Quella della congestione stradale causata dal traffico rappresenta un’importante causa delle emissioni di CO2 nell’aria, nonché uno dei principali motivi che spinge sempre più utenti nel mondo a fare affidamento su piattaforme digitali di navigazione, in grado di fornire percorsi alternativi e più veloci per arrivare a destinazione. Percorsi più veloci che, però, non è detto che coincidano con quelli più sostenibili dal punto di vista ambientale.
Se le piattaforme consentissero agli utenti di scegliere direttamente il percorso più “ecologico”, abilitando quindi anche il contributo individuale in funzione di una mobilità più sostenibile, l’impatto in termini ambientali potrebbe essere senz’altro rilevante.
È questa l’intenzione ufficiale di Google Maps, che darà il via oltreoceano entro fine anno ad una novità potenzialmente destinata ad influenzarne l’utilizzo da parte di molti utenti: l’impostazione principale, infatti, non sarà più solo quella del percorso più veloce, ma quella del percorso più sostenibile, con minore impatto ambientale e minore emissione di CO2.
Se le piattaforme di navigazione consentissero agli utenti di scegliere direttamente il percorso più “ecologico”, abilitando quindi anche il contributo individuale in funzione di una mobilità più sostenibile, l’impatto in termini ambientali potrebbe essere senz’altro rilevante
Il prodotto, creato in collaborazione con il National Renewable Energy Laboratory degli Stati Uniti, sarà quindi sperimentato prima in America del Nord con un primo impatto “soft”, nel senso che quando il percorso più breve coinciderà molto anche con quello più ecologico, Google favorirà questo come primo impatto. Quando invece i due parametri saranno abbastanza distanti, allora Google offrirà la possibilità di scegliere quello che si preferisce, e segnalerà quello ecologico con una foglia verde.
Piattaforme di navigazione e sostenibilità
Se le App e le piattaforme di navigazione hanno degli indubbi vantaggi per i singoli utenti, quale ruolo possono avere e svolgere, quindi, in ottica di sostenibilità?
Innanzitutto, avendo molto a che fare con la mobilità, possono contribuire a soddisfare i traguardi e gli obiettivi della stessa Agenda 2030 espressi nel target 11.2 “Entro il 2030, garantire a tutti l’accesso a un sistema di trasporti sicuro, conveniente, accessibile e sostenibile, migliorando la sicurezza delle strade, in particolar modo potenziando i trasporti pubblici, con particolare attenzione ai bisogni di coloro che sono più vulnerabili, donne, bambini, persone con invalidità e anziani” ed 11.3 “Entro il 2030, potenziare un’urbanizzazione inclusiva e sostenibile e la capacità di pianificare e gestire in tutti i paesi un insediamento umano che sia partecipativo, integrato e sostenibile”. Ma, e questo è altrettanto importante, come si è detto possono avere quindi un impatto diretto anche sul Goal 13: “lotta al cambiamento climatico”.
Un uso intelligente dei big data, per quanto concerne la mobilità, può aiutare molto a trovare soluzioni adeguate nel mitigare problemi importanti quali l’inquinamento atmosferico, la salubrità dell’aria e la qualità della vita delle persone nelle aree interessate
Big Data e tecnologie, possono contribuire a dare forma alla società che desideriamo. È indubbio, infatti, che un uso intelligente dei big data, per quanto concerne la mobilità, possa aiutare molto a trovare soluzioni adeguate nel mitigare problemi importanti quali l’inquinamento atmosferico, la salubrità dell’aria e la qualità della vita delle persone nelle aree interessate. Meno traffico, meno inquinamento, maggior sicurezza e quindi possibilità di incontro e crescita umana. Sostenibilità ecologica con sostenibilità economica. Ma è tutto così liscio?
La questione seria dell’uso dei dati
Intelligenza artificiale e machine learning faranno da pilastri per questa innovazione. Conoscere esattamente chi sta utilizzando lo schermo e con quale mezzo si sta muovendo sarà ovviamente fondamentale per l’App, per fornire il miglior servizio. Altrettanto imprescindibile sarà incrociare i dati ricavati da più fonti, per tracciare il migliore percorso verde possibile.
Resta in questo ambito quindi aperta la questione inerente la gestione dei dati in possesso delle piattaforme: dati importanti relativi a comportamenti, gusti, preferenze e molto altro, che rendono le piattaforme digitali, in generale, possessori di informazioni che ancora troppo poco si riversano a favore della collettività. Un limite di non poco conto. Usando queste tecnologie, qualsiasi esse siano, forniamo a privati un’enorme quantità di dati, del cui uso sappiamo ben poco.
Resta aperta la questione inerente la gestione dei dati in possesso delle piattaforme: dati importanti relativi a comportamenti, gusti, preferenze e molto altro, che rendono le piattaforme digitali, in generale, possessori di informazioni che ancora troppo poco si riversano a favore della collettività
Quanto di questi dati personali viene poi rielaborato a vantaggio della collettività? In altri termini: quanta parte del valore generato dagli utenti con i loro dati torna agli utenti? E quanto, ad esempio nel caso delle piattaforme di navigazione, la sostenibilità ambientale si sposa bene con la sostenibilità sociale?
Una possibile soluzione viene avanzata da Stefano Epifani: “Si pensi, ad esempio, al cooperativismo di piattaforma. Il termine platform cooperativism, coniato negli anni scorsi da Trebor Scholz, fa riferimento ad una nuova possibile concezione del ruolo delle piattaforme nella quale, semplificando all’estremo, la gestione dell’infrastruttura, così come dei dati, siano democratiche e condivise. Più o meno come accade in una cooperativa. Insomma: se Uber fosse una piattaforma cooperativa i dati veicolati in essa non sarebbero di Travis Kalanick e Garrett Camp ma di tutti i suoi driver. Uno scenario in cui il prossimo Facebook potrebbe essere una sorta di cooperativa di consumo, ove il valore generato dagli utenti potrebbe essere redistribuito verso gli utenti stessi, che ne sarebbero i soci.”
In questo modo, sempre secondo Epifani, vi sarebbe una valorizzazione “che avrebbe da una parte il merito di far percepire agli utenti che i servizi che utilizzano non sono gratuiti come sembrano, dall’altra quello di promuovere, così, un processo di acquisizione di consapevolezza che sarà sempre più importante man mano che il mondo diventerà più connesso”.
Sarà questa la soluzione? Difficile dirlo con certezza. Certamente una visione del genere può creare maggiore consapevolezza, fungere da pungolo per i colossi privati possessori di dati, e accendere riflettori su temi spesso ignorati e sottovalutati.
La chiave di volta, la filigrana con cui leggere tutto il processo, resta sempre la sostenibilità sociale, inclusiva.
Digitale e tecnologie al servizio della Sostenibilità
In attesa che i governi o chi sia preposto a questo decida una sana regolamentazione del digitale, non possiamo nascondere il prezioso aiuto che ci viene fornito dalle tecnologie.
Uno studio molto recente e interessante in ambito sostenibilità e mobilità, è quello dello “Sustainable Mobility: Policy Making for Data Sharing”, elaborato dal Roadmap of Action (GRA), in sinergia con Sustainable Mobility For All Initiative (SuM4All) e il World Business Council for Sustainable.
Gli scopi che possono avere le piattaforme di navigazione sono molteplici: dalla gestione ottimale del traffico, passando per l’utilizzo armonioso di più mezzi, quali auto, bici e metropolitane nel caso di Londra, fino alla prevenzione di incidenti stradali o al soccorso immediato e ottimale in caso di incidenti, come avviene da anni a Los Angeles, solo per fare qualche esempio.
Se Google oggi è l’unica, le altre tengono il passo
Alcuni a questo punto potrebbero chiedersi se la novità di Google possa realmente essere utile, o quale possa essere la reale utilità delle altre app di navigazione. Se al momento, infatti, l’unica app in ambito di mobilità a fornire una scelta esplicitamente orientata alla sostenibilità ambientale pare essere quella di Google, non mancano alternative, anche se ancora non ai livelli del colosso di Mountain View (che detiene anche la proprietà di Waze).
Esempi di piattaforme che consentono di elaborare percorsi particolari, tra le altre, possono essere quelli di Here we go, Maps.me, Osmand. Ognuno di questi strumenti – e tanti altri – hanno caratteristiche proprie, ma tutti hanno in comune l’obiettivo di migliorare, con la tecnologia e la condivisione dei dati, la mobilità sotto vari aspetti.
Maps.me è un interessante progetto che partito come operazione privata, è diventata dal 2015 opensource. Altri, come Here we go, invece incrociano anche i dati delle forze dell’ordine, informazioni da canali sociale e telecamere di sicurezza stradale. Altri ancora, invece, sostituiscono letteralmente le vecchie cartine e sono utilizzabili tranquillamente offline avendo prima scaricato l’ultima mappa aggiornata, con risparmio di energia ma con garanzia di affidabilità.
Nessuna di queste introduce – al momento – l’opzione esplicita del percorso più ecologico, come farà Google Maps, ma certamente sono delle validissime alternative per calcolare altri tipi di percorsi, quali ad esempio quelli in bici, in montagna e ovviamente in città, integrandoli tra loro, andando incontro alla soddisfazione delle esigenze dell’utente ma anche della sostenibilità ambientale collettiva.
Insomma, certamente l’innovazione di Google Maps può dettare il passo a nuovi significativi cambiamenti nel modo di vivere e di scegliere: del resto, questo è uno degli effetti della digitalizzazione nella società, sotto molti aspetti. Ed è anche uno dei suoi pregi, quello di cambiare in positivo o di migliorare abitudini e modi di vivere pregressi. A patto che il vantaggio sia per tutti e che la sostenibilità sia realmente ecologica e sociale insieme.
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