La sostenibilità futura delle organizzazioni si fonderà sull’innovazione disruptive

Il vero mistero del mondo è il visibile non l’invisibile
(Oscar Wilde)

L’era post Covid, seppur con tutte le difficoltà ancora presenti, è iniziata e, come altre volte già detto, molte cose sono già cambiate e chi sa quante altre cambieranno nei prossimi anni.

Il tema per le imprese è senz’altro la loro capacità di adattamento a cambiamenti sempre più veloci o disruptive come l’esperienza Covid ci sta insegnando. Già prima di questa pandemia con la digital transformation le imprese stavano affrontando tematiche di cambiamenti di tipo esponenziale dovute ai processi di globalizzazione e ad una tecnologia dirompente.

Ancora di più quindi sarà importante il ruolo di un management che per mantenere in vita le proprie aziende dovrà avere la capacità di innovare in un mondo sempre più sconosciuto.

Ho avuto il piacere, negli anni, di curare la pubblicazione e la diffusione in Italia di fortunati libri, tra cui il Dilemma dell’innovatore di Clayton Christensen. Nella postfazione che scrissi allora facevo emergere come anche nell’era di Internet ci si pone il dilemma che Clayton Christensen descrisse, riguardante le conseguenze di quel che lui chiama le innovazioni delle tecnologie “di sostegno” e quello che chiama le tecnologie “di interruzione”.

Come ricorda Hans Magnus Enzensberger: “quando Gutemberg creò le sue lettere mobili, non pensava affatto alla distribuzione massiccia di materiale pubblicitario e neppure ai giornali scandalistici. Voleva soltanto stampare una bella Bibbia”. Sembra che quando Bell ebbe l’idea del telefono, pensasse a come risolvere il problema dei deboli d’udito e Etienne-Jules Marey sviluppò la sua camera per esaminare le sequenze dei movimenti sugli animali, la sua mente era lontanissima da Hollywood. Come aveva ricordato Peter Drucker in una sua intervista del 2000, Business 2.0, non oltre il 10/15% delle innovazioni sviluppa i desideri dell’inventore e che il processo di “distruzione creativa” di una società deve essere continuo e organizzato per riuscire, spesso i prodotti migliori sono frutto di miglioramenti successivi di quelli già esistenti e non dell’innovazione pura.

Attualizzare il concetto è quanto di più facile, perché se è vero che Clayton Christensen introdusse il termine disruptive innovation nell’articolo Disruptive Technologies: Catching the Wave (Harvard Business Review) scritto insieme a Joseph Bower già nel 1995, è a tutt’oggi presente nelle nostre realtà organizzative.

Le nuove tecnologie, la loro possibilità di offrire una varietà elevatissima di funzionalità negli ambiti più diversi e l’attitudine delle persone a rimanere sempre connesse sono alla base di questo fenomeno disruptive che può portare alla sparizione di interi settori o comunque stravolgerne le logiche competitive. Uno tra gli esempi più concreti è l’orologio che non serve più per leggere l’ora, essendo stato scalzato dagli smartphone, ma può essere utilizzato come un accessorio di moda o per misurare prestazioni sportive. Gli stessi smartphone rivestono anche le funzioni di macchina fotografica, di navigatori portatili, di console per videogiochi.

Quali consigli per un manager che deve far sopravvivere la sua realtà in un mondo sempre più disruptive?

Ci siamo abituati a vedere l’innovazione come tensione a un miglioramento continuo di un’offerta, di un servizio, di un modello di pagamento nella relazione con i clienti” dice Cristina Favini, strategist e manager of design di Logotel. “Ma cosa succede quando rompiamo gli schemi o un cliché? Quando un supermercato non ha prodotti? Quando un punto vendita non ha la cassa? Quando non si paga più con i soldi? Quando a vendere è il cliente?

Essere disruptive è l’unico modo per non essere distrutti.

Un buon manager deve sicuramente puntare a nuove tecnologie che siano realmente disruptive se vorrà fare della trasformazione digitale un elemento capace davvero di apportare un vantaggio competitivo significativo alla propria azienda. I manager che devono affrontare il disruptive dovranno possedere altre skill importanti: percepire i segnali deboli, sviluppare una buona capacità di ascolto e la fiducia, diffondere il sense of community, provare empatia ed essere collaborativi. E, per concludere, la skill da cui un buon manager non può prescindere per avere successo è sicuramente imparare a vedere ciò che ancora non c’è.

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Roberto Panzarani è docente di Innovation Management. Studioso delle problematiche relative al capitale intellettuale in contesti ad elevata innovazione e autore di svariate pubblicazioni. Da molti anni opera nella formazione in Italia. Esperto di Business Innovation, attualmente si occupa dello sviluppo di programmi di innovazione manageriale per il top management delle principali aziende e istituzioni italiane e internazionali. Viaggia continuamente per il mondo, accompagnando le aziende italiane nei principali luoghi dell’innovazione dalla Silicon alla Bangalore Valley, all’Electronic City di Tel Aviv, ai paesi emergenti del Bric e del Civets. L’intento è quello di facilitare cambiamenti interni alle aziende stesse e di creare per loro occasioni di Business nel “nuovo mondo”. L’ultimo suo libro è “Viaggio nell'innovazione. Dentro gli ecosistemi del cambiamento globale”, Guerini e Associati, 2019.

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