Parole, creature viventi, tra analogico e digitale

Le parole sono "creature viventi", e una volta dette non ci appartengono più, vivono una vita propria, anche sui social network. Ma quali sarebbero le conseguenze per le parole se, come proposto da Elon Musk, su Twitter venisse data la possibilità di modificare retroattivamente i tweet?

Immagine distribuita da PxHere con licenza CC0

Nomina nuda tenemus
                                                                                                                                                                                                                                         Bernardo di Morlaix

 

Chi avrebbe mai detto, fino a pochi anni fa, che sarebbe bastato inserire una parola in un sistema di ricerca per ottenere tutti i risultati riferiti a quella parola? Chi avrebbe mai detto, fino a pochi anni fa, che sarebbe stato possibile tradurre (più o meno) correttamente in pochi istanti un testo da una lingua all’altra? Mai come oggi le parole, scritte e parlate, hanno valore e mercato, tanto che le piattaforme ora dominanti in Internet sono nate come scambi di conversazioni e dalle informazioni ivi contenute sugli/sulle interlocutori/interlocutrici traggono straordinari profitti. Se dunque un tempo le parole erano l’immagine per antonomasia della vacuità contrapposta alla concretezza dei fatti, ora le parole scambiate sono divenute esse stesse fatti, i social media, che sfruttano appunto il nostro desiderio non solo di comunicare ma anche di esprimere i nostri sogni ad occhi aperti, pubblicamente. Cosa sono i social network se non l’appagamento dei nostri desideri insoddisfatti, la prosecuzione digitale dei nostri adolescenziali castelli in aria, il luogo di elaborazione dei nostri sogni diurni? – scrivevo in Noi, gli altri e la fantasia digitale.

Potremmo affermare che i social media sono divenuti lo spazio in cui mostrare ed esprimere non solo il nostro aspetto esteriore, ma anche la nostra interiorità. L’hanno capito bene le piattaforme che dalle nostre parole ricavano dati e soldi. Se dunque il possesso dei soli nomi (“nomina nuda tenemus”) poteva apparire nel medioevo come la conferma dell’effimera vacuità dell’uomo di fronte all’eterna onnipotenza divina, oggi quello stesso verso del De Contemptu Mundi di Bernardo di Cluny o Morlaix potrebbe essere riformulato (etiam nomina tenemus) quale orgoglioso segno di un nuovo traguardo raggiunto dall’uomo digitale capace di far arrivare le proprie sublimi parole dedicate al tenero gattino di casa, corredate da non meno superbe immagini, ai confini dell’orbe terraqueo in un click.

Le parole potrebbero dunque essere l’emblema della trasformazione digitale e i termini altisonanti e i neologismi con cui quest‘ultima vien spesso presentata sembrerebbero a prima vista confermarlo. Tuttavia proprio le parole o meglio l’impiego improprio delle stesse hanno generato al riguardo una crescente confusione tanto che, come rileva Stefano Epifani, “se ci fosse una classifica dei termini più fraintesi, probabilmente ‘trasformazione digitale’ sarebbe ai primi posti”. Il concetto di trasformazione digitale viene infatti generalmente sovrapposto e confuso con quello di digitalizzazione con la conseguenza che, scrive ancora Epifani nel suo “Sostenibilità digitale”, “L’attenzione al tema eminentemente tecnologico e di processo che riguarda il concetto di digitalizzazione mette in secondo piano le dimensioni economica psicologica e sociale che sono invece connotazioni della trasformazione digitale”.  È dunque quanto mai importante, come ammanniva già Tommaso d’Aquino, distinguere: “Digitalizzare l’informazione equivale a codificarla in formato binario”, prosegue Epifani, “In sostanza la digitalizzazione è questo: tradurre il linguaggio digitale i processi così da poterli gestire in maniera automatica”. La trasformazione digitale invece comporta un processo di “rimediazione dei comportamenti individuali e collettivi” e porta con sé “un processo che a sua volta induce un vero e proprio cambiamento di senso in molti aspetti della società”.  “La trasformazione digitale, dunque, non si limita ad agire a livello di processo, ma agisce letteralmente a livello di senso: ha il potere, infatti, di cambiare il senso delle cose”. “Cambiando i parametri di interpretazione della realtà cambiano le leve di scelta e quelle di valore” (Epifani, ibidem).

Le parole, sottoposte, con straordinari risultati, al processo di digitalizzazione, hanno mantenuto fino ad ora la loro autonomia nella trasformazione digitale. Esse si sono mantenute fedeli alla loro identità di “prigioni sigillate dal mistero”, secondo l’originale definizione che ne ha dato Hugo von Hofmannstahl, citata da Eugenio Borgna, psichiatra che delle parole e in particolare delle parole della sofferenza si è a lungo occupato. Le parole continuano infatti a sfidarci, come dalla loro nascita, perché togliamo loro i sigilli, ne facciamo “sgorgare i significati” (Borgna, L’agonia della psichiatria) ne cogliamo le più recondite risonanze, che cambiano “nella misura in cui cambiano i nostri stati d’animo” (Borgna, ibidem) ma anche in quanto “s’accompagnano al linguaggio del corpo vivente, del sorriso e delle lacrime degli sguardi e dei gesti, e anche al linguaggio del silenzio” (Borgna, ibidem), un linguaggio corporeo che il digitale può, per il momento, solo vagamente imitare.

Ma le parole sono anche, secondo un’altra definizione di Hofmannsthal, “creature viventi” e come tali, una volta dette, non ci appartengono più e vivono una vita propria, quella che a distanza di anni o di secoli da quando sono state pronunciate o scritte, può suscitare in noi speranza o disperazione, curiosità o indifferenza, consapevolezza o infatuazione.

Se però dovesse realizzarsi quello che Elon Musk, neoproprietario di Twitter ha proposto, la possibilità cioè di modificare retroattivamente i tweet sarebbe, come scrive Stefano Epifani, la fine di Twitter, e aggiungerei io l’avvio di una improvvida trasformazione digitale delle parole stesse poiché l’Edit Button, come osserva ancora Epifani, rischierebbe di stravolgere, “anche magari con un semplice “non”, il senso del tweet, dunque il senso delle parole e della parola stessa.

Credo che la considerazione di Borgna sull’importanza delle parole nella conoscenza in psichiatria (“non c’è conoscenza in psichiatria se non seguendo il sentiero delle parole”) si possa estendere a ogni scienza e a ogni relazione umana. Oggi ci troviamo di fronte a una straordinaria possibilità di trasformazione: “La tecnologia digitale è forse lo strumento più potente del quale l’uomo disponga e l’alleato più importante per produrre un cambiamento positivo” (Epifani, ibidem). È però necessario che lo sviluppo di questa tecnologia e di ogni innovazione vada di pari passo con lo sviluppo di una sempre maggiore consapevolezza da parte di noi utenti, tale da trasformarci da utenti in attori, “una consapevolezza che, da individuale, diventi condivisa e sociale e, da sociale, si trasformi in azione politica”. (Epifani, ibidem).

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