Marco Bellezza, Amministratore Delegato di Infratel Italia, è il nostro nuovo ospite nella rubrica Sustainability Talk. Avvocato, dottore di ricerca in diritto privato e nuove tecnologie, già coordinatore della presidenza italiana della European Blockchain Partnership, è stato consigliere giuridico del Vice Presidente del Consiglio Ministro Luigi Di Maio e del Ministro dello Sviluppo Economico Stefano Patuanelli.
Per la sostenibilità serve un cambiamento culturale
“Ad essere sinceri, la percezione che ho è che la sostenibilità sia un tema che va molto di moda, e che quindi ci sia da parte del management una rincorsa a trovare le giuste ragioni per poter sostenere che la propria azienda è sostenibile”. Apre così la sua intervista Marco Bellezza, evidenziando, come già fatto da Furio Garbagnati, che forse per il fatto stesso che la sostenibilità sia diventato un tema così discusso, e che la sensibilità rispetto ad essa da parte degli individui sia nettamente aumentata, resta difficile capire quanto dell’interesse mostrato rimanga in una dimensione “di facciata” e quanto, invece, impatti realmente sui modelli di business aziendali.
Ma quale che sia la natura e gli obiettivi delle azioni messe in campo, vuol dire che qualcosa comunque sta cambiando. “In ogni caso, anche se ci trovassimo di fronte ad un comportamento opportunistico, sempre meglio di niente, perché mettere insieme una serie di pratiche che conducono a perseguire obiettivi di sostenibilità può essere già considerato un passo avanti rispetto ad una completa insensibilità rispetto al tema. D’altra parte, però, l’approccio migliore sarebbe quello di valutare qualsiasi progettualità sulla base di obiettivi di sostenibilità conseguibili. È questo il cambiamento culturale che manca: quello di partire dalla base della definizione delle scelte, sulla base degli strumenti di sostenibilità”.
Sul digitale serve un aumento delle competenze
Un cambiamento culturale che, perché possa compiersi, deve partire dalla comprensione di quali siano gli strumenti in grado di abilitare processi e pratiche sostenibili, non solo per le aziende, ma per l’intera collettività. E, in particolare, per comprendere perché il digitale, in funzione di questo obiettivo, possa essere uno strumento fondamentale.
“Sulla percezione rispetto l’importanza del digitale credo che la pandemia abbia inciso in maniera molto importante ma, onestamente, credo sia ancora un po’ troppo parlare di competenze digitali in tema di sostenibilità. Sarebbe già una cosa buona sviluppare competenze digitali di base, a tutti i livelli e per tutte le fasce di popolazione – spiega Marco Bellezza – Sotto questo aspetto, bisogna anche tenere conto del fatto che non includere in questo percorso le persone più anziane significherebbe tenere fuori un 40% della nostra popolazione. Questo è un grosso problema, e lo stiamo riscontrando, ad esempio, sui voucher per la connettività: come ogni cosa legata al digitale, l’unica fascia sulla quale questo strumento funziona è quella dai 35 ai 49 anni. L’obiettivo, quindi, deve essere quello di trovare strumenti che permettano, a tutti coloro che vengono prima di questa fascia, di sviluppare competenze per evitare che possano fare un uso sbagliato della rete e degli strumenti digitali e, allo stesso tempo, per insegnare a quelli che vengono dopo come utilizzare questi stessi strumenti”.
Per affrontare un tema di questa importanza, secondo Marco Bellezza non basta soltanto investire nelle infrastrutture: è necessario, infatti, anche un intervento importante e strutturato che possa orientare il processo di acquisizione di consapevolezza e competenza sugli strumenti digitali ad un livello più generalizzato di quello attuale. “Quello del digital first è un tema sempre centrale. A mio parere, per colmare questo gap, bisogna cominciare a progettare ed erogare servizi, anche di pubblica utilità, che siano integralmente digitali, dei quali chi non si adegua ai nuovi strumenti non possa usufruire. Ma perché questo possa essere fatto, torno a quanto detto prima: bisogna porre le condizioni affinché tutti possano accedervi, e soprattutto perché possano acquisire consapevolezza rispetto al loro utilizzo. Una delle principali iniziative che metteremo in pratica, ad esempio, sarà proprio quella di mettere dei consulenti a disposizione delle amministrazioni comunali dei piccoli borghi nei quali Open Fiber porta le infrastrutture, per spiegare loro, attraverso dei percorsi di accompagnamento, in che modo valorizzare i borghi, rendendoli anche interessanti in chiave turistica, a partire proprio dall’utilizzo dell’infrastruttura”.
Tra smart working e mobilità sostenibile
L’acquisizione delle competenze è quindi il primo – e fondamentale – passo affinché il digitale possa rappresentare effettivamente, e non solo potenzialmente, uno strumento fondamentale in funzione della sostenibilità. Basti pensare allo smart working che, “nonostante per alcuni sia un’ottima soluzione e per altri meno, rende bene l’idea di come la tecnologia permetta di abilitare nuovi modelli di organizzazione del lavoro che tengano conto di importantissimi fattori sociali. Per fare un esempio, l’80% dei dipendenti di Infratel sono del Sud e, attraverso lo smart working, abbiamo dato loro la possibilità di potersi trasferire in Sicilia o in Calabria, continuando a lavorare da lì. In questo modo, da una parte evitiamo i loro spostamenti casa-ufficio, generalmente con mezzi propri, e dall’altra gli garantiamo una migliore prospettiva di vita, socialmente più accettabile.
Non solo. Una delle nostre attività principali è quella di effettuare il collaudo dei cantieri di Open Fiber. Gestiamo oltre 4000 cantieri in tutta Italia, e questo comporta, in piena pandemia, l’esporre i dipendenti e collaboratori al rischio di essere contagiati. Per questo abbiamo implementato, proprio in questo periodo, una modalità di collaudo da remoto: chiediamo agli operai che sono sul cantiere, attraverso un visore, di farci vedere quello che hanno fatto e di effettuare una serie di misure ottiche che ci servono per verificare la rete. Così facendo, evitiamo che le persone si spostino, che possano essere contagiate, e in un giorno riusciamo anche a fare molti più collaudi rispetto a prima. In tal modo, attraverso la tecnologia, la sostenibilità diventa un valore in grado – anche – di farci risparmiare costi e migliorare le performance. Penso sia questo il modo migliore per lavorare su questi temi”.
E se il digitale, da una parte, offre tutti gli strumenti in grado di migliorare le condizioni di vita delle persone, dall’altro mette anche nelle loro mani quelli utili a mettere in pratica dei comportamenti più responsabili. Un esempio, in questo senso, è il modo in cui le tecnologie abilitano un modo diverso di pensare e di rapportarsi con gli spazi urbani, in un’ottica più sostenibile. “Quelli legati alla mobilità sono sicuramente dei modelli di successo sull’utilizzo della tecnologia in favore della sostenibilità. Ormai la proprietà dei beni, come ad esempio di un’automobile, è qualcosa di superato, oggi servono le funzioni che gli oggetti offrono. Ad esempio, mi serve arrivare da casa all’ufficio ogni mattina alle 8, e dall’ufficio a casa ogni sera alle 19. Se questo bisogno lo soddisfo con la mia macchina di proprietà, faccio una scelta non sostenibile dal punto di vista ambientale. Se invece lo soddisfo attraverso strumenti non proprietari, dal monopattino all’automobile allo scooter elettrico, e il digitale mi consente di trovare questi stessi strumenti come dei servizi, faccio una scelta sostenibile. È questa la direzione verso la quale dovremmo andare, e verso la quale credo che stiamo andando”.
Incentivare le buone pratiche
L’innovazione digitale avanza, soprattutto nel contesto attuale, e moltiplica quindi le possibilità a disposizione degli individui nell’utilizzare i nuovi strumenti e fare, loro stessi, la differenza. Ma perché tutti possano dare il proprio contributo, secondo Marco Bellezza sarebbe utile, sulla stessa linea di pensiero di Costanza Esclapon de Villeneuve, incentivare le buone pratiche. “Negli ultimi anni vedo diverse iniziative, soprattutto da parte di startup, per stimolare comportamenti responsabili attraverso la tecnologia, e alcune di queste funzionano anche piuttosto bene. Secondo me bisognerebbe studiare questi modelli, per capire se possano essere utili ad incentivare comportamenti virtuosi – spiega l’amministratore delegato di Infratel – Ma secondo me lo strumento migliore per promuovere questi comportamenti, è quello di introdurre sistemi di incentivazione fiscale per adozioni di scelte sostenibili. Questo perché anche per la sostenibilità, come per il digitale, il tema delle competenze è centrale. Sul digitale penso che l’obiettivo sia stato mancato, perché ci troviamo con sistemi ormai molto sviluppati e reti in via di completamento, ma siamo ancora a zero sul tema delle competenze. Lo stesso non deve accadere per la sostenibilità: per questo credo che si dovrebbe lavorare di più sulla logica degli incentivi, e perché possano realmente incentivare comportamenti virtuosi devono essere finanziariamente ‘appetibili’”.
Facebook Comments