. “Abbiamo partecipato al processo di consultazione avviato dal Segretario di UN, sollecitando la proposta di inserire tra gli SDG l’impegno degli Stati per garantire il diritto umano all’acqua a livello di minimo vitale” – racconta il presidente Lembo. “Questa proposta, sostenuta nella fase negoziale anche dal Governo italiano e da altri Paesi, è stata eliminata dai Paesi che si erano astenuti in fase di approvazione della risoluzione ONU e il diritto all’acqua è stato sostituito con “l’accesso equo e universale all’acqua ad un prezzo abbordabile” del target 6.1 e dall’impegno a “garantire l’accesso ai servizi igienici di base ponendo fine alla defecazione all’aperto, con particolare riferimento ai bisogni delle donne e delle ragazze, e dei gruppi più vulnerabili” del 6.2. In funzione del ruolo che le città esercitano a livello di governance di accesso all’acqua attraverso le società di gestione partecipate, e in assenza di una risposta legislativa al referendum del 2011, il CICMA ha deciso di impegnarsi per promuovere sui territori il diritto umano all’acqua attraverso iniziative su ad alcuni SDG di Agenda 2030: in particolare il Goal 11, il Goal 12 e il 13 oltre che 17.

In quale modo il CICMA sta portando avanti gli impegni a favore della sostenibilità?

Rispetto all’implementazione dell’accesso universale all’acqua, come diritto umano, il CICMA ha attivato contatti con lo Special Rapporteur sull’acqua, nominato da UN, partecipando ai processi di consultazione a supporto dei rapporti che annualmente sono presentati all’Assemblea ONU. Nell’intento di stimolare l’adozione di strumenti giuridici vincolanti, che definiscono le modalità con cui gli Stati possono garantire il diritto umano a livello di “accesso al minimo vitale”, pari a 50 lt/per/gg fissato dall’OMS, il CICMA ha elaborato con il Dipartimento di Diritto internazionale della Università Bicocca di Milano, la proposta di un Secondo Protocollo Opzionale al Patto PIDESC sul diritto umano all’acqua. Questa proposta è stata oggetto di approfondimento con Il Ministero degli Esteri e il Vaticano ed è stata presentata ai rappresentanti degli Stati presso il Consiglio dei Diritti culturali, economici, sociali dell’ONU, in un side-event organizzato a Ginevra con il sostegno della Bolivia in occasione della Giornata della Terra nel 2019. A livello nazionale, il CICMA è stato, assieme al Forum dei movimenti dell’acqua nel 2009, tra i promotori della legge di iniziativa popolare, trasformata in proposta di legge parlamentare nelle varie legislature. Nella precedente legislatura la Camera dei deputati aveva approvato una prima versione della proposta di legge, mentre in questa legislatura sono giacente inevase due proposte di legge parlamentari presso la Commissione Ambiente della Camera. Nell’art. 1 di tutte le proposte di legge presentate si riconosce il diritto umano all’acqua e si definisce le modalità di accesso universale al minimo vitale di copertura del costo del minimo vitale. Grazie all’azione di sensibilizzazione svolta dal CICMA, l’adozione di uno strumento giuridico di diritto internazionale vincolante che gli Stati potrebbero adottare per garantire il diritto umano all’acqua e il riconoscimento attraverso una legge quadro nazionale, sono proposte sostenute dall’ASVIS attraverso il Rapporto 2019 come raccomandazioni presentate al Governo e al Parlamento di implementazione della Strategia nazionale di sviluppo sostenibile. Infine, con riferimento alla sfida che chiama in causa le città, per garantire l’accesso all’acqua potabile e ridurre l’impatto dei cambiamenti climatici, il CICMA ha lanciato, nel giugno 2018, la proposta di adozione di una Carta delle Città per il diritto umano all’acqua” che identifica alcuni impegni e buone pratiche che le città possono adottare, attraverso le Agende Urbane di sviluppo sostenibile, e che è stata aggiornata alla luce dell’emergenza Covid 19. La Carta delle Città, ad oggi, può contare sulla adesione del Coordinamento delle Agende 21 locali, dalla Rete delle CittàSane-OMS, sul sostegno del Comune di Milano e del Coordinamento degli Enti locali per la Pace e i Diritti umani. La Carta è inoltre una proposta presente nella Agenda Urbana delle Città e nel Rapporto 2019 dell’ASVIS. Un progetto al quale guardare con attenzione, cofinanziato dall’Agenzia di Cooperazione AICS e in corso di realizzazione, è riferito alla attività di implementazione degli SDG 6, 11, 12 e 13 attraverso il progetto “Le Città e la gestione sostenibile dell’acqua e delle risorse naturali“.

In generale, pensa che la tecnologia possa essere strumento di sostenibilità?

Gli sviluppi di sistemi di comunicazione digitali se utilizzati come “strumenti” possono avere un impatto positivo, soprattutto nei Paesi più industrializzati, nel facilitare i contatti fra persone e gruppi, nello scambiare informazioni e attivare sinergie fra network locali, oltre che per sostenere campagne di advocacy e diffondere buone pratiche. Rispetto all’obiettivo di ridurre i gap sociali previsti da molti dei 17 SDG, purtroppo lo sviluppo delle tecnologie digitali “usa e getta” non sempre facilitano l’accesso a servizi di base da parte di tutti, specie dalle fasce più povere. L’innovazione tecnologia, se orientata al profitto e alla promozione del consumo “uso e getta“, perde la funzione strumentale di miglioramento delle condizioni di vita, crea dipendenza e, in assenza di mercato dei servizi di riparazione e riutilizzo degli strumenti informatici, determina non solo il peggioramento di alcuni degli obiettivi dell’Agenda, ma anche un forte impatto ambientale a livello di produzione di rifiuti, che fanno a peggiorare l’ambiente e inquinare gli ecosistemi.

Pensa che ci sia consapevolezza diffusa sul suo ruolo del digitale per la sostenibilità o la tecnologia è vista ancora come nemica?

Rispetto alle visioni sulla tecnologia, la domanda preliminare da porsi è per quale modello di sostenibilità può o vuole essere uno strumento: per quella economica, per quella ambientale, per quella sociale? Ed ancora “chi” deve governarla: lo Stato o il mercato? Infine ”come” viene utilizzata e per quali fini: per garantire l’accesso universale ai servizi di base e alla conoscenza, la convivenza sociale oppure per la sorveglianza delle persone, con la minaccia ai sistemi democratici, e per diffondere fake news? La tecnologia viene spesso proposta come panacea: l’intelligenza artificiale punta a cambiare la vita e il benessere dell’uomo, ma anche a controllare e sostituirsi a cicli della natura e quella applicata all’economia e ai cicli produttivi resta finalizzata a garantire il profitto attraverso il riciclo delle risorse e dei prodotti per ridurre l’impatto. Per contrastare l’emergenza COVID-19 si farà certamente ancora più ricorso alla tecnologia, ma se non si garantisce un modello di sviluppo sostenibile non aiuterà. La devastazione degli ecosistemi, la perdita di biodiversità, lo sfruttamento delle risorse idriche, la salute umana sono ambiti strettamente connessi tra loro che andranno affrontati, se si vogliono evitare future pandemie, secondo il paradigma One Health, un approccio integrato per la salute delle persone, degli animali, dell’ambiente. In assenza di una riconversione della mission della tecnologia, oltre che della economia e della finanza, nella fase post-coronavirus si assisterà non solo un incremento dell’impatto negativo rispetto ad alcuni degli 17 SDG ma ad una crisi ambientale che provocherà una ribellione della Natura sull’Uomo e quindi nuove crisi sanitarie, ambientali, economiche. A livello di sostenibilità “sociale”, il maggior ricorso a soluzioni tecnologiche  digitali determinerà impatti negativi sulla vita e sui comportamenti, con un peggioramento delle relazioni fra persone in casa e negli spazi pubblici. Le nostre società rischiano di trasformarsi in “isole” di individui collegati via informatica, automatizzati come ”mini robot” e quindi guidati nei loro comportamenti. Si perderà la dimensione “comunitaria” delle relazioni umane, del vivere insieme sui territori e quindi del rapporto armonico anche con l’ambiente. Possibili impatti negativi potranno esserci sui modelli di democrazia rappresentativa e soprattutto sulla tutela dei diritti umani. Se è lasciata alla libertà personale la facoltà di lasciare ai privati la libertà di utilizzare dati personali a tutela della “sicurezza sanitaria collettiva”, occorrerà fare i conti con la perdita delle libertà individuali. Per superare queste criticità, sarà necessario che la comunità internazionale e gli Stati si pongano la domanda di quale modello di governance adottare. Forse è opportuno che, come è stato possibile per la salute attraverso una Organizzazione sovranazionale come l’OMS, ci sia un organismo internazionale di riferimento per la “governance” di alcuni aspetti della tecnologia digitale, visto che tutto ciò che condiziona l’accesso a servizi associati a diritti umani e ciò che impatta sulla salute anche dell’ambiente non possa essere più delegato alle regole del libero mercato e all’autoregolamentazione da parte dei colossi della tecnologia informatica.

Quali gli strumenti digitali utilizzati per fare advocacy da parte della vostra associazione, con quali risultati?

Lo strumento principale adottato dal CICMA a livello di advocacy è stato quello della “democrazia partecipativa“. Il ricorso ai social network è stato “strumentale” e ha consentito di diffondere questa visione dell’acqua come bene comune sui territori oltre che creare reti di persone che hanno consentito di organizzare, ogni tre anni, i Forum alternativi mondiali dell’acqua, a partire dalla prima esperienza attivata a Firenze nel 2003. E-mail e petizioni online sono stati utilizzati per azioni di advocacy su parlamentari, europei o nazionali, su consiglieri comunali e partiti politici a sostegno di delibere finalizzate a sollecitare l’approvazione di provvedimenti legislativi o proposte di emendamenti. In molti casi queste azioni hanno portato a risultati positivi. In questa fase emergenziale, inoltre, anche noi abbiamo dovuto ricorrere a videoconferenza e piattaforme social per supplire alla impossibilità di realizzare incontri pubblici.

Ottimismo o pessimismo sul raggiungimento dei goal previsti da Agenda 2030? Qual è il goal potenzialmente più a portata di mano e perché e quale quello più difficile e perché?

Il Rapporto che il segretario dell’ONU ha presentato nel luglio 2019 all’assemblea sui 17 obiettivi della Agenda 2030 evidenzia che alcuni passi in avanti si sono registrati solo per i Goal 3, 5, 7, 8 e 11, mentre sono peggiorati quelli su cambiamento climatico e tutela della biodiversità. Con riferimento al Goal 2 per il terzo anno consecutivo crescono le persone che soffrono la fame e sono ancora milioni i bambini denutriti sul Pianeta e, a causa del coronavirus, questa cifra è destinata a raddoppiarsi. Anche per il Goal 6, sono circa un miliardo le persone che vivono ancora oggi in zone dove c’è carenza di acqua e strutture che non garantiscono servizi igienico sanitari adeguati. In assenza di accesso all’acqua come risorsa per prevenire la contaminazione da coronavius è destinata ad aumenterà, soprattutto in molti Paesi dell’Africa e dell’America del Sud. Dal nostro punto di vista, temiamo che l’impatto dell’emergenza sanitaria determinerà un peggioramento in generale su diversi goal di Agenda. Aumenteranno, per esempio, i rifiuti urbani indifferenziati, dove confluiranno i materiali sanitari e non (tute, mascherine), ma anche la plastica monouso (per uso alimentare) utilizzati in ospedali, nella ristorazione, nei comportamenti quotidiani come strumenti precauzionali. Di fatto saranno annullati tutti i progressi finora raggiunti e rinviati gli impegni presi degli Stati in attuazione di Agenda 2030. Se guardiamo all’accesso universale all’acqua come diritto umano, dobbiamo prendere atto che questo obiettivo, a distanza di 10 anni dal riconoscimento dell’ONU, non è garantito da nessuno Stato, neanche da quelli che hanno inserito il diritto all’acqua nelle loro costituzioni. Purtroppo, come afferma il Rapporto di monitoraggio sullo stato di implementazione sull’SDG 6 presentato all’Assemblea ONU, l’accesso universale all’acqua non sarà raggiunto da nessuno Stato entro il 2030. E’ amaro constatare che nonostante sussistano le condizioni, a livello di conoscenze e di tecnologie, che consentirebbero di garantire il diritto alla vita di ogni essere umano, ciò che manca e la volontà politica da parte degli Stati di garantire l’accesso all’acqua potabile come diritto umano, almeno a livello di minimo vitale. L’accesso all’acqua come diritto non solo costituisce una delle modalità per garantire il diritto alla vita, la pacifica convivenza, e la prevenzione da infezioni come il Covid 19 ma anche una pre-condizione per garantire l’accesso a tutti gli altri diritti che sono previsti dai 17 obiettivi di Agenda 2030. L’impegno degli Stati a garantire questi obiettivi potrebbero essere un investimento più sicuro per prevenire future pandemie.

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