La Sostenibilità Digitale passa (anche) dall’open source: intervista a Osvaldo Gervasi

Osvaldo Gervasi, Vicedirettore del Dipartimento di Matematica e Informatica all’Università di Perugia, è il nuovo ospite della rubrica University 4 Digital Sustainability

Nel nuovo appuntamento con University 4 Digital Sustainability, approfondiamo il mondo dell’open source. Un tema certamente non nuovo, ma forse ancora poco conosciuto, della cui importanza abbiamo parlato con Osvaldo Gervasi, esperto della materia e promotore del digitale e di una cultura aperta e collaborativa: Vicedirettore del Dipartimento di Matematica e Informatica all’Università di Perugia, è stato dal 2007 al 2013 Presidente del Centro Competenza Open Source della regione Umbria, dal 2016 al 2017 membro del Board of Directors di The Document Foundation (TDF) – la Fondazione che rilascia LibreOffice – e nei due anni successivi Deputy Director.

Gli effetti della pandemia

Il tema della sostenibilità in generale, e quello della Sostenibilità Digitale in particolare, sono oggi entrati nella cultura, nel modo di pensare e di agire di molte persone, dai colleghi universitari fino agli studenti. Apre così la sua intervista Osvaldo Gervasi, spiegando che se nelle università – e non solo – la sensibilità verso questi argomenti è notevolmente aumentata, molto dipende da ciò che abbiamo dovuto affrontare negli ultimi anni, a partire dalla pandemia: un evento drammatico nei suoi effetti, ma che, per il riconoscimento del reale valore della tecnologia, ha rappresentato un impulso fondamentale. “Credo che questo evento traumatico abbia aiutato a comprendere quale sia l’impatto che le tecnologie hanno sulla sostenibilità, intesa in senso generale: innanzitutto, perché ha mostrato la fattibilità di certe soluzioni, che erano ben note già da prima ma che non si pensava di renderle parte integrante della nostra vita, del nostro quotidiano.

Una di queste, ovviamente, è la possibilità di lavorare a distanza. Il non essere necessariamente costretti a stare nella sede di lavoro ogni giorno e per l’intero orario lavorativo, e poter quindi lavorare in altri luoghi e organizzare meglio la propria vita alla luce di queste innovazioni, è un’enorme opportunità. Questo è solo un esempio che rende evidente quanto le tecnologie digitali abbiano già apportato dei cambiamenti a livello sociale, e lo faranno sempre di più. Poi, è ovvio: non tutti, purtroppo, possono beneficiare di queste nuove modalità lavorative. E in questo senso noi che operiamo nel mondo digitale, tanto in ambito accademico quanto in quello commerciale, siamo sicuramente avvantaggiati”.

Anche per questo tipo di benefici Gervasi sottolinea con forza l’importanza delle discipline STEM, e del loro studio in un momento storico in cui il digitale è sempre più pervasivo nella nostra società. E lo fa collegandosi a un tema di fondamentale importanza, già portato all’attenzione anche da Tiziana Catarci nella sua intervista per questa rubrica: quello del gap di genere esistente in questo ambito. “Recentemente sono rimasto davvero sorpreso nello scoprire che molti dei miei studenti sono stati assunti da compagnie che non hanno una sede fisica, e questo credo sia estremamente significativo”, continua, “Ecco, credo che la possibilità di lavorare in questo modo abbia un impatto altissimo per il coinvolgimento femminile. Pensando ad esempio all’ambiente familiare, sebbene, ovviamente, non sia la donna a doversi far carico da sola della casa e dei bambini, in una coppia con figli diventa molto più comodo gestire la vita in questo modo. Tuttavia, c’è un grande problema: io faccio parte di un dipartimento di matematica e informatica, e la parte informatica è ancora molto poco rappresentata dalla componente femminile. Per questo motivo, con la nostra università, abbiamo partecipato a molte iniziative proprio per aumentare la consapevolezza dell’importanza delle discipline STEM nel mondo femminile”.

L’importanza della cultura digitale: dall’open source alla libertà in rete

La tecnologia ha dunque già cominciato a generare degli importanti cambiamenti nella società, ed è per questo che è importante, per tutti, approfondire e studiare ciò che di nuovo ha da offrire.  Un percorso, questo, che dovrebbe essere facilitato dalle università, che secondo Osvaldo Gervasi hanno il compito di formare le persone su delle tematiche che sono centrali per diverse motivazioni: in primo luogo perché non possono essere ignorate in un “nuovo” mondo sempre più digitale e, in secondo luogo, perché oggi queste sono strategiche per ritagliarsi maggiori opportunità professionali. “L’obiettivo verso il quale le università dovrebbero insistere molto è quello di formare ragazzi e ragazze su tematiche come realtà virtuale, realtà aumentata, machine learning, cybersecurity e via dicendo, che sono oggi molto calde oltre che, in termini di competenze, estremamente richieste dalle imprese.

C’è poi un altro tema che mi sta molto a cuore, che fa parte della mia vita professionale e personale, e che cerco di trasferire ai miei studenti: quello dell’open source. Credo sia vitale che i giovani non si affidino ciecamente soltanto ai grandi player che oggi osserviamo a livello mondiale, sebbene siano rilevanti ed è importante sapersi rapportare con essi, e che abbiano chiaro il concetto di libertà, che è insito in quello di open source. Quando inizio i miei corsi chiedo sempre chi conosce LibreOffice, e vedo solo poche mani alzate. Ecco, questo credo sia indice della scarsa maturità digitale dei nostri giovani: il non sapere dell’esistenza di strumenti che sono lì, sulla rete, pronti per essere scaricati, installati e usati senza alcun costo, perché la loro attenzione ricade spesso soltanto sulle grandi aziende che investono molto nella pubblicità. Ritengo quindi che sia necessario diffondere questa cultura aperta, per far sì che vengano usate delle soluzioni che hanno un valore per sé, e non perché legate ad uno specifico marchio.

Un altro concetto fondamentale su cui poi le persone sono poco ferrate, o rispetto al quale non sembrano avere un grande interesse, è quello della libertà in rete: una delle grandi battaglie che vengono combattute un po’ sottotraccia ma nella quale non c’è da arrendersi. Ci tengo che i giovani, gli studenti e le studentesse, abbiano chiari questi concetti, perché è dalla loro sensibilità verso di essi che passa un futuro libero e accessibile per tutti”.

Investire con consapevolezza

Insomma, occorre ampliare la propria cultura su argomenti oggi imprescindibili per vivere, con consapevolezza, in un mondo cambiato dalla trasformazione digitale. Allo stesso tempo, però, è anche fondamentale investire – sia nel pubblico che nel privato – con maggiore convinzione nell’innovazione digitale: perché è da questo campo e dalle soluzioni che offre che oggi passa sempre più la sostenibilità del nostro futuro, così come la competitività del nostro Paese. “Dal punto di vista della sostenibilità ambientale, lo abbiamo detto: la possibilità oggi di limitare, attraverso l’uso delle tecnologie digitali, gli spostamenti dei lavoratori all’essenziale, offre benefici oltre che per la qualità della vita e per il portafogli a fine settimana, anche in termini di minore produzione di CO2, e questo è molto importante”, spiega Osvaldo Gervasi. “Ma pensiamo anche a quanto la tecnologia sia abilitante per concetti come l’economia circolare, oppure ancora per un tema anch’esso molto interessante come quello del carsharing: soprattutto nelle zone del Paese dove i trasporti sono meno efficienti questa è una soluzione molto importante, ma che senza app o strumenti informatici non potrebbe essere così fruibile e popolare tra gli utenti. Il digitale può quindi aiutare moltissimo, soprattutto se c’è una volontà politica alla base nell’investire in queste modalità, in queste tecnologie, e renderle più fruibili nella vita quotidiana.

Un altro tema importante è quello della digitalizzazione del patrimonio culturale del Paese. Se ne continua a parlare da anni, ma non credo ci sia una vera volontà, né a livello pubblico né a livello privato, di investire in questa direzione, e questo ha un impatto fortissimo sulla competitività del settore. Ci sarebbe molto da fare, ma vediamo ancora che stentano a diffondersi tecnologie come ad esempio la realtà aumentata, che consentirebbe ai visitatori di fruire di contenuti digitali in grado di dare ulteriore valore alle meraviglie che stanno visitando. Inoltre, se ci fosse un uso più massiccio della digitalizzazione, una persona che pianifica una visita in Italia potrebbe accedere ad informazioni digitali sulla base delle quali costruire il proprio itinerario in base ai propri interessi, curiosità o affinità culturali, ricavando un percorso ottimale.

Per fare questo serve però investire, e investire tanto, e far sì che questo materiale digitale prodotto sia altamente affidabile: ovvero servizi internet che non si fermino mai, e che siano in grado di reggere un carico variabile. E poi bisogna ovviamente curare anche gli aspetti della sicurezza, perché se consolidiamo questo percorso occorre farlo garantendo una corretta gestione dei dati personal. Tutto ciò, dunque, deve essere disegnato in modo tale che questi servizi siano affidabili e sicuri”.

In questo senso, però, sottolinea ancora Osvaldo Gervasi, anche nell’implementazione di questi servizi serve uno sguardo più consapevole. L’adozione di qualsiasi nuova soluzione deve essere infatti ben ponderata, ed è qui che ritorna il potenziale valore dell’open source. “Qual è la differenza tra l’adottare una soluzione ‘chiavi in mano’ di una multinazionale e una open source, ad esempio per una pubblica amministrazione? Nel primo caso, si paga semplicemente il fornitore del servizio, e quei soldi non rimangono però nel nostro Paese. Nel secondo caso, essendo questa soluzione più difficile da implementare per una PA, si rende necessario un consulente. È questa la differenza: in questo caso, invece che la  multinazionale, si paga il consulente, il denaro rimane nel Paese e si da’ lavoro a persone che saranno in grado di ritagliare perfettamente quel software alle esigenze di quella pubblica amministrazione. E questo è fondamentale, perché è un tipo di economia più sostenibile e più vicina alle esigenze del Paese e delle nostre organizzazioni. Insomma, serve una coscienza critica: non ci si deve affidare a prescindere a ciò che viene offerto dai grandi player, ma valutare ogni soluzione e rapportarle, sempre, a quelle open source”.

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