Oltre l’80% delle imprese – che rappresentano più del 90% del valore aggiunto – prevedono di trovarsi in una situazione di completa (41,3%) o parziale (39,5%) solidità entro la prima metà del 2022, mentre poco più del 3% afferma di essere gravemente a rischio. A rilevarlo, il report dell’Istat “Situazione e prospettive delle imprese dopo l’emergenza sanitaria Covid-19”, con una rilevazione che ha riguardato un campione di oltre 90mila imprese con 3 e più addetti attive nell’industria, nel commercio e nei servizi, rappresentative di un universo di circa 970mila.
Tra gli effetti di questo recupero di solidità del sistema delle imprese evidenziato dal rapporto c’è che il 12,1% di esse sta oggi assumendo personale, aggiungendosi al 9,4% che lo ha fatto nella seconda metà dello scorso anno, nonostante tra queste, per quasi i due terzi, si segnali la difficoltà nel reperire le risorse necessarie. Non solo: attenzione anche verso investimenti green – orientati alla sostenibilità ambientale – da parte delle imprese, ma tra queste ultime è ancora piccola la quota di quante considerano fondamentali le tecnologie 4.0 per le proprie attività.
Un terzo delle imprese non prevede una risalita alla capacità produttiva pre-pandemia ad inizio 2022
Seppur in un contesto di recupero di solidità, si legge nel report, circa un terzo delle imprese (circa 2,5 milioni di addetti, il 17,8% del valore aggiunto) non prevede di risalire nel primo semestre del 2022 alla capacità produttiva del periodo pre-pandemia, mentre meno di una su dieci (2,3 milioni di addetti, il 19,6% del valore aggiunto) prevede di superarla. Tendenza alla stagnazione del potenziale produttivo che se molto evidente per le imprese a rischio – tra le quali solo l’1,5% prevede un aumento della capacità produttiva, contro un 71,2% che la vede in perdita –, si può notare anche per il 20% di quelle più solide, con solo il 10,2% che prevede una crescita.
Quanto alla valutazione dell’andamento del fatturato tra giugno e ottobre 2021 rispetto agli stessi mesi del 2020, evidenzia ancora il report, le imprese si dividono in tre gruppi quasi equivalenti per numerosità: il 34,2% dichiara una riduzione delle vendite, il 33,7% un andamento stabile e il 32,1% un aumento. Quest’ultimo, però, è il segmento più ampio in termini occupazionali (45,1% rispetto al 26,6% delle imprese in perdita e al 28,4% di quelle con fatturato stabile), oltre che quello che contribuisce alla produzione di circa la metà del valore aggiunto nazionale (49,8% rispetto il 22,8% di quelle in perdita e il 27,4% di quelle stabili).
Questi dati, inoltre, sono fortemente legati alla dimensione delle aziende. Infatti, “le micro-imprese presentano un’incidenza delle unità con riduzione del fatturato (il 36,4%) pari al doppio di quella registrata dalle grandi (18,9%) mentre i casi in aumento (il 28,9% tra le micro-imprese) pesano circa la metà di quanto rappresentino tra le unità maggiori (il 52,7%)”.
Investimenti green e digitalizzazione delle imprese
Sei imprese su dieci prevedono investimenti in capitale umano e formazione nel corso del 2022, di cui circa il 50% con modesta intensità e una su dieci con elevata propensione. Una impresa su due, invece, realizzerà investimenti rivolti alla sostenibilità ambientale, con modesta (41,4%) e alta (8,4%) intensità.
Tra le altre aree, investirà invece in tecnologia e digitalizzazione in 42,3% delle unità, l’8,7% con elevata intensità. Anche in quest’ambito, l’intensità degli investimenti varia a seconda della dimensione aziendale, in modo piuttosto marcato: la prevalenza di imprese che realizzano investimenti in tecnologia e digitalizzazione è infatti molto più alta tra le grandi (82,8%) rispetto a quelle di più ridotte dimensioni (36,8%).
Quello della trasformazione digitale delle imprese è però un tema centrale, e il quadro rappresentato dall’Istat evidenzia come queste siano effettivamente ancora poco inclini all’introduzione di processi e tecnologie in grado di avere un forte impatto sulla loro produttività. Tra i fattori rilevati come più importanti troviamo la connessione Internet – molto importante o cruciale per il 54,3% delle imprese –, alla quale segue un aumento di attenzione verso la sicurezza, in termini di prevenzione di attacchi ed eventuali azioni di recupero dati (molto importante o cruciale per il 43,1%), dovuta ad una crescente consapevolezza dei rischi connessi alla digitalizzazione. Più indietro, in termini di attenzione, c’è invece la formazione digitale (30,5%).
Come detto in precedenza, sottolinea il rapporto, “le tecnologie per innalzare la produttività sono quelle meno considerate, probabilmente per la loro specificità settoriale ma anche per una diffusione ancora limitata, specialmente tra le imprese medio-piccole. La quota di imprese che segnalano attenzione per questi fattori è intorno al 20% nel caso di automazione e tecnologie 4.0 e di soluzioni cloud e gestione in remoto di servizi e infrastrutture. Non raggiunge il 10% per applicazioni di Intelligenza artificiale e analisi dei Big Data mentre si attesta al 14,8% per il miglioramento dei processi legato al commercio online (contenuti web, magazzino, logistica, ecc.)”.
Le tecnologie digitali per la produttività sono poco considerate perfino dalle imprese di più grandi dimensioni: le tecnologie cloud sono indicate come cruciali dal 22,8%, l’automazione dal 21,8% e l’Intelligenza artificiale dal 13,6%. Stessa poca importanza si può notare poi per il commercio online, non rilevante tanto per il 58,3% delle imprese con meno di dieci addetti, quanto per il 38,1% di quelle più grandi.
In calo lo smart working, ma migliora la sua percezione
Rispetto all’ultima rilevazione, risulta poi in calo anche la diffusione dello smart working e del telelavoro, con la quota di imprese che fa uso di questa modalità lavorativa passata dall’11,3% al 6,6% attuale. Più nello specifico, i dati evidenziano come sia maggiormente diffusa tra le imprese dei servizi – un’impresa su dieci dichiara di farne uso –, e che, nel complesso, il ricorso a tale modalità aumenti all’aumentare della dimensione aziendale: dichiarano, infatti, di utilizzare il lavoro a distanza il 4,4% delle micro-imprese, il 10,9% delle piccole, il 31,4% delle medie fino al 61,6% delle grandi.
Nonostante questa riduzione nell’utilizzo di smart working e telelavoro, si legge ancora nel rapporto, le imprese segnalano un miglioramento generalizzato quanto agli effetti netti percepiti dall’utilizzo di tali modalità. Ciò in particolare “per il benessere del personale che, grazie a un importante aumento rispetto a un anno prima, è diventata la dimensione con il saldo tra giudizi positivi e negativi maggiormente favorevole (pari a 42,5 punti percentuali a fronte di 22,8 punti nel 2020)”. Tra le altre dimensioni con effetti positivi si trova l’adozione di nuove tecnologie (con un saldo delle frequenze pari a +40,4), così come un miglioramento del giudizio si riscontra sulla produttività del lavoro e i costi operativi.
Restano invece negativi “gli effetti netti sull’efficienza nella gestione dei processi operativi (saldo di -10,2 punti percentuali) e quelli relativi all’interazione, collaborazione e comunicazione del personale (-19,0) ma, anche per queste due variabili, emerge una situazione molto meno sfavorevole di quella di un anno prima”.
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