Per costruire il “palazzo” della sostenibilità bisogna partire dalle fondamenta: intervista ad Alessandro Russo

Alessandro Russo, presidente e amministratore delegato di Gruppo CAP, ci spiega come quello della sostenibilità sia un processo che non può prescindere da un lungo lavoro preparatorio, e in che modo le tecnologie possano rappresentare uno strumento decisivo per questo cambiamento

Alessandro Russo, presidente e amministratore delegato di Gruppo CAP, è il nuovo ospite di Sustainability Talk. Laureato in Scienze Politiche alla Statale di Milano, ha sviluppato il proprio percorso professionale in ambito pubblico: appassionato di strategie aziendali collegate alla sostenibilità, alla gestione di imprese pubbliche e alla valorizzazione delle persone che vi lavorano, è un forte sostenitore dei principi dell’economia circolare e della possibilità di creare un mondo più sostenibile.

Costruire il “palazzo” della sostenibilità

A rimarcare una visione sempre più diffusa, secondo quanto emerso nei diversi appuntamenti di Sustainability Talk, la consapevolezza dell’importanza del ruolo della sostenibilità sembra, soprattutto in questi ultimi anni, aver avuto una decisa accelerazione. Ma, come ci ha recentemente spiegato anche Luciano Guglielmi, anche secondo Alessandro Russo questa consapevolezza non è ancora accompagnata da una conoscenza approfondita del tema, e questo fa sì che il focus e il livello d’attenzione rimanga ancora strettamente legato al contesto in cui le aziende operano quotidianamente.

La percezione dell’importanza della sostenibilità è sicuramente cresciuta moltissimo, basti pensare al fatto che in questi ultimi anni, nelle aziende, sono nate aree dedicate che non esistevano fino a qualche anno fa. Nonostante ciò, credo che questa percezione sia ancora molto legata alla dimensione ambientale, a maggior ragione per quelle aziende che hanno attività che impattano sull’ecosistema. E questo perché la dimensione ambientale della sostenibilità è quella che consente, dal punto di vista della circoscrivibilità e della misurabilità di azioni e impatti, analisi più chiare. Mi spiego meglio: per un manager magari non esperto in materia, sapere che può misurare le compensazioni ambientali con dati che dicono, ad esempio, ‘-10% di COall’anno’, e che può stabilire gli obiettivi in tal senso, è di grande aiuto per focalizzarsi sul tema. Viceversa, se penso agli aspetti economici e sociali, gli indicatori per costruire il valore condiviso sono ancora molto complessi, e questo porta spesso a non riuscire a porre la corretta attenzione su questi temi”.

E questa conoscenza poco approfondita, per il presidente di Gruppo CAP, porta con sé il fatto che la sostenibilità venga ancora letta rispetto alla proiezione che l’azienda dà di sé stessa all’esterno, piuttosto che rispetto alle politiche che vengono costruite all’interno. In realtà, però, è proprio dall’interno che deve partire il reale cambiamento. “Credo che la sostenibilità, per le aziende, si possa paragonare alla costruzione di un palazzo. Quando si costruisce un palazzo, infatti, all’inizio c’è una lunga fase dedicata all’analisi di una serie di aspetti e alle carte, che può sembrare solo tempo perso: allo stesso modo, le aziende che a livello di governance si occupano di sostenibilità, come prima cosa raccolgono dati, informazioni. A quel punto, quando si inizia a scavare, nonostante da fuori nessuno veda nulla, in realtà si stanno già cambiando una serie di cose in maniera profonda. Poi, quando in poco tempo si tira su il palazzo, qualcuno potrebbe rimanere stupito. In realtà, però, tirarlo su è molto facile una volta costruite le fondamenta. La sfida più delicata, infine, è quella dell’arredamento, per rendere il luogo ‘vivibile’. Purtroppo, quello che si vede spesso è la voglia di tirare su il palazzo rapidamente e mostrare i successi, ma questa non è la strada giusta: per cambiare radicalmente, infatti, è necessario un lungo lavoro preparatorio, e chi oggi ha tirato su un palazzo che funziona è perché ha lavorato bene negli anni. E pochi, i migliori, stanno già cominciando ad arredare”.

Tra riduzione dello spreco e cultura del dato

Per abilitare un cambiamento così profondo e radicale, per riorganizzare i processi interni all’azienda in un’ottica più sostenibile, e anzi, per ripensare l’approccio stesso nei confronti della sostenibilità, per Alessandro Russo non si può non considerare il sostegno offerto dalle tecnologie. “Quello che capita spesso, soprattutto per le nuove generazioni, è vivere le tematiche della sostenibilità in una logica difensiva. Non peggiorare lo stato dell’ambiente già compromesso, difendere il livello economico e sociale costruito negli anni, e così via. L’unico strumento che può oggi permetterci di approcciarci in maniera diversa al tema è proprio la tecnologia digitale, che è l’alleato che abbiamo e che le generazioni precedenti non avevano. E questa deve sicuramente essere sfruttata come una importante leva di evoluzione e utilizzata in una chiave di sostenibilità”.

Efficienza, riutilizzo e riduzione dello spreco sono solo alcune delle potenzialità delle tecnologie in questo senso, perché “laddove si riesce a ottimizzare l’utilizzo delle risorse, si fa del bene all’ambiente. Penso che la piramide rovesciata con le sue 5R (Riduzione, Riuso, Riciclo, Raccolta, Recupero) sia il perfetto esempio di come attraverso la tecnologia si possa cogliere e abilitare il vero succo della sostenibilità ambientale, ovvero consumare meno, consumare meglio e recuperare il recuperabile. Ma per andare incontro a nuovi modelli economici più sostenibili, proprio come l’economia circolare, è necessario ripensare le modalità di produzione, a partire dagli impianti. Come dico sempre, infatti, economia circolare fa rima con impianti da ripensare, da rifondare: non si può pensare di costruire nuovi modelli produttivi utilizzando dei paradigmi del passato, e in questo la tecnologia ha un potenziale trasformativo fondamentale”.

Una trasformazione radicale dei processi e del modo di lavorare abilitata dalla tecnologia che impatta poi enormemente anche sulla dimensione sociale, a partire dal modo in cui questa “può sostituirsi all’uomo in alcune attività nelle quali quest’ultimo non riesce a mettere un valore aggiunto, o se lo mette fa uno sforzo fisico e mentale tale da comportare un danno a sé stesso”. Ma non solo all’interno dell’azienda. Infatti, l’impatto verso l’esterno è altrettanto importante e interessante, e coincide molto con la cultura del dato e le possibilità che la sua raccolta e gestione possono abilitare. “Il dato permette di avere informazioni complesse rispetto ad aspetti di carattere sociale esterni al mondo delle imprese. In questo periodo sta prendendo piede l’idea del dato personalizzato, che possa andare in soccorso delle persone, e nella nostra azienda stiamo cercando di metterla in pratica. L’idea è infatti quella di creare dei piani di pagamento personalizzati per le persone in difficoltà, per capire che, ad esempio, se una persona non paga la bolletta dell’acqua è perché magari ha perso il lavoro. In questo modo riescono a costruire dei modelli fiduciari tra l’azienda e il cittadino consumatore, e per farlo è importante avere una conoscenza del dato molto forte e strutturata. Ecco, questo è un esempio pratico che spiega bene quali possano essere i veri vantaggi della gestione della tecnologia orientata al sociale”.

L’importanza delle sinergie

Nel nostro paese però, secondo il presidente di Gruppo CAP, il passaggio verso una piena attuazione della sostenibilità digitale non è e non sarà immediato, e richiede un cambio di mentalità e la messa in campo di azioni volte a comprenderne e raccoglierne tutti i benefici. “A oggi, per caratteristiche, la sostenibilità digitale si appoggia su una filiera di sviluppo che vive molto di economie di scala, mentre il nostro sistema produttivo si fonda più su approcci di rete o relazionali; questo comporta un oggettivo svantaggio del nostro Paese rispetto ad altri sistemi economici. Per questo, le istituzioni dovranno sicuramente trovare il meccanismo per favorire processi che vadano nella direzione di approcciarsi, almeno in questa fase, alle economie di scala, supportando la ricerca e sviluppo. Stiamo ragionando molto in questi anni sul ruolo dello Stato: mi sembra evidente agli occhi di tutti che dopo una fase di privatizzazioni, negli ultimi anni si sia iniziato a parlare di una ripresa dello Stato nell’economia. Quindi, se qualcuno dovesse chiedermi in che settore economico strategico le istituzioni dovrebbero investire, direi proprio sul digitale.

Lato imprese, invece, credo che sia necessario un po’ più di coraggio e voglia di affrontare sfide sistemiche, non singolarmente ma in maniera solidale, di squadra. In questa direzione, grazie alle tecnologie, ci sono nuove e molteplici possibilità di creare valore. Faccio un esempio: prima, nel rapporto con i fornitori, poteva venirsi a creare un’asimmetria dell’informazione sul modo in cui un determinato prodotto veniva realizzato, volta a trarre maggiori profitti sulla sua vendita. Poi è arrivata la standardizzazione, e questo non è stato più così facile. Quindi, in che modo si può creare valore oggi? Invertendo il meccanismo e facendo della condivisione e dell’abbattimento delle asimmetrie un valore. Un valore attraverso il quale rendere più sostenibili i processi aziendali. Ad esempio, attraverso la creazione di processi condivisi con i fornitori, in modo che questi possano vedere in tempo reale l’andamento della produzione, essere allineati sui processi, ottimizzarli. Ecco, io penso che questo secondo approccio sia quello vincente, con la consapevolezza che si possa creare un importante valore aggiunto attraverso la sinergia”. Una sinergia che, fortemente abilitata dal digitale, rende questo salto – sicuramente non semplice per le imprese – meno difficile da realizzare.

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