Camaleonti della sostenibilità

Il Salone Satellite è uno dei più importanti, forse il più importante, trampolino di lancio per gli emergenti del design internazionale, un'esperienza di volo verso idee spesso non omologate di design. Il tema assegnato agli emergenti racchiudeva la sostenibilità in tutte le sue declinazioni (ambientale, sociale, economica), in particolare per dare risposte alle esigenze di autonomia e inclusione degli anziani, dei soggetti fragili, dei diversamente abili

Il Salone del Mobile di Milano ha chiuso il 12 giugno la sua sessantesima edizione con numeri che anche i più ottimisti degli organizzatori non osavano sperare: 262.000 presenze “certificate” in Fiera provenienti da 173 Paesi e quasi il doppio in città grazie al valore aggiunto dei Fuori Salone; il 61% di buyer provenienti dall’estero; 3500 i giornalisti accreditati. Non i numeri del 2019 ma si è andati molto vicini nonostante la pandemia! Le parole d’ordine di circolarità e sostenibilità hanno informato la comunicazione di tutte le aziende espositrici nel momento in cui Milano diventa per una settimana l’ombelico del mondo e il marketing e la comunicazione d’impresa danno il meglio. E il sempre effervescente Salone Satellite, collaterale alla grande esposizione, come ha reagito e, soprattutto, cosa ha proposto?

Il Salone degli emergenti

What is the Salone Satellite … an augmented reality flight experience?” mi chiede un giornalista brasiliano in un inglese dagli accenti piuttosto improbabili … come il mio. Lo vedo totalmente smarrito nel frenetico ritmo dell’inaugurazione e nel tentativo di capire percorsi e occasioni del Salone ufficiale, dei Fuori Salone e della Design Week: circa ottocento eventi tra Fiera di Rho, città e hinterland! In pratica lo adotterò per l’intera prima mattinata al “Satellite” e la sua visione si affiancherà alla mia.

Un’esperienza di volo in realtà aumentata?” Rispondo che sì, in un certo senso, un volo lo è: verso idee spesso non omologate di design. Ma un’esperienza meravigliosamente fisica, non virtuale.

Il Salone Satellite, evento collaterale del Salone del Mobile, è uno dei più importanti, forse il più importante, trampolino di lancio per gli emergenti del design internazionale: 600 giovani designer under 35 ad animare questa 23ª edizione del Satellite, collocato per la prima volta nei padiglioni all’ingresso della Fiera perché fosse “questo avamposto della creatività” ad accogliere il pubblico.

Il tema/obiettivo assegnato agli emergenti era “DESIGNING FOR OUR FUTURE SELVES / PROGETTARE PER I NOSTRI DOMANI”: la sostenibilità in tutte le sue declinazioni (ambientale, sociale, economica) in particolare per dare risposte alle esigenze di autonomia e inclusione degli anziani, dei soggetti fragili, dei diversamente abili. Perché non siamo tutti uguali e le esigenze cambiano nell’arco della vita.

E questa visione era anche nella grafica e nell’allestimento dei padiglioni: invitavano a esperienze di esplorazione sensoriale, quindi concrete, in un Salone Satellite articolato su due grandi piazze collegate ad altri snodi dedicati alla convivialità e al confronto.

Insieme alle scuole e università del settore, numerose ed entusiaste anche in questa edizione, i designer partecipanti provengono da 48 Paesi, di cui cinque – Cipro, Congo, Cuba, Nigeria, Qatar – sono “new entry”. E sarà uno dei Paesi esordienti a offrire il vincitore, anzi la vincitrice, dell’ambitissimo “Salone Satellite Award”.

Cinque vincitori

La giuria, presieduta come già in passato da Paola Antonelli, Architecture & Design Director del MoMA di New York, ha individuato i tre vincitori e assegnato due menzioni speciali.

Primo premio alla nigeriana Lani Adeoye per “REMX”: un deambulatore, semplice ma con una sua funzionalità elegante, realizzabile con materiali facili da trovare in loco, a basso costo e senza problemi per l’ambiente. Insomma, in totale coerenza con la sostenibilità orientata all’autonomia e all’inclusione. Un doppio esordio vincente, come designer e come Paese! La motivazione della giuria: “perché sposa eleganza e dignità in un oggetto utile per tutti. È un valido esempio di artigianato contemporaneo che riesce a unire lavorazioni locali e ispirazioni progettuali globali”.

Lani, disponibilissima e comunicativa, mi accoglie nel suo stand. Contenta? Di più, soddisfatta e felice. Se lo aspettava il premio all’esordio? Pare che anche in Nigeria valga il detto “non ci conto, ma ci spero”; anche perché era consapevole di aver risposto in maniera coerente al tema della sostenibilità inclusiva “progettando un deambulatore che trasmettesse un senso di dignità e desse forza al suo fruitore; qualcosa di piacevole da avere nel proprio ambiente e che si potesse usare volentieri“.

Ci tiene a sottolineare come la sua ricerca e la sua produzione mirino a conciliare sensibilità contemporanee e amore per l’artigianato fatto a mano; per proporre al mondo l’eleganza sobria dell’Africa occidentale.

La forza e l’irrinunciabilità delle radici l’avverti nelle parole e nei gesti di questa nigeriana dalla formazione internazionale (Lagos, Montreal, Toronto e New York) che crede nel design come strumento per affrontare i problemi, responsabilizzare le comunità e avere un impatto che rispetti tutto ciò che vive: umani, animali, vegetali.

Forse il nome della testata che legge sul pass che ho al collo (“Tech economy 2030” appunto) le suscita una qualche preoccupazione: la rassicuro, condividiamo la missione della tecnologia al servizio della sostenibilità!

Ci scambiamo i contatti; le prometto che la terrò informata di quello che scriverò su di lei e le sue realizzazioni.

Secondo premio a Belgium is design /Studio Gilles per “LAMPS”

Da diversi anni il Salone Satellite ha contribuito a integrare la visione tradizionale del Belgio: accanto a cioccolato, birra e istituzioni europee si è affermata l’idea che quel contesto propone un interessantissimo new design.

“Lamps” è stato premiato perché “il progetto utilizza la memoria unendo elementi di giocosità, artigianalità e design. Il risultato è un oggetto bello da guardare e funzionale, oltre che sostenibile per il materiale utilizzato e la lavorazione”.

Lo stand e l’autore mi richiamano in qualche modo le atmosfere di un film di Visconti. Lo studio Gilles così sintetizza il risultato della sua proposta: “Una serie limitata di lampade che realizza la fusione di due tecniche. Versando del gesso bianco su un nastro nero VHS lavorato all’uncinetto emerge un pezzo unico: il paralume all’uncinetto e un cilindro in gesso semplificato“.

L’amico brasiliano mi dice che sarà pure un bel progetto di design sostenibile ma non sembra anche a me che ci sia anche qualcosa di “infernal satânico”? Convengo che un pizzico di ironia cimiteriale ci sia, ma probabilmente quel tanto d’inquietante … aiuta. Il brasiliano scuote la testa: lui è per l’infernal satanico secco.

Terzo premio alla serba Djurdja Garčević per “MEENGHE (Street forniture)”. Djurdja spiega con efficace sintesi il senso del suo design sostenibile: “trucioli di pneumatici usati per modellare oggetti di arredo urbano come cestini per rifiuti, paraurti, vasi, sgabelli … Così evitiamo di utilizzare materiali vergini, realizzando a basso costo nuovi prodotti provenienti dal riciclo e diminuiamo la quantità di rifiuti“.

In linea la motivazione della giuria: “è un progetto trasversale che pensa all’allungamento del ciclo di vita del prodotto, interpretando con impatto amichevole il materiale basato su trucioli di pneumatico riciclato. In questo modo facilita in particolare la lettura dell’arredo urbano con un progetto sostenibile, anche godibile esteticamente”.

L’amico brasiliano apprezza moltissimo la soluzione proposta: perché pare che uno dei problemi ambientali più grossi nel suo Paese siano le discariche sterminate di pneumatici ai quali ogni tanto qualcuno da fuoco con sviluppo di pericolose diossine.

Este è um problema assustadoooooor!” (quello degli pneumatici abbandonati è un problema terribilissimooooo!) dice facendo una faccia terrorizzata e strascicando all’infinito la “o”. Scoppiamo tutti a ridere perché l’effetto è quello dei telecronisti brasiliani che quasi ululano le vocali quando inneggiano a un goal segnato.

Ci resta male: riusciamo, laboriosamente, a spiegargli in un mistilinguismo caotico che non sottovalutiamo affatto il problema drammatico ma ridevamo per l’involontario effetto “telecronaca carioca”.

Alla fine, ride pure lui e ci dice che per un brasiliano l’enfasi declamatoria è tentazione irresistibile come “o samba”!

Menzione speciale a Rasmus Palmgren (Finlandia) per “EASE CHAIR

Rasmus affida il suo prodotto a poche scandite parole: è pensata come punto di equilibrio tra materiale, comfort ed estetica. Resistente ma leggera, confortevole e impilabile. La struttura è elemento chiave del design.

Apprezzata dalla giuria perché: “è semplice, ben disegnato con un design appagante, e funzionale nell’uso; è un prodotto maturo per la produzione”.

Di mio posso aggiungere che, oltre a essere leggera, è sorprendentemente stabile e con una seduta davvero ergonomica; quei colori pastello (da vernici ecocompatibili), tenui ma non freddi, contribuiscono a rendere la sedia accattivante.

Il mio compagno brasiliano ha una stazza notevole in altezza e larghezza: dubita che “cadeira muito pequena” possa contenerlo e sostenerlo. Invitato a provarla, si siederà con estrema precauzione: si ricrederà, con consueto trionfo di “o” spese senza risparmio.

Vorrebbe congratularsi col designer, ma Rasmus non è più nello stand.

Menzione Speciale all’ Atelier Ferraro (Germania) per “MAX +1,5°

Premetto, sono di parte: Atelier Ferraro era tra i mei favoriti per un riconoscimento.

È uno studio di design, che opera dal 2019, con sede a Monaco di Baviera ma il protagonista, Emanuele Ferraro, è italianissimo e mediterraneo: è nato a Capri. Si è formato come architetto tra Italia e Grecia, approdato poi in Germania per scelta professionale evolutiva e per amore: una moglie tedesca, Daphne, che gioca un ruolo importante nella “comunicazione” dei suoi progetti e oggetti di design visivamente accattivanti e decisamente intuitivi.

In una lunga piacevolissima conversazione/intervista Emanuele mi ha raccontato della sua vita, della sua visione del design, del ruolo importante di Daphne Ferraro nel trovare le parole per raccontare e promuovere il suo lavoro.

Gli oggetti che produce, di uso quotidiano, denunciano il suo retroterra di architetto che si concentra sulla presenza “scultorea” degli stessi, combinando sempre i tre aspetti che reputa irrinunciabili: durata, flessibilità, bellezza.

La menzione speciale è per la sua lounge chair dalle molteplici identità. L’ha battezzata “Max +1,5°” con riferimento alla necessità di contenimento del riscaldamento globale: “Questa sedia è un autentico camaleonte della sostenibilità. Grazie a flessibilità ed estetica si trasforma in diversi elementi di arredo, riutilizzando gli scarti di truciolato“.

L’espressione “camaleonte della sostenibilità” è della creativa Daphne e devo dire che sintetizza con grande efficacia quello che dovrebbe essere oggi l’imperativo categorico di uomini e aziende: come il camaleonte occorre adattarsi all’ambiente, mimetizzarsi e viverci in sintonia, come il camaleonte occorre guardare intorno a noi a 360 gradi fisicamente e metaforicamente.

Emanuele mi confida che è stato uno dei suoi progetti più rapidi: tra intuizione, progettazione e realizzazione sono intercorsi tempi molto brevi. Trovo che il giallo sia un colore che valorizza il suo prodotto; anzi, lo virerei ancora un po’ verso la tonalità solare.

Asciutta e coerente la motivazione della menzione speciale: “è un progetto contemporaneo che risponde alle esigenze degli spazi più piccoli per via della sua flessibilità costruttiva che esprime il buon design”.

Il Design sostenibile

In sala stampa mi sono fatto la fama di uno che ci prende, da quando nel 2018 nella cinquina dei miei preferiti c’erano i nomi di Stefano Carta Vasconcellos, che sarà il vincitore assoluto e primo italiano ad aggiudicarsi l’Award, e del messicano Miguel Angel Jimenez menzione speciale.

Quest’anno avevo messo tra i miei preferiti “Atelier Ferraro”. Non ho doti divinatorie, ma leggo con attenzione il tema dell’anno e le motivazioni con le quali viene presentato. E mi sembrava che la giuria fosse sollecitata a premiare design poco o per nulla energivoro.

Perché il design sostenibile non è solo quello che non inquina nell’immediato ma quello a basso consumo di energia, che usa materiali riciclabili, non tossici, biodegradabili, progettati pensando a una lunga vita del prodotto grazie anche a una manutenzione semplice e accessibile.

Il design è una delle attività tipiche dell’uomo che ha iniziato a progettare e produrre cose realizzando così quel progresso che gli ha consentito di vivere più sicuro, più a lungo e in maniera più confortevole; almeno finora. C’è però un aspetto negativo di cui solo in tempi relativamente recenti abbiamo preso consapevolezza: l’inquinamento del pianeta che ci ospita. Il mondo della progettazione deve prendere atto che tutelare il pianeta è salvare noi stessi. Paola Antonelli, anche quest’anno -ripeto- Presidente della giuria, nel 2019 è stata la curatrice di una mostra illuminante alla Triennale di Milano: “Broken Nature” che mostrava come l’equilibrio tra uomo e ambiente naturale si sia progressivamente compromesso. Antonelli proponeva un concetto di design ricostituente che “possa e debba aiutarci a visualizzare l’urgenza ambientale in tutte le sue declinazioni: culturale, sociopolitica, economica”.

Coerentemente I cinque giovani designer premiati quest’anno non sono forse quelli che hanno realizzato gli oggetti più funzionali e belli in assoluto, ma quelli che erano più in linea con questa idea di un design che cerchi di ricostruire il rapporto tra l’uomo e l’ambiente che lo ospita.

In quest’ottica avrei visto bene tra i premiati anche il romano Andrea Maggiarra, che proponeva un design decisamente inclusivo: “Victory”, una sedia per tutti ma che agevola particolarmente la seduta e l’alzata dell’anziano. Questa sedia nasce dalla tesi di laurea

di Andrea in Industrial Design; e anche questo aspetto mi sembra un tassello importante di una storia appena all’inizio. Credo, infatti, sia solo una questione di tempo: continua su questa strada, Andrea, e arriveranno anche riconoscimenti importanti della qualità del tuo lavoro!

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