Il potere dell’inconscio

Noi tutti ci reggiamo su un esteso sistema inconscio, che continua ad esercitare il suo potere, senza che ce ne rendiamo conto, anche nel digitale

Tenere in mano una tazza di caffè caldo o freddo può influenzare inconsciamente il nostro giudizio su una persona? Per quanto possa sembrare strano, sì. Coloro che hanno tenuto in mano per pochi secondi una tazza di caffè caldo sono indotti a valutare con più simpatia e calore una persona rispetto a quelli che hanno avuto in mano una tazza di caffè freddo, nonostante la descrizione della persona presentata con un testo scritto agli uni e agli altri fosse assolutamente identica. L’ha dimostrato un geniale psicologo sociale sperimentale, John Bargh, fondandosi a sua volta sugli studi di Bowlby secondo il quale “il fatto di essere tenuti stretti dalle persone di cui ci fidiamo di più al mondo, ci spinge ad associare il loro calore fisico al “calore sociale” della fiducia e dell’affetto“ (A tua insaputa, John Bargh, pag. 218)

Non si tratta solo di dettagli curiosi o buffi, delle eccezioni inconsce che, per cosi dire, confermerebbero la regola della nostra razionalità ma al contrario di un esteso sistema inconscio sul quale noi ci reggiamo senza rendercene conto. Secondo la celebre metafora freudiana la nostra psiche è una sorta di iceberg la cui vasta parte sommersa è costituita dall’inconscio mentre il conscio rappresenta solo la cima. Le intuizioni di Freud sono state ripetutamente confermate dalla psicologia sperimentale e dalle neuroscienze ma, poiché la cosa continua a ferire il nostro orgoglio, invero piuttosto suscettibile, continuiamo a far orecchi da mercante all‘inconscio e a catalogarlo tra la chincaglieria freudiana. Quanto siano razionali i nostri processi decisionali lo dimostrano le vicende della pandemia, in cui se è vero che la scienza, orgoglio della nostra razionalità, ci ha offerto la soluzione, è almeno altrettanto vero che le nostre angosce, incertezze e i nostri impulsi aggressivi nei confronti dei nostri simili, (non solo dell’Africa ma anche solo della Lombardia o della Puglia) hanno fatto di tutto per complicarla e ritardarla. Non solo, come già affermava Freud nel suo saggio L’interpretazione dei sogni (1900) “Le attività intellettuali più complesse sono possibili senza la partecipazione della coscienza”. Il ché non vuol dire, come spesso saremmo portati a pensare di fronte a incomprensibili e incoerenti leggi, disposizioni, norme, che l’attività intellettuale è talvolta fatta “senza testa“ ma letteralmente che l’attività intellettuale inconscia è possibile e i suoi risultati sono addirittura migliori di quella conscia. Impossibile? Ebbene, ricercatori olandesi hanno verificato la teoria del pensiero inconscio (Unconscious Thought Theory o UTT), l’hanno estesa alla sfera del giudizio e sono giunti a dimostrare che “i risultati dei processi decisionali inconsci sono spesso superiori a quelli dei giudizi formulati a livello conscio” (Bargh, cit. pag 515) Come racconta appunto Barghai partecipanti sono state fornite le informazioni necessarie (consumo, prezzo, affidabilità, comodità) per stabilire quale fosse l’auto migliore da acquistare o l’appartamento migliore da prendere in affitto, poi ad alcuni di loro è stato chiesto di riflettere prima di prendere la decisione, altri invece sono stati impegnati in un compito mentale che assorbiva tutto la loro attenzione (ad esempio contare all’indietro il più velocemente possibile sottraendo ogni volta sette). I soggetti posti nella condizione di pensiero inconsapevole hanno fatto scelte migliori rispetto a quelli nella condizione di pensiero consapevole. L‘effetto è stato replicato in numerosi studi simili giungendo alla conclusione che “le decisioni in consapevoli in genere sono migliori nel caso di un giudizio complesso”  mentre “i processi coscienti sono superiori a quelli inconsci se c’è da attenersi a una sola regola” (cit. 519-520). Le neuroscienze hanno aiutato a capire come ciò sia possibile. Sottoponendo a risonanza magnetica nucleare (MRI) i partecipanti nel corso dell’esperimento (sia durante la lettura dei dati di auto e appartamenti sia successivamente durante l’intervallo di pensiero inconscio) si è scoperto che l’area cerebrale (corteccia pre-frontale dorso laterale destra e corteccia visiva intermedia sinistra) attivata durante la lettura e l’apprendimento dei dati rimaneva attiva anche quando le persone venivano distratte dal compito (facendo sottrazioni veloci) e pensavano inconsciamente, il ché si traduceva in una migliore scelta. 

Ma cosa avviene dell’inconscio nel digitale? Sappiamo che “la trasformazione digitale agisce sul senso delle cose, sulla percezione di valore da parte delle persone, sulle catene del valore di intere industrie. Non è un semplice cambiamento del modo in cui fare le cose, ridefinisce piuttosto cosa abbia senso fare e cosa, in un mutato scenario di contesto, non ha più senso” (Stefano Epifani, Sostenibilità digitale, pag 45-46). Anche nel digitale però l’inconscio continua ad esercitare il suo potere senza che ce ne rendiamo conto. Risale all’ormai lontano 2014 l’eticamente controverso ma scientificamente corretto studio pubblicato sulla rivista PNAS che dimostrava per la prima volta il fenomeno del contagio emotivo di massa via social networks, il fatto cioè che “gli stati emotivi possono essere trasmessi agli altri [utenti di social networks] tramite contagio emotivo inducendo le persone a provare le stesse emozioni senza averne consapevolezza“ e senza bisogno di contatto personale. Il contagio emotivo sociale offline e online è di fondamentale importanza non solo e non tanto per comportamenti da stadio (ola etc) ma soprattutto per complessi fenomeni di adattamento, aggregazione e omologazione di massa dalle conseguenze spesso drammatiche. 

Quell’esperimento fatto da Facebook alle nostre spalle inviandoci maggiori o minori percentuali di Feeds negativi o positivi continua a rimanere, oltre che uno studio che ha fatto epoca, un monito etico. Dimostra da un lato come da sempre! sia relativamente facile utilizzare e abusare della tecnologia più innovativa a disposizione (la scrittura, la stampa, i mass media, ora i social media) per manipolarci e dall’altro quanto sia forte il nostro bisogno di lasciarci manipolare pur di liberarci “dal grave fastidio e dal terribile tormento odierno di dovere personalmente e liberamente decidere” (F. M. Dostoevskij, I fratelli Karamazov). 

È la “Fuga dalla libertà” di cui scriveva Erich Fromm per cercare di dar conto dell’ “inspiegabile” tendenza all’omologazione che ha permesso le dittature del 20 secolo coprendone a lungo i crimini.

“Powerful tendencies arise to escape from this kind of freedom into submission or some kind of relationship to man and the world which promises relief from uncertainty, even if it deprives the individual of his freedom.” (Erich Fromm, Escape from Freedom). Quello stesso pericolo di fuga dalla libertà si ripropone sempre, anche se sotto mutate spoglie, e non per colpa della tecnologia “cattiva” ma del nostro inconscio, che ci lusinga con possibilità di sopravvivenza da “automi”.

Ecco perché ora più che mai nella nostra complessa realtà onlife è importante guardare sotto la scintillante apparenza di un’abbagliante razionalità. Anche un caffè ci può aiutare a scoprire cosa vi si nasconde dietro. Non è un’apologia dell’irrazionalismo, al contrario un invito a riscrivere insieme, con sguardo attento, partecipe e solidale, una nuova ed aggiornata psicopatologia della vita quotidiana digitale sostenibile.

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