La sostenibilità digitale? Un percorso comune libero da preconcetti: intervista a Emanuele Spampinato

La sostenibilità digitale richiede il passare dalle dichiarazioni ai fatti, in un percorso comune e libero da preconcetti nel quale guardare al digitale non come un nemico, ma come un essenziale abilitatore: parola ad Emanuele Spampinato, Presidente e Amministratore Delegato di Etna Hitech

Il percorso di approfondimento sulla sostenibilità digitale, che qui su Sustainability Talk stiamo portando avanti attraverso le voci dei C-Level di importanti aziende italiane, si arricchisce di un nuovo contributo: quello di Emanuele Spampinato, Presidente e Amministratore Delegato di Etna Hitech S.C.p.A, Consigliere d’Amministrazione Parco Scientifico e Tecnologico della Sicilia Scpa, Vicepresidente ASSINTEL e membro del comitato di indirizzo del Digital Transformation Institute. Imprenditore e manager che, partendo dalla convinzione che il Sud sia una risorsa indispensabile per il paese, ha costruito in pochi anni quello che è il consorzio di piccole e medie imprese attive nel settore dell’ICT più importante del centro sud e che, con esso, sta concretizzando un nuovo modello di collaborazione che va al di là dei distretti tecnologici e fa del concetto di “azienda a rete” una realtà concreta che, proprio in un momento di crisi come quello che stiamo vivendo, mostra tutta la sua forza.

La sostenibilità: dalle parole ai fatti

Quello del Presidente di EHT, come emerso nel corso dell’intervista, è un pensiero chiaro e deciso: il futuro del Paese e la sua trasformazione, non possono prescindere dall’intraprendere un percorso nel quale la sostenibilità guardi sempre più al digitale come un fondamentale elemento abilitante.

È però chiaro che, per le aziende, un simile percorso deve partire da una precisa consapevolezza dell’importanza del ruolo della sostenibilità e della complessità della sua dimensione sistemica. Una consapevolezza che però non deve rimanere in una dimensione “concettuale”, ma deve tradursi in azioni concrete, volte a raggiungere i relativi obiettivi. Da questo punto di vista, “nonostante spesso il management si dichiari consapevole dell’importanza della sostenibilità rispetto al business, altrettanto spesso questa consapevolezza non si traduce in azioni concrete. Serve una maturità che porti a trasformare le varie dichiarazioni di intenti sull’argomento in fatti, in strategie che diventino obiettivi da raggiungere, possibilmente misurabili. Ecco, ad oggi credo che questa maturità non sia ancora diffusa, e c’è quindi ancora molto da fare nell’orientare i comportamenti delle aziende, nel rapporto con i clienti, con le istituzioni, nel modo in cui si vendono prodotti e servizi, e nel modo con il quale si sviluppano i diversi progetti. Per tutti questi aspetti, al di là dell’aspetto dichiarativo, si dovrebbe aprire un ‘capitolo’ sostenibilità”.

Un nuovo percorso con obiettivi comuni

Arrivare ad una piena consapevolezza dell’importanza della sostenibilità significa però avere una chiara concezione della sua dimensione sistemica, nella quale ambiente, economia e società sono inestricabilmente collegate.

Tuttavia, come più volte emerso nei precedenti appuntamenti di questa rubrica, secondo Emanuele Spampinato “la stragrande maggioranza delle persone associa ancora la sostenibilità al solo tema ambientale. Questo, però, non è l’unico aspetto problematico. Infatti, se spesso si nota un utilizzo strumentale delle pratiche di sostenibilità ambientale che si trasforma in vero e proprio greenwashing, altrettanto spesso è possibile vedere che quando si focalizza l’attenzione sulle dimensioni economiche e sociali si finisce per diminuire l’attenzione sul fronte ambientale. Insomma: proprio non si riesce a capire che i tre elementi non possono essere vissuti come alternativi.

Inoltre, quando si parla di sostenibilità, vengono frequentemente a formarsi degli ‘schieramenti’ a sostegno della maggiore importanza di una dimensione piuttosto che di un’altra: per superare questo problema è fondamentale portare all’attenzione, nel dibattito pubblico, tutte le varie e diverse ragioni, con l’obiettivo di trovare un punto d’incontro per affrontare un percorso nuovo, che riguardi tutti e che sia libero da preconcetti. Sarà fondamentale cominciare a guardare a tutte e tre le dimensioni contemporaneamente, con uno sguardo attento all’impatto di valore generato per la società. Un impatto che, poi, dovrebbe essere misurabile: infatti, le prestazioni dei dipartimenti aziendali non andrebbero misurate soltanto dal punto di vista del margine di contribuzione economico, ma anche del margine di contribuzione rispetto agli obiettivi di sostenibilità che l’azienda o l’organizzazione si pone. È questo il salto in avanti che dobbiamo fare, in termini di approccio manageriale e strategico”.

Rendere misurabile l’apporto delle attività e degli obiettivi aziendali nell’ottica della sostenibilità è quindi fondamentale, in questo percorso. Tuttavia, proprio da questo punto di vista, secondo il presidente di EHT “è necessario provare a capire come questi modelli possano essere adottati anche dalle piccole e medie imprese. In questo senso, infatti, il rischio è quello di creare dei protocolli che, nonostante risultino facilmente adottabili dalla grande impresa, che magari può anche costituire un dipartimento dedicato per la sostenibilità e fare audit trasversale, vadano a tagliare fuori la piccola impresa. Per questo motivo, per evitare di creare delle distanze troppo profonde, sarà fondamentale il ruolo delle associazioni di categoria, che dovranno fornire delle linee guida affinché anche le imprese di minori dimensioni possano raggiungere almeno un minimo di approccio manageriale ed imprenditoriale nei confronti della sostenibilità”.

Sul digitale c’è ancora molto lavoro da fare

Parallelamente alla necessità di far comprendere l’importanza del guardare a tutte le dimensioni della sostenibilità, fissando obiettivi misurabili e intraprendendo azioni volte a toccarle tutte in maniera sistemica, per Emanuele Spampinato “sarà necessario un grande lavoro per far capire, allo stesso tempo, come la tecnologia, in particolar modo il digitale, sia uno strumento essenziale e abilitante per attivare processi di sostenibilità diffusa, tanto per le aziende, quanto per i cittadini. Al momento, guardando al dibattito pubblico, vedo ancora posizioni critiche rispetto alla non-sostenibilità delle tecnologie dal punto di vista ambientale. Non solo: spesso vengono alzati ‘muri’ anche sul fronte sociale, da chi critica il fatto che ci sia un gap digitale esistente in diverse aree, e su quello economico, come ben spiegato nel libro ‘Sostenibilità Digitale’ di Stefano Epifani, da chi pensa che il digitale possa garantire importanti ritorni economici soltanto per poche grandi piattaforme nel mondo. Quello che dobbiamo far capire, invece, è che il digitale può permettere un nuovo approccio nei confronti della sostenibilità: tanto per i cittadini, cambiando il modo di consumare, di esprimere il loro ruolo nella società, tanto per le aziende, consentendo la nascita di nuovi meccanismi economici, nei quali vige la condivisione del valore cooperativo. Sarà senza dubbio una lenta e difficile opera di orientamento culturale della società, ma è un percorso necessario nel quale il Paese dovrà avere la capacità di mediazione, accompagnando anche le posizioni più critiche verso una visione comune”.

Inoltre, perché il digitale possa esprimere tutte le sue reali potenzialità, “sarà fondamentale spingere affinché ogni soluzione digitale offerta ai cittadini, alle istituzioni e alle imprese permetta, attraverso delle metriche personali di utilizzo, di capire il proprio reale impatto sulle tre dimensioni della sostenibilità” spiega Emanuele Spampinato. “In Etna Hitech, nei nostri progetti di Ricerca & Sviluppo, ci interroghiamo di volta in volta proprio su come rendere accountable i nostri sistemi e le nostre soluzioni, ne abbiamo fatto un mantra. In questo modo, vogliamo dimostrare non soltanto che il digitale è uno strumento abilitante per la sostenibilità, ma anche lo strumento attraverso il quale misurare la sostenibilità stessa delle proprie attività.

Affinché un lungo percorso come quello della sostenibilità digitale possa essere affrontato, però, occorre riflettere su quali competenze siano necessarie. In questo senso, “per parlare di competenze, non si può prescindere dal parlare del sistema di formazione scolastica, universitaria e professionale. Da questo punto di vista, negli ultimi vent’anni, il nostro Paese ha lasciato passare un messaggio: quello che dobbiamo essere tutti culturalmente elevati, guardando alla tecnica come a un qualcosa di meno importante, privilegiando gli studi scientifici, classici e l’università a discapito degli istituti tecnici e della formazione professionale. Tuttavia, è impensabile che quello delle competenze sia un ragionamento da fare soltanto per chi esce dall’università. Tutt’altro: è fondamentale un’azione sociale che porti le famiglie a considerare per i propri figli anche l’opzione degli istituti tecnici, che è un lavoro che va fatto e che non dequalifica il Paese, non lo rende culturalmente più povero. In questo senso, questi 5 anni saranno una grande opportunità, perché le risorse messe per gli ITS, l’istruzione classica e quella universitaria sono senza precedenti: la sfida è quella di sfruttarle al meglio, per creare, poi, vera occupazione”.

La sostenibilità e il digitale, due variabili concatenate

Le istituzioni, quindi, avranno in questo contesto il compito di indirizzare il cambiamento. Un cambiamento che possa portare verso la sostenibilità digitale, e per il quale raggiungimento “le istituzioni hanno, sulla carta, tutti gli strumenti e le risorse necessarie. Devo dire che leggendo il DL Semplificazioni, in cui i primi articoli sono dedicati alla governance del PNRR, si vede un auspicabile governance di partecipazione collettiva del Paese, dall’organo più alto del governo fino al governo dei territori, che sulla carta funziona molto bene. D’altra parte, il PNRR deve esprimere la propria capacità di creare impatto sulle due dimensioni del digitale e della transizione ecologica, non come variabili indipendenti, ma assolutamente concatenate e traversali su tutta l’azione di ricostruzione del Paese. In questo senso, avere una governance che utilizza queste due leve come leve di sviluppo rappresenta una grandissima opportunità. Sulla carta, quindi, ci sono tutti gli elementi necessari: adesso starà alla qualità e alla capacità delle persone fare in modo che quello che si sta scrivendo venga effettivamente realizzato.

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