Fusione di energia sicura, sostenibile, inesauribile: intervista a Claudio Carati

Una fonte di energia sicura, sostenibile e virtualmente inesauribile. L’energia prodotta da fusione nucleare è tutto questo e, nonostante non la si possa immaginare come soluzione nell’immediato per raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione e lotta al cambiamento climatico, risulta una risorsa preziosa per il futuro. Tanto che Claudio Carati, fisico e ricercatore senior Eni, afferma: “Non credo si possa immaginare di poter fare a meno di questa fonte di energia a impatto zero in futuro”.

Cosa significa “estrarre” energia da un processo di fusione?

A livello nucleare, conosciamo fissione e fusione. La prima è più conosciuta in quanto usata in tutto il mondo da alcuni decenni per la produzione di energia elettrica, mentre sulla seconda siamo ancora nella fase di ricerca e sviluppo. Nella fusione si utilizzano nuclei di elementi molto leggeri come l’idrogeno che, a temperature elevatissime, si fondono dando vita a elementi più pesanti, in questo caso l’elio. Tre sono gli isotopi dell’idrogeno conosciuti: il primo che ha un solo protone, il secondo, il deuterio, che presenta un protone e un neutrone, e il trizio, con un protone e due neutroni. Nella fusione termonucleare vengono usati deuterio e trizio, dalla cui reazione si genera un nucleo di elio e un neutrone con liberazione di energia. Da questo processo, come si può notare, non si liberano gas serra, ed è per questo che questa fonte è definita a zero emissioni.

Da diversi anni, Eni, anche tramite accordi con soggetti quali MIT, Enea e CNR, investe sulla fusione, con l’obiettivo di dare vita al primo impianto che produrrà energia pulita. A che punto siamo?

Come Eni lavoriamo alla fusione a confinamento magnetico, ovvero quella che si realizza tramite Tokamak, un dispositivo a forma di ciambella dove viene creato il vuoto per inserire gli isotopi dell’idrogeno, deutrizio e trizio, a pressione contenuta (dell’ordine di quella di uno pneumatico di auto). Questa miscela, che prende il nome di plasma ed è un conduttore elettrico, viene scaldata con fasci di onde elettromagnetiche al fine di creare le condizioni per la fusione controllata. Nel corso della reazione di fusione si liberano neutroni ad alta velocità che trasferiscono grandi quantità di energia che può essere catturata e trasferita ad una centrale termoelettrica. Attualmente Eni ha in atto tre grosse collaborazioni: una con il Massachusetts Institute of Technology e Commonwealth Fusion Systems (CFS), società spin-out di MIT; una orientata al rafforzamento della ricerca con CNR; e una, più recente, con Enea con cui lavoreremo alla costruzione di una nuova macchina chiamata DTT, Divertor Tokamak Test. DTT sarà un polo scientifico-tecnologico sulla fusione nucleare da 600 milioni di euro, che verrà realizzato nel Centro Ricerche Enea di Frascati. CNR e DTT sono strettamente connesse al progetto internazionale ITER, International Thermonuclear Experimental Reactor, al quale partecipano Paesi quali Europa, Usa, Cina, India, Giappone, Russia e Corea del Sud. Il progetto prevede la costruzione di un grande reattore Tokamak, attualmente in corso nel Sud della Francia, vicino a Cadarache, una macchina da 18 miliardi di euro. ITER, partito nel 2005, vedrà la messa in funzione, in modo sperimentale, nel 2025 per diventare operativo e fornire le conoscenze per la progettazione e costruzione di un’altra macchina, DEMO, nel 2050 che dovrebbe essere il primo reattore dimostrativo a immettere energia in rete. Il DTT è importante per questo obiettivo perché fornirà le conoscenze necessarie per progettare il sistema di gestione della grande potenza generata all’interno del reattore. Sarà quindi un tassello fondamentale nel passaggio da ITER a DEMO, consentendo di provare configurazioni magnetiche innovative e nuovi materiali, come i metalli liquidi.

Con MIT si sta lavorando, invece, a un prototipo di reattore di dimensioni ridotte (pari a circa un quarto di ITER), chiamato SPARC, che dovrà entrare in funzione al termine del 2025 e lavorerà a campi magnetici molto più elevati di quelli di ITER per il confinamento del plasma da fusione, grazie a nuovi materiali superconduttori usati nella costruzione dei magneti. SPARC sarà l’equivalente di ITER per gli alti campi magnetici: le conoscenze scientifiche e tecnologiche acquisite nella sperimentazione saranno fondamentali per progettare e realizzare il reattore ARC, che nella roadmap prevista entrerà in funzione nel 2033 e dovrà dimostrare per la prima volta la possibilità di immettere energia nella rete elettrica.

Qual è il ruolo delle tecnologie digitali nel processo che porterà alla produzione di energia da fusione a confinamento?

Diverse sono le interazioni necessarie, importanti, tra le tecnologie digitali e i progetti legati alla produzione di energia da fusione. Per primo direi la disponibilità di macchine come HPC5, presentata di recente e funzionante nel nostro Green Data Center di Ferrera Erbognone, che ci mette a disposizione le potenze di calcolo necessarie a lavorare con modelli matematici e fisici molto complessi che descrivono la fisica del plasma. Attraverso applicazioni specifiche, per esempio, simuleremo il comportamento del plasma come se fosse un fluido. Altre ci consentiranno di studiare la dinamica delle particelle che lo compongono; altre ancora la distribuzione dell’energia sulle varie parti della macchina, e così via. Tra le tecnologie c’è poi sicuramente l’Intelligenza Artificiale, che può supportare la messa a punto di modelli previsionali e i controlli veloci delle performance del Tokamak, il cui comportamento è molto complesso e richiede raccolta dati e controlli automatici anche nel lungo periodo. Servono, insomma, tecnologie digitali molto sofisticate per consentirci di progredire con il lavoro di ricerca e sperimentazione.

Come l’energia da fusione contribuirà al raggiungimento degli obiettivi di Agenda 2030? E’ davvero così importante lavorare oggi per una fonte di energia che non potrà portare risultati tangibili in tempi brevi?

Anche se parliamo di una energia immessa in rete non certo per il 2030, è impossibile immaginare un futuro sostenibile senza una energia a zero emissioni come quella da fusione, che avrebbe un impatto inimmaginabile. Basti pensare al fatto che se adesso con un chilogrammo di benzina si riesce a produrre circa 40 MegaJoule di energia, con la stessa quantità di “carburante da fusione” si possono raggiungere quasi 340 milioni di MegaJoule. Il tutto senza emissioni di gas serra. Possiamo dire, pertanto, che ci vorrà tempo ma ne varrà davvero la pena.

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