Cambiamento Climatico: quali rischi per l’Italia?

Nei giorni scorsi si è parlato molto del Climate Clock, ossia del Metronome, un famoso orologio di un grattacielo di New York che da qualche giorno ha smesso il countdownd delle ore alla mezzanotte per contare gli anni, i giorni e le ore che restano per agire sul riscaldamento globale. Una specie di conto alla rovescia utile a capire quanto ci vorrà, agli attuali tassi di emissioni, per bruciare il nostro carbon budget, ovvero la quantità di anidride carbonica che può ancora essere rilasciata nell’atmosfera limitando il riscaldamento globale a 1,5 ° C sopra i livelli preindustriali. Secondo l’orologio mancano poco più di 7 anni.

Sebbene questa non sia proprio una novità – poiché lo stesso orologio c’era già a Berlino dal 2019 – iniziative di questo tipo devono aiutarci a riflettere su quello che è un fenomeno del quale, forse, non ci si è ancora ben resi conto dei rischi. Volendoci focalizzare sulle specificità del nostro Paese, un recente rapporto del CMCC (Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici) evidenzia quelli che sono i principali rischi che derivano dal cambiamento climatico e che toccano sia gli aspetti economici che naturali.

L’impatto del cambiamento climatico, infatti, si riflette sull’aspetto economico e dal rapporto emerge come un innalzamento della temperatura dai 2 ai 5 gradi potrebbe causare una riduzione del -8% del PIL pro capite e impattare vari settori, tra cui l’agricoltura e il turismo la cui domanda potrebbe contrarsi fino a 52 miliardi di euro entro la fine del secolo. Lo stesso rischio alluvionale potrebbe costare fino a 15,3 miliardi l’anno e l’innalzamento del livello del mare fino a 5,7.

Si prospetta uno scenario di innalzamento della temperatura fino a 5° in più entro il 2100 che porterebbe con sé un conseguente aumento del numero dei giorni caldi e una diminuzione della frequenza delle precipitazioni durante il corso di un anno, ma che aumenterebbero di intensità generando possibili alluvioni, fenomeni che già da qualche anno stanno creano problemi a molte città italiane.

Uno scenario del genere impatterebbe anche sulle risorse idriche soprattutto durante le stagioni più calde in cui la domanda di acqua aumenta esponenzialmente. Tuttavia non è solo un tema di riduzione della disponibilità dell’acqua, ma anche della capacità di gestione della stessa: come si evince dal rapporto uno dei motivi principali dello spreco di risorse idriche è rappresentato dalle perdite d’acqua in agricoltura.

E il digitale?

L’impiego delle tecnologie digitali quali l’intelligenza artificiale e gli open data potrebbe aiutare, ad esempio, a prevedere la domanda d’acqua in ciascun settore (sia questo civile, industriale o agricolo) aiutando a ridurre gli sprechi e a garantire la disponibilità idrica ottimizzando tutto il processo.

Un esempio calzante è quello dell’Anthosart Green Tool della Società Botanica Italiana con il contributo di ENEA, ossia uno strumento che si basa sugli open data per sostenere il mantenimento e la diffusione di piante e aree verdi ottimizzando i consumi d’acqua (190 milioni di euro all’anno) e gli altri costi legati a tali attività. Si tratta di un database contenente contenente informazioni su più di 7.000 specie della flora italiana utili sia per i cittadini che per chi progetta infrastrutture.

A subire gli effetti più dannosi del cambiamento climatico sarebbero i centri urbani, ossia quelle aree geografiche maggiormente vulnerabili a causa dell’elevata presenza di asfalto e cemento (superfici impermeabili), di smog prodotto da auto e camion e in cui vi risiede il 56% della popolazione. In queste zone l’aumento di temperatura previsto entro il 2100 potrebbe addirittura toccare i 10° mettendo a rischio non solo la salute, ma anche la sicurezza degli abitanti. Cercare di trasformare le città in smart city è un processo che coinvolgerebbe anche la gestione del cambiamento climatico, lì dove il digitale si rivela strategico nel contrastarlo trasformando la mobilità, il riciclaggio e lo smaltimento rifiuti, l’utilizzo degli spazi verdi, l’architettura e la costruzione di nuove infrastrutture ma più in generale l’urbanizzazione.

Ad esempio attraverso la promozione dei servizi di sharing mobility è possibile ridurre le emissioni di CO2 derivanti dagli spostamenti, preferendo i mezzi di trasporto elettrici a quelli a diesel e benzina e su questo punto Milano è la prima città in Italia. Oppure l’installazione di sistemi di sensoristica e IoT è utile per raccogliere dati sulla qualità dell’aria e dell’acqua per poi renderli disponibili a tutti come per esempio fa Acea acqua a Roma o il comune di Torino con i valori giornalieri sulla qualità dell’aria.

Da un lato la valutazione sistematica dei rischi deve essere parte fondamentale del processo decisionale e strategico da parte dei Governi, delle Amministrazioni e delle imprese, dall’altro aiuta a prendere coscienza di una problematica la cui risoluzione (sarebbe più corretto dire mitigazione) dipende in buona parte dalle scelte quotidiane dei cittadini. Ma i due lati non sono separati: i cittadini devono essere messi nelle condizioni di poter adottare scelte sostenibili e in questo senso le tecnologie digitali sono un potente abilitatore.

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