Diffondere la Sostenibilità Digitale, a partire dal mondo dell’istruzione: intervista a Vincenzo Ranieri, AD di E-Distribuzione

Dal reskilling aziendale fino ad un intervento, a monte, nel mondo dell’istruzione, occorre creare profili trasversali che sappiano affrontare fenomeni complessi, adatti alle nuove esigenze della sostenibilità digitale: ce ne parla Vincenzo Ranieri, Amministratore Delegato di E-Distribuzione

Una nuova intervista ad arricchire lo spazio di Sustainability Talk. Questa volta parliamo con Vincenzo Ranieri, Amministratore Delegato di E-Distribuzione e da giugno 2021 primo Presidente della EU DSO Entity, la nuova associazione europea dei Distribution System Operators. Dopo la laurea in finanza aziendale presso la LUISS Guido Carli di Roma entra in Enel dove, dal 2000, ha ricoperto diversi incarichi di responsabilità, tra cui quello di Responsabile di pianificazione e controllo del Gruppo Enel e della Divisione Global Infrastructure Networks, e di Chief Financial Officer delle società controllate dal Gruppo in Romania e in Slovacchia.

La sostenibilità? Non un onere, ma un investimento

Tra i manager delle aziende italiane, sostiene Ranieri, sta cominciando a diffondersi, seppur con diverse “gradazioni” – chi è più avanti, chi sta partendo adesso – la consapevolezza dell’importanza del ruolo della sostenibilità. Il che è un bene ma, sottolinea, “ciò non significa che siano altrettanto diffusi dei business model realmente sostenibili”.

In ogni caso, acquisire consapevolezza dell’importanza di questo tema è un primo passo fondamentale. Consapevolezza che, tra le aziende del nostro Paese, sta maturando soprattutto in relazione ad alcuni fattori decisivi. “Primo fra tutti, certamente il ruolo dei consumatori. È indubbio che la sostenibilità inizi a diventare per loro un argomento di interesse, condizionandone scelte ed abitudini d’acquisto. ll cliente si aspetta che le aziende prendano posizioni chiare e nette su questioni di rilevanza politica, sociale e ambientale. I consumatori vogliono vederci chiaro anche sui processi produttivi. Le aziende non possono rimanere indifferenti a questo fatto e, volenti o nolenti, non possono che tenerlo in considerazione e ripensare, se necessario, il proprio business model”.

Strettamente legato a questo c’è poi un secondo fattore, che rappresenta oggi un driver fondamentale: la diffusione di più strumenti e canali di comunicazione, la democratizzazione dell’informazione. “Oggi le persone possono non solo assorbire informazioni, ma anche raccontare la propria esperienza. Questo fa sì che non sia più l’azienda a monopolizzare la propria immagine verso il mondo esterno: ad essa, infatti, si aggiunge oggi anche la percezione che ne ha tutto il suo ecosistema di riferimento, che si esprime on-line in un modo che prima dell’avvento della rete e dei social era, semplicemente, impossibile. Questo molte aziende lo hanno capito, e spesso provano a farne un vantaggio competitivo.

Tutto questo ha il duplice effetto di rendere il mercato più trasparente e di spingere le aziende a fare scelte non più mirate alla sola produttività, ma anche in considerazione di altri fattori che, insieme, concorrono alla creazione di valore. Ci sono diversi esempi di business model virtuosi che hanno dimostrato quanto un approccio sostenibile permetta di creare valore, per se stessi e per il sistema: esempi che danno la misura di come la sostenibilità non sia stata posta in antagonismo rispetto alla redditività economica, ma anzi rappresenti una leva per creare valore. Questo è un aspetto importante dato che, fino ad oggi, le aziende l’hanno vista più come un onere con cui dover fare i conti”.

Tra concezioni limitate e distanze strutturali

Se questi fattori stanno guidando lo sviluppo della consapevolezza, secondo Ranieri ci sono però ancora alcuni limiti che, nel pratico, ostacolano l’affermarsi in modo omogeneo di reali approcci sostenibili tra le aziende del nostro paese.

In primis, il fatto che non ci sia ancora una percezione diffusa della complessità del tema, spesso limitato al solo ambiente. “Su questo punto credo ci sia ancora molto da fare: bisogna far capire che la sostenibilità richiede un approccio olistico, che deve permeare tutta la catena del valore. Se un’azienda vuole puntare ad essere sostenibile, non basta che utilizzi soltanto materiali riciclabili, ma deve rivedere in questa logica tutti i propri processi, con uno sguardo a 360 gradi su tutte le sue risorse, sull’organizzazione del lavoro, sulle persone e via dicendo. Sostenibilità significa infatti, certamente, riduzione di sprechi e prevenzione dell’inquinamento, ma anche welfare, riduzione del gender gap, equilibrio salariale, pari opportunità e condizioni lavorative più dignitose: la sfida più grande per tutte le aziende, quindi, è quella di trovare il modo di declinarla in tutte le dimensioni aziendali. D’altra parte, se riuscissimo a permeare la società con questa visione sistemica della sostenibilità, diventerebbe evidente il fatto che non possa ridursi al solo aspetto ambientale che, per quanto importante, ne rappresenta un aspetto”.

Altra criticità sottolineata dal CEO di E-Distribuzione è poi quella della polarizzazione del tessuto imprenditoriale italiano. “Abbiamo da un lato poche grandissime aziende, e dall’altro un universo di piccole e medie imprese che per struttura, organizzazione del lavoro, visione strategica e industriale sono molto distanti dal primo cluster. Mentre le prime stanno partendo decisamente bene nell’approcciarsi alla sostenibilità con quella visione olistica che citavo prima, il mondo delle piccole e medie imprese invece non lo sta facendo, e in realtà non ha neanche ben chiaro cosa significhi sviluppare un business sostenibile. Ciò dipende da ragioni strutturali: quello che colgo, infatti, è che la loro organizzazione del lavoro, la loro cultura manageriale, e anche la loro expertise tecnica su questi temi è ancora distante da quello delle imprese del primo cluster e quindi, pur cogliendo spesso l’importanza del tema della sostenibilità, nel concreto non riescono comunque ad assorbirlo e farne una leva di valore”.

Una nuova organizzazione del lavoro guidata dal digitale

Se sulla piena comprensione e percezione della sostenibilità ci sono quindi ancora dei dubbi, si può invece ascrivere tra i fatti assodati, secondo Ranieri, che la tecnologia, e in particolare il digitale, sia stato interiorizzato da tutti come elemento essenziale a supporto della sostenibilità. “Un fatto cui siamo stati messi tutti di fronte anche alla luce degli ultimi eventi, quando la tecnologia ci ha consentito di affrontare in maniera non solo efficiente, ma anche efficace la nostra condizione personale e lavorativa, contribuendo significativamente a mantenere in piedi l’economia. Questo per le aziende è stato ovviamente possibile grazie ad un percorso di digitalizzazione di base dei propri processi: alcune lo avevano già cominciato e l’hanno quindi vissuto con continuità e naturalezza, altre l’hanno vissuto come disruptive”.

Se il ruolo del digitale è stato quindi fondamentale per consentire una continuità nelle difficoltà causate dalla pandemia, è altrettanto evidente che, anche in prospettiva, continuerà ad essere decisivo “per superare le sfide che ci attendono, prima fra tutte quella di far sì che ci sia una vera e propria transizione ecologica: non basta, infatti, soltanto ripartire, ma occorre farlo nella direzione giusta. E l’unica possibilità di farlo è promuovere una crescita e uno sviluppo che necessariamente devono essere sostenibili”.

Ma per le aziende, sfruttare le opportunità che il digitale può offrire secondo Ranieri richiede, innanzitutto, un cambiamento nell’organizzazione del lavoro: ciò significa “non lavorare più per singoli task, ma per progetti, ponendosi un obiettivo e adottando un approccio ampio che guardi alla complessità. Questa riorganizzazione del lavoro deve quindi fare leva proprio sul digitale, perché è lo strumento che garantisce l’ampiezza di visione necessaria. Tale cambiamento, però, vede come condizione abilitante il favorire un modello di leadership diffusa: se pensiamo allo smart working, parlare di leadership diffusa significa promuovere un sistema di valori in cui il singolo si senta responsabile, e implica passare da una logica di command and control, in cui il responsabile del team è il controllore del tempo dei collaboratori, ad un sistema di responsabilità diffusa in cui la performance si misura sul raggiungimento di traguardi condivisi. Certamente ciò richiede uno sforzo per il management dell’azienda, perché significa intervenire sul mindset delle persone: ecco perché le persone sono un fattore chiave, una condizione necessaria per la diffusione di un modello basato sulla sostenibilità digitale”.

Per la sostenibilità digitale servono profili trasversali

Perché la centralità delle persone possa emergere all’interno delle aziende, e in un’ottica di sostenibilità digitale, occorre però che abbiano le giuste competenze. Svilupparle non è un compito semplice, soprattutto in relazione al fatto che, in un’impresa, spesso convergono generazioni tra loro distanti alle quali, secondo Ranieri, non ci si può approcciare in modo omogeneo. “Un errore che spesso le aziende hanno commesso negli ultimi anni è pensare di definire un unico modello di competenza digitale, che valesse universalmente per tutti. Ritengo che questo, se tecnicamente corretto, nella pratica faccia fatica ad essere implementato, perché la percezione di un nativo digitale può essere diversa rispetto a quella di un individuo di una generazione precedente: allora, se il modello di macro-competenze è lo stesso, le modalità con cui le competenze vengono diffuse devono essere modificate rispetto alla generazione alla quale ci si riferisce, chiaramente con un processo, poi, di graduale convergenza”.

Ciò richiede, sottolinea Ranieri, di far capire alle generazioni che sono nel mondo del lavoro da più tempo che, per quanto preziosa la loro esperienza, devono comunque riconsiderare il loro bagaglio di competenza in una logica di profondo reskilling, trovando però modalità “non traumatiche” di ridefinire il loro percorso di sviluppo; allo stesso tempo, occorre invece favorire nella formazione dei più giovani un approccio più integrato. Tutto questo converge nella “necessità, con una logica di medio termine, di creare profili sempre più trasversali, che siano in grado di avere un’ampiezza di analisi per indagare fenomeni complessi, e per orientare decisioni avendo piena comprensione degli effetti. Questo significa, in altre parole, che su sostenibilità e digitale non basta sviluppare delle competenze specialistiche, ma che bisogna fare di questi temi elementi trasversali, la cui comprensione permei tutta l’organizzazione del lavoro. E questo implica affrontare il problema a monte: partendo dal mondo dell’istruzione, per insegnare a tutti, dalle nuove generazioni nelle scuole fino ai manager e ai decisori, ad integrare questi aspetti”.

Da questo punto di vista, conclude il CEO di E-Distribuzione, un ruolo fondamentale lo avrà l’impegno delle istituzioni che, infatti, potrebbero contribuire “prevedendo percorsi di formazione adeguati a creare profili professionali che abbiano le competenze necessarie per rispondere alle esigenze del mercato della sostenibilità digitale. In un Paese con un’età media di 46 anni il reskilling è fondamentale: e non si possono lasciare da sole le imprese in questi percorsi di aggiornamento e sviluppo”.

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