L’innovazione digitale per combattere le disuguaglianze sanitarie nella Giornata Mondiale della Salute

Partendo dai dati, passando per innovazione digitale ed ecosistemi, il ruolo delle tecnologie e dell’innovazione per contrastare le disuguaglianze sanitarie e “costruire un mondo più giusto e più sano”

Il 7 aprile è la data che segna l’anniversario della fondazione della World Health Organization – l’Organizzazione Mondiale della Sanità – avvenuta nel 1948. Dal 1950, questo giorno è anche riconosciuto come la Giornata Mondiale della Salute: una giornata nella quale si affronta, di anno in anno, un tema specifico riguardante la salute che interessi per le persone di tutto il mondo.

Costruire un mondo più giusto e più sano”. È il tema scelto per il settantunesimo anniversario della Giornata mondiale della salute, che pone all’attenzione globale un tema di primaria importanza, soprattutto se contestualizzato nel periodo di pandemia in atto: quello delle disuguaglianze che rendono difficile per moltissime persone vivere una vita sana ed avere accesso ai servizi sanitari. Stando alle statistiche sanitarie mondiali fornite dall’OMS, nel 2017 soltanto tra un terzo e la metà della popolazione globale – dal 33% al 49% – è stata coperta dai servizi sanitari essenziali, con una copertura dei servizi inferiore nei paesi a medio e basso reddito rispetto a quelli più ricchi. Una situazione, questa, che l’emergenza sanitaria e la pressione senza precedenti sulle infrastrutture sanitarie non può certo aver migliorato, ma che anzi rischia di accentuare. E che dimostra come la crisi sanitaria che stiamo vivendo con il COVID-19 fosse abbondantemente prevedibile, almeno dal punto di vista della tenuta dei sistemi sanitari.

Ma queste disuguaglianze, anche in un mondo ormai flagellato dalla pandemia, possono essere affrontate: per questo l’OMS, stando al tema della giornata, esorta i leader dei Paesi a garantire per tutti eguali condizioni di vita e di buona salute, così come a monitorare le disuguaglianze sanitarie, in modo da permettere a tutte le persone di accedere a servizi sanitari di qualità quando e dove ne abbiano bisogno.

Quale ruolo per i dati?

In questa direzione, l’invito dell’OMS, tra gli altri, è quello di garantire la raccolta e l’utilizzo di dati sanitari tempestivi ed affidabili, disaggregati per sesso, età, reddito, istruzione e altre caratteristiche rilevanti, in modo da valutare le disuguaglianze tra i diversi sottogruppi delle popolazioni e intraprendere azioni per porvi rimedio.

Quello dei dati è un argomento che, soprattutto durante l’emergenza sanitaria, ha evidenziato le diverse preoccupazioni da parte dei cittadini, in particolare riguardo il tema della privacy: in realtà, come spiega l’avvocato Giovanni Battista Gallus, i rischi del cosiddetto “tecnocontrollo” possono essere minimizzati, per far sì che l’utilizzo e il trattamento dei dati sanitari possa effettivamente rappresentare un vantaggio su tutti i fronti. “La pandemia ha comportato inedite sfide anche in tema di trattamento di dati inerenti lo stato di salute, sottoposto a un vero e proprio stress test. In molti, con faciloneria, hanno bollato subito la privacy come una ‘fisima’ esaltando le soluzioni di tecnocontrollo pervasivo adottate in Cina quali uniche opzioni. Si sono scatenate diverse tensioni: dal contact tracing digitale, all’uso di big data e intelligenza artificiale in funzione di prevenzione e diagnosi sino al passaporto vaccinale digitale.

In realtà ci fa da bussola il Regolamento generale sulla protezione dei dati personali – il famigerato GDPR – in quanto contiene già le norme per un adeguato bilanciamento di diritti. Infatti consente il trattamento di dati ‘particolari’ (e dunque anche i dati inerenti lo stato di salute), quando sia necessario per motivi di interesse pubblico nel settore della sanità pubblica, ‘quali la protezione da gravi minacce per la salute a carattere transfrontaliero’, a condizione che sia previsto da una norma, europea o nazionale, con misure appropriate e specifiche per tutelare i diritti e le libertà dell’interessato (art. 9, part. 2. lett. i). Non solo: l’articolo 23 della normativa europea prevede che possano essere introdotte limitazioni agli obblighi (e ai diritti degli interessati) per la salvaguardia della sanità pubblica, sempre però rispettando l’essenza dei diritti e delle libertà fondamentali e soltanto laddove la limitazione sia necessaria e proporzionata in una società democratica.

Questi principi sono stati ribaditi più volte sia dal Comitato europeo per la protezione dei dati personali, sia dal Garante italiano. Le parole chiave, dunque, sono necessità, proporzionalità, e rispetto dei diritti fondamentali. Questa è l’architrave su cui poggiano i vantaggi del trattamento di dati sanitari mentre i rischi sono minimizzati purché si eviti la trappola del soluzionismo tecnologico: big data e AI non possano per magia individuare focolai o trovare le terapie migliori. Al contrario occorre utilizzare soltanto i dati personali necessari, adottare le migliori misure di sicurezza possibili, rendere il processo per quanto possibile trasparente e controllare i risultati, in modo da minimizzare i rischi di possibili discriminazioni, che potrebbero incidere in maniera pesantissima sulle libertà degli individui. Solo così si preserva la libertà di circolazione, il diritto alla salute e l’accesso ai servizi.

Superare le difficoltà grazie all’innovazione digitale

Altro effetto collaterale della pandemia, dovuto alla pressione sui sistemi sanitari di tutto il mondo, è stato quello di aver causato una necessaria priorità nel trattamento dei pazienti Covid rispetto a quelli non-Covid, creando in questo senso un’ulteriore disparità, non voluta, nell’accesso ai servizi sanitari. L’altra faccia della medaglia, tuttavia, è che la stessa pandemia ha creato le condizioni affinché si velocizzasse il processo di innovazione in questo campo, portando alla rapida adozione di nuove soluzioni che, potenzialmente, sono in grado di affrontare le disuguaglianze, oggi come nei prossimi anni.

Durante l’emergenza Covid-19, molte prestazioni sono state differite nel tempo così da concentrare ogni sforzo verso la gestione di pazienti Covid ad elevata criticità, creando inevitabilmente un numero significativo di criticità future, di pazienti non Covid ‘trascurati’ i cui esiti nel breve e medio periodo non sono facilmente predicibili spiega Paolo Colli Franzone, presidente dell’Istituto per il Management dell’Innovazione in Sanità e responsabile del nostro canale Healthcare 2030la tecnologia, e in particolare la telemedicina, può fornire un supporto significativo nella gestione di queste situazioni, contribuendo a tenere sotto controllo individui a rischio e a filtrare i soli casi per i quali diventa necessaria un’ospedalizzazione o un monitoraggio stretto”.

Anche in questo caso, però, il passaggio non è immediato e richiede particolare attenzione. Infatti, se è vero che i vantaggi delle tecnologie in questa direzione sono reali e concreti, è altrettanto vero che perché possano beneficiarne tutti, tutti devono avere eguale possibilità d’accesso ad esse. Per questo, “occorre tenere conto delle possibili disuguaglianze dovute al digital divide, investendo risorse atte a garantire la più piena parità di accesso. Mai come in questo momento abbiamo bisogno di tecnologie e di familiarità con esse da parte di tutti”.

Ecosistemi digitali e ripensamento dei processi

Ma se la pandemia ha contribuito a diffondere maggiore consapevolezza sull’importanza dell’innovazione digitale per il miglioramento, anche in ottica futura, dei sistemi sanitari, ha reso altrettanto evidente la “necessità di costruire ecosistemi tematici in grado di mettere insieme più attori, pubblici e/o privati, per migliorare la capacità di accesso ai servizi sanitari ed evitare qualsiasi forma di discriminazionespiega Renato Grottola, Global Director Growth and Innovation di DNV Penso, tuttavia, che il vero problema sia nella reale capacità di interconnettere gli attori, che è un presupposto fondamentale per la creazione di un ecosistema. Ovviamente, tale problematica è estremamente critica per gli ecosistemi digitali, nei quali, cioè, l’interoperabilità tra piattaforme diverse è una condizione solo necessaria, ma non sufficiente, alla creazione di ecosistemi che consentano, al tempo stesso, da un lato l’accesso a prestazioni erogate sul territorio, dall’altro la condivisione di dati scelti in base a logiche diverse da quelle della territorialità”.

In questa direzione, però, per Renato Grottola non si può pensare che la creazione di un ecosistema digitale sia la soluzione a tutte le problematiche di accessibilità ai servizi e qualità delle prestazioni, ma è necessario “ripensare i processi, altrimenti il rischio è quello di compiere delle pure operazioni di facciata. Pensiamo, a titolo di esempio, ad Immuni, a quanto tempo è stato speso per dibattere sulla tutela della privacy e della libertà individuale quando invece il vero limite all’adozione era rappresentato dalla difficoltà di segnalare il tracciamento al sistema sanitario, in assenza di chiare informazioni al cittadino utente ed all’operatore sanitario in backoffice. O, ancora, pensiamo all’impatto di una non corretta modalità di raccolta dei dati chiave per il controllo della diffusione della pandemia, probabilmente legati alla mancanza di regole precise ed accurate: se ad esempio analizziamo i dati rilevati giornalmente, possiamo rilevare come il numero dei decessi giornalieri cambi sostanzialmente e stranamente nel weekend rispetto ai giorni lavorativi o come, all’interno dei referti dei tamponi molecolari, vi siano dati di dettaglio diversi a seconda del laboratorio che ha eseguito il test. Ci siamo mai chiesti quanto la mancanza di armonizzazione e standardizzazione in questi processi incida sulla determinazione di indicatori a supporto di decisioni che impattano sulla nostra vita e sul nostro futuro?”.

Gestione e utilizzo dei dati, innovazione digitale ed ecosistemi sono alcune delle più evidenti modalità tramite cui poter rendere più efficienti i sistemi sanitari, ma da soli non bastano: è necessario, infatti, che a questi vengano affiancate azioni di sostegno volte a tutelare i diritti individuali e a permettere a tutti di godere dei benefici, in termini di uguaglianza e inclusione, che le tecnologie e l’innovazione in ambito sanitario possono portare. Ed è in questo modo che sarà possibile guardare a quest’ultime come un fondamentale strumento per “costruire un mondo più giusto e più sano”.

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